Il magazine dell’America (intesa come Stati Uniti d’…) minore. Quella che raramente finisce sulle prime pagine dei giornali, quella che sembra esistere – quasi sempre stereotipata – sono nei film sui rednecks o nelle commedie, sdolcinate o demenziali, dove il campagnolo va in città e ne viene travolto. L’America di provincia, quella delle cittadine delle quali raramente hai sentito parlare. Una sorta di terra di mezzo dove vive tranquilla – tipo hobbit – gente di cui nessuno ha mai sentito parlare.
“La gente normale esiste”, dice una delle creatrici del magazine nel video di presentazione. E Local nasce proprio per scoprirla, con un trimestrale finanziato attraverso il crowd-funding ed una redazione di giornalisti che hanno lavorato per realtà come Wired, Elle, ABC e contributors provenienti dai settori più svariati, tra cui un documentarista, un libraio, un insegnante di musica, uno che costruisce mobili, uno che si occupa di agricoltura biologica.
Andare là dove non si fa la storia. E raccontarla. Anzi, farci un intero numero della rivista, questa la missione di Local. Apparentemente l’opposto della classica americanata eppure, nel suo celebrare il lato-B della bandiera a stelle e strisce, altrettanto tipicamente, intimamente yankee fino al midollo.
La prima tappa è Jersey Shore. Non quel Jersey Shore. Niente patetici divi da reality. Il Jersey Shore in questione è in Pennsylvania. Poco più di 4000 anime che vivono a metà strada tra New York e Buffalo. Il classico paesino nel bel mezzo del nulla dove di reality c’è solo, appunto, la realtà. Con il suo ospedale, il suo cimitero, la banca, le chiese, le scuole, il campo da baseball e quello da football, l’aeroporto, la sua Main Street, e vie che prendono il nome dagli alberi (Cherry, Oak, Maple, Walnut, Elm, Chestnut). Snobbata persino da Google Street View, che ne immortala appena qualche strada semivuota (e con le telecamere appannate, per giunta) in cui si intravedono pick-up, motociclisti e case tutte uguali. Poco altro da segnalare, a parte una breve parentesi di Hunter S. Thompson, che ha lavorato nella sezione sportiva del quotidiano locale subito dopo aver finito il servizio militare, nel ’58.