La storia dell’alfabeto latino, usato in gran parte dell’emisfero occidentale, è una storia di influenze, conquiste, egemonia militare e culturale e avanzamenti teconologici. È, soprattutto, una storia che parte dal basso, dalla pura e semplice utilità. O meglio, di necessità di comunicare e fare affari in maniera semplice e rapida. Fu nell’Egitto di circa 3800 anni fa — all’epoca dominato dalla complicata scrittura geroglifica, considerata sacra e costituita da centinaia di simboli — che commercianti e piccoli funzionari immigrati da altri paesi iniziarono a utilizzare appena una ventina di quei geroglifici, nello specifico i caratteri fonetici relativi alle consonanti, per scrivere nelle loro rispettive lingue.
Quei primissimi alfabeti, adattabili a molteplici idiomi, si dimostrarono particolarmente efficaci, e cominciarono a diffondersi e a evolversi: dal bacino delle prime, grandi civiltà, fino all’antica Grecia, da lì a Roma, e da Roma a tutto l’impero.
Non esiste una data precisa per la nascita dell’alfabeto latino. Esso si sviluppò — probabilmente passando attraverso la cultura etrusca — come adattamento di quello greco. Le prime testimonianze di quello che oggi viene chiamato latino arcaico, che negli esempi più antichi presenta glifi di evidente origine greco-fenicia, poi caduti in disuso nel latino classico — risalgono al VII secolo a.C.
È da quello stesso periodo che inizia la linea temporale di Arete, un sito interattivo che mostra visivamente tutta l’evoluzione dell’alfabeto latino, dalla Fibula Praenestina — una spilla in oro della metà del VII secolo, con su incisa un’iscrizione, MANIVS ME FECIT NVMERIO, cioè “Manio mi ha fatto per Numerio”, che si legge da destra a sinistra ed è considerata uno dei primissimi reperti con tracce del latino arcaico — fino agli odierni esempi di caratteri bastoni, slab-serif e script calligrafici, passando per i vari sviluppi avvenuti nel corso dei secoli: le capitali romane, l’onciale, le minuscole caroline, i caratteri gotici, la scrittura umanistica, l’Antiqua di Manuzio, che è alla base del Garamond, il carattere oggi maggiormente utilizzato per i libri.
Nato all’interno dello Urban Complexity Lab dell’Università di Scienze Applicate di Potsdam, in Germania, il progetto Arete mostra come — per citare gli stessi artefici dell’iniziativa — «la storia dei caratteri e della scrittura è, nella sua essenza, una rete».
Nessun cambiamento, infatti, è stato esclusivamente lineare: ciascuna trasformazione è frutto di diverse influenze, evidenziate, sulla timeline, con linee più o meno spesse in base alla portata dell’influsso avuto sui tipi di scrittura che sono seguiti, mentre una colonna, che corre parallela, in verticale, alla linea temporale, presenta i grandi eventi che, in ambito culturale, sociale o tecnologico, possono aver avuto a loro volta un peso sull’evoluzione della scrittura, o che comunque aiutano a delineare il contesto storico.
Cliccando sui vari elementi, inoltre, si può approfondire e vedere alcuni esempi tra i più importanti.
La squadra che ha lavorato ad Arete è formata dal professor Boris Müller (responsabile del progetto), Jonas Pelzer (progettazione e realizzazione tecnica), Ayse Nacak (ricerca e progettazione) ed Elsa Woelk (ricerca). Hanno partecipato anche alcuni esperti — Sybille van Zuylen, Erik Spiekermann, Lucas de Groot e Stefanie Weigele —, invitati, nel giugno del 2022, a tenere un seminario e un laboratorio, che poi sono andati a costituire le fondamenta del progetto, insieme a una serie di saggi, tra i quali troviamo anche un testo che cito spesso (e consiglio sempre), parlando di tipografia: Il filo d’oro di Ewan Clayton.