Forse è il tratto della nostra epoca, e con nostra intendo mia e di Simone il #frizzardone di FrizziFrizzi, e con epoca intendo questi anni mica un’epoca storica intera, comunque c’è da dire che io alle parole sto dando sempre più peso.
Mi ricordo di una volta che scrissi un breve articolo sull’aggettivo promettente, il quale finì per vie traverse diciamo perifrasato sul Corriere della Sera, e una volta durante la prima occupazione di M^C^O di una ragazza che fece giustamente notare a chi non voleva usare la definizione “ormai sorpassata” di centro sociale, che l’aggettivo “sociale” è uno dei più belli del mondo, di non cedere e continuare a usarlo con orgoglio e (se possibile, n.d.a.) coerenza.
Continuerò quindi la mia critica ficcante zuppa di malcelata incazzatura introducendovi al bisticcio di oggi: contesto.
Contesto come ambito all’interno del quale va considerata una cosa, un’azione, un’abitudine, una persona e la sua storia. Contesto che fa da sfondo alle valutazioni su di essa, sia essa la cosa, l’azione, l’abitudine, la persona o la sua storia.
Ma contesto anche come io che contesto. Spesso fuori contesto, esco fuori, contesto.
P.S. Il bisticcio è andato a un grande amico, un designer che io considero puro, che sa prendere il contesto all’inizio dei progetti, e non alla fine. E che sa contestare, senza mezzi termini, ciò che gli fa schifo. Lo ringrazio perché siamo praticamente sempre d’accordo.