Ti ricordi di quando potevi ancora sognare il futuro?
Saranno stati gli anni ’80, o forse i ’90. Leggevi le riviste da piccolo scienziato e pensavi a come sarebbero potuti essere (a onor del vero spacciati come un “saranno sicuramente così”) tutti quegli anni che ancora avevi davanti.
Robot casalinghi e nastri trasportatori, auto pulite, volanti, intelligenti, colonie su altri pianeti, energia a costo zero e gente dal cranio ipertrofico e senza capelli abituata a quotidiani scambi culturali, commerciali, tecnologici con altri popoli della galassia.
Basta andare su siti come Paleofuture, Retrofuture o x planes per farti un’idea.
Mi ricordo di quando a tavola si parlava di “quel che sarà”, con mio padre lanciato in discorsi di fantapolitica legati a doppio filo a trame da fantascienza, con leggi robotiche, paradossi e relatività spicciola. E nei suoi occhi lo vedevi che non lo diceva solo per me che guardavo per aria, nelle nuvolette di fumo di pipa che incorniciavano quei brevi viaggi nel tempo in sala da pranzo. Nei suoi occhi lo vedevi che ci credeva pure lui. O almeno ci sperava. E comunque ci godeva, a immaginare.
Poi andava nello studio, lo sentivi spostare libri, e tornava con raccolte di racconti e romanzi dalle copertine impolverate e illustrate come neanche gli albi dei fumetti.
Non che ora non lo si faccia più. Di sognare, intendo. Ma nell’epoca attuale – che nei corsi e ricorsi storici, tra spinte in avanti, flussi e riflussi, ottimismo e decadenza, ricorderemo forse come l’ennesima perdita dell’innocenza – immaginare futuri scenari (che non siano a breve termine) sembra più un’attività per bambini e visionari, piuttosto che uno slancio comune.
E quando l’anno scorso sono andato a Roma per lo smart urban stage ho provato quel brivido di quando entri in un posto che sembra fatto apposta per te. Tra la gente, i flash, gli amici, i cocktail, le chiacchiere mondane, a grattar via la parte “social” – comunque necessaria – rimanevano i progetti, le visioni di un domani più o meno lontano che ti si attaccavano al cervello, e pareva di vederla di nuova la nebbia della pipa di mio padre, salire da prototipi, grafici, schermi e luci dei tanti mondi – formato tascabile o sterminati come una galassia, il web o una rete di neuroni – immaginati da esperti sognatori come i designers, gli scienziati, i sociologi, gli esperti di comunicazione che presentavano le loro idee.
E quel brivido mi aspetta ancora una volta, ché da domani parte la tappa milanese – opening e blog tea time (dove io e un po’ di pazzi come me discuteremo del futuro della città) su invito e da domenica 11 l’apertura al pubblico, con serate di festa, arte, musica e smart elettriche (più silenziose della notte) da provare per le strade.
Nel frattempo chiedo a te – se hai voglia, tempo, neuroni in abbondanza – qualche idea di cui parlare, un link da segnalare, finestre aperte su un domani che per ora vedi solo tu, in mezzo a nuvole che non aspettano altro che le nostre teste.
Puoi scriver qua, sul nostro Facebook, su quello di smart urban stage o provare con la telepatia.
QUANDO: 9 – 11 settembre 2011
DOVE: parcheggio di via Pagano, Milano | metro Pagano | mappa