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Se nell’Ottocento e nel Novecento sociologi, semiologi, filosofi e psicanalisti (Baudrillard, Bataille, Marx, Nietzsche, Freud, Klein, solo per citarne alcuni) si sono soffermati a lungo sul significato simbolico, sessuale, religioso degli oggetti, era prevedibile che nel secolo—il nostro—della smaterializzazione e dei simulacri digitali, ci si attaccasse ancora di più alla materia, quasi considerandola un’ancora a cui restare appiccicati mentre la realtà, come un vecchio file salvato all’infinito sopra a sé stesso sullo stesso dischetto, va alla deriva, spezzettata in miliardi di miliardi di frammenti di informazioni, adattandosi a parametri sempre nuovi e cancellando le sue vecchie istanze.

È come se pur vivendo in mezzo alle cose ne avessimo già nostalgia, forse perché “con la coda dell’occhio” ci siamo resi conto che le distopie da romanzo di fantascienza non sono poi così lontane—in qualche caso ci siamo già dentro fino al collo, vedi Il mondo nuovo di Huxley.
Nell’era degli mp3, della fotografia digitale, dei social network e degli ebook, torniamo ai vinili, alle pellicole, ai cineforum di periferia, alle edizioni pregiate con attaccamento feticistico per l’oggetto. Si ricomincia a parlare di artigianato e nuovi artigiani. E libri, programmi tv e siti web che con un approccio nostalgico (o pensato per suscitare tale nostalgia in chi guarda o legge) parlano di oggetti vanno moltiplicandosi.

L’ultimo arrivato—anzi il prossimo arrivato—è Container, rivista inglese che parlerà—cito il sito—della natura e della cultura degli oggetti e del loro mutevole valore nel mondo virtuale.
Il magazine stesso consisterà in un contenitore (da qui il nome) differente per ogni numero con dentro oggetti progettati e realizzati appositamente da artisti e designer (anche questi cambieranno ad ogni nuovo numero) in base al tema scelto. La prima uscita, prevista per il prossimo luglio in un’edizione limitata di 200 copie, avrà come tema hot&cold e sul blog di Container si può vedere anche il work in progress.

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