Suited: il magazine per chi ha trovato ciò per cui era tagliato

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C’è poco da fare gli snob. A un certo punto della tua vita può capitarti di diventare padre e diventare padre comporta il dover assimilare — nolente o volente — informazioni su cose che fino a poco tempo prima consideravi totalmente inutili, quando non addirittura nocive, o di cui ignoravi completamente l’esistenza (e per questo vivevi felice).

Una di queste cose sono i personaggi dei cartoni animati trasmessi tra pay tv e digitale terrestre.
Nota bene: nemmeno abituare il bambino o la bambina a un uso molto, molto sporadico ti salverà. E nemmeno non avere la tv e usare un tablet dallo schermo piccolo e scomodo è una scusa, visto che sui vari youtube o dailymotion si possono tranquillamente trovare tutti gli episodi.

Non c’è niente da fare. A un certo punto saprai distinguere tra Tinky Winky, Dipsy, Laa-Laa, e Po (e ti farai la tua personalissima teoria sul perché Tinky Winky, quello viola, viene indicato come gay).
A un certo altro punto sarai felice di tornare a vedere le storie surreali della Pimpa ma quella della cagnetta a pois di Altan è solo una parentesi felice prima di ripiombare in un baratro di pompieri chiamati Sam, aggiustatutto chiamati Bob e postini chiamati Pat e a quel punto sarai già assuefatto e la tua testa sarà impegnata in interrogativi e considerazioni su personaggi border line come Norman Price, 8 anni e l’indole da terrorista e piromane, o Spud, lo spaventapasseri inquietante e piagnone che assomiglia a una cipolla.

Il terzo step (prima dell’Anticristo, cioè Violetta, cioè colei che distruggerà definitivamente l’infanzia di tua figlia), e io al momento sono a quello, è fatto perlopiù di due grandi miti contemporanei: da una parte Dotty, la dottoressa peluche, una bambina afroamericana che cura i giocattoli, è figlia di un medico e abita in un sobborgo benestante di chissà quale cittadina; dall’altra i My Little Pony, nuova versione dei Mio Mini Pony di quando noi trenta-quarantenni eravamo piccoli. Una versione che quindi fa scattare immediatamente i confronti tra i cartoni di allora e quelli di oggi, con “quelli di oggi” che ovviamente non reggono il confronto ma con appunto la piacevole eccezione dei My Little Pony odierni che — coi loro personaggi ben costruiti, le storie scritte in maniera mai banale, i sottotesti o le citazioni che ammiccano agli adulti (non a caso esiste pure un accanitissimo fandom di uomini, i bronies ) — vincono a mani basse il confronto coi loro troppo fatati, sempliciotti, buonisti antenati.

Tra i personaggi del cartone — e qua arrivo finalmente all’argomento del titolo — ci sono le Cutie Mark Crusaders, tenero e un po’ sfigato gruppo di piccole pony alla costante ricerca del loro talento che, una volta scoperto, permetterà loro di avere il tanto agognato cutie mark, il simbolo impresso sulla coscia di ogni pony adulto che indica la personalità oppure appunto la capacità speciale di chi ce l’ha.
Il cutie mark appare solo nel momento in cui in qualche modo si scopre sé stessi, ciò che si è tagliati per fare, la propria passione più grande. E la metafora non è poi così complicata da afferrare: pure nel nostro mondo, quello dove i pony non parlano e non volano, è fortunato chi riesce a conoscersi, a capirlo e a realizzarsi.

E sono proprio gli umani che idealmente hanno trovato il loro cutie mark che vengono celebrati nel nuovo semestrale di arte e moda Suited.

Nel primo numero, uscito a febbraio, i protagonisti degli splendidi servizi fotografici, delle interviste e dei racconti sono un gruppo di modelle sudanesi, i fondatori del marchio di culto Duckie Brown, la collaborazione tra il fotografo Paul Jung e la fashion designer Melitta Baumeister, Joshua Kissi e Travis Gumbs di Street Etiquette, un vecchio sarto novantenne di Brooklyn, l’artista Corine Pagny, il coltellificio Poglia, il “re dell’unisex” Rad Hourani, il musicista Wolf James, lo stilista Adrien Sauvage e l’artista concettuale Jay Paavonpera.

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