Come dire ‘goodbye’ troppo spesso: le tre vite di Peter Broderick

INTERVISTA PETTINATA

La scrittrice Katherine Dunne, sottoscritta da Chuck Palahniuk, ha affermato che a Portland chiunque vive come minimo tre vite.
Da lì, in Oregon, arriva il talento musicale Peter Broderick, che raggiunge l’Italia via Berlino, dove attualmente vive.
Ha ventiquattro anni, e a giudicare dall’intensità e dall’eclettismo della sua produzione artistica, vien da pensare che le sue tre vite se le stia godendo in contemporanea. Dopo aver suonato (praticamente ogni strumento) negli States con artisti come Laura Gibson, M. Ward e  Zooey Deschanel, nel 2007 Peter si è trasferito a Copenhagen per unirsi ai danesi Efterklang, suoi personali eroi, e per continuare a fare musica in tutti i modi possibili: come sessionman, strumentista, cantautore, compositore, autore di colonne sonore per cinema e teatro.

Human Eyeballs On Toast (video)

Il suo ultimo album solista, How they are (2010, Bella Union), è una stanza intima e incantevole di voce, piano e chitarra, a cui il mai quieto Peter ha affiancato nell’ultimo anno produzioni per balletto e colonne sonore per il cinema (Grace & Mercy, documentario sulla ricostruzione di Haiti, e Confluence, dedicato a casi di ragazze scomparse in Idaho nei primi anni Ottanta, album in uscita il 28 novembre).

Quale, tra le tue tante anime musicali, prevale?

È difficile dirlo, dipende dai periodi. Ora, ad esempio, sono assorbito dal mio progetto solista, l’album a cui sto finendo di lavorare e che uscirà il prossimo anno. Sei mesi fa ti avrei detto che ero in fase di collaborazione con altri, in futuro sarà ancora diverso. Non c’è un’anima prevalente perché  le cose cambiano continuamente.

A che punto sei col tuo nuovo album?

Dopo tre anni di lavorazione è pronto, sto decidendo il design e la copertina. Non voglio anticipare niente, ma posso dire che dopo l’ultimo album acustico, di sola voce e chitarra, e quello precedente polistrumentale, questo mette tutte le cose insieme: dieci canzoni di voce, basso, batteria, chitarra e molto altro. C’è un concept alla base, ma non voglio anticipare nulla ora (brillìo di occhi, n.d.r.).

Dear Me (video)
Se escludi che la musica sia oggi il tuo lavoro, cosa ha rappresentato nella tua vita?

La musica può essere molto di più, infatti. Come ogni cosa che fai, può essere una grande opportunità: è un mezzo senza il quale, ad esempio, non avrei potuto conoscere tante persone e andare in tanti luoghi. È gran parte della vita.

Ascoltando diversi tuoi lavori, mi è venuto in mente il motto di molti creativi, “less is more”. Ti ci riconosci?

Sì, in genere procedo in modo minimale. Se trovo quattro note giuste al volo le tengo così, non aggiungo altro. E’ anche una questione di istinto. Ma la musica si fa anche per addizione, a pensarci anche il silenzio è qualcosa che può essere aggiunto.

Quanto di istinto e quanto di disciplina c’è nel tuo modo di comporre?

90% istinto e 10% disciplina.

Peter Broderick e la vocalist Laura Van Der Vlis (photo Daniela Garutti)
Stai ancora dicendo “Arrivederci troppo spesso” (in Hello to Nils canta “But because it is so often that I am going / And because I tell most of the people I’m going / I say goodbye too often”)?
[ride] Sta andando meglio adesso!

La fotografia secondo Peter.

Amo fotografare e amo la fotografia. In passato l’ho esercitata (da vero polistrumentista, con diversi mezzi), ma ora l’ho un po’ abbandonata perché sono concentrato sulla musica.

Una cosa per cui ti senti troppo giovane.

Avere figli.

Peter Broderick con il maglione (photo Daniela Garutti)
E una per cui ti senti troppo vecchio.

Potermi non lavare i denti.

Cosa faresti oggi se non fossi un musicista?

In passato ho lavorato in una pizzeria, potrei fare le pizze. Ma ho anche studiato cinema… credo farei qualcos’altro di creativo.

Daniela Garutti

Below It (video)
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