Dopo il film, il designer Doug Wilson sta progettando un libro sulla storia della linotype

Oggi abbiamo la cosiddetta Intelligenza Artificiale a portata di chiunque, da computer o smartphone, e siamo probabilmente appena agli inizi di una rivoluzione che, nel bene e nel male, potrebbe avere un impatto persino più potente, in ogni ambito della società, di quello avuto da internet.
Sono però decenni che, nelle storie di fantascienza, si è affacciata l’idea di macchine senzienti (che ancora non esistono, al netto di storie-spauracchio come quella dell’ingegnere di Google Blake Lemoine), talvolta in forma di robot umanoidi, talvolta nelle vesti di strumenti non troppo dissimili a quelli a noi familiari.
La più citata, quando si parla di questo tema, è La risposta, un racconto del 1954 di Frederic Brown (autore anche di Sentinella, short story che appare spesso nelle antologie scolastiche), che immagina la creazione di un “super circuito” capace di raggruppare tutti i calcolatori elettronici di ogni pianeta abitato dell’universo, così da formare il “supercalcolatore”, cioè «un’unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie».
Quando viene azionata la leva che mette in moto quella super-intelligenza, le viene posta la prima domanda: «Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere» dice una delle creature (non sappiamo se si tratti di un uomo o — vedi il succitato Sentinella — quello che potremmo considerare un alieno).
La domanda è: «C’è Dio?».
A quel punto, il supercalcolatore risponde «Sì: adesso, Dio c’è», per poi fulminare la creatura e fondere la leva di accensione e spegnimento, rendendola per sempre inutilizzabile.

C’è però un’altra storia, sempre di Brown e precedente a questa, che in effetti parla dell’AI.
È molto più divertente de La risposta e ha come protagonista una macchina tipografica linotype.
Si intitola Etaoin Shrdlu, frase apparentemente “aliena” ma che in realtà indica le lettere che appaiono nelle prime due colonne della tastiera della linotype (un po’ l’equivalente del QWERTY delle nostre tastiere), e Brown vi immagina che la macchina possa assorbire informazioni dai testi che le vengono fatti stampare, dimostrando, in un certo senso, coscienza di sé.
«Era una mente vergine, che sapeva solo quel che le facevamo leggere: compone un libro sul sindacalismo e si mette in sciopero, compone delle riviste rosa e vuole la compagnia di un’altra linotype… E così le ho dato in pasto il buddismo, George, tutti i dannati libri sul buddismo di cui disponessero alla biblioteca e in libreria» dice alla fine uno dei protagonisti della storia all’altro, spiegandogli che così la macchina si sarebbe «convinta dell’ineluttabile inutilità dell’azione e della desiderabilità dell’annullamento».
Con questo racconto, datato 1942, oltre a darci la potenziale soluzione — il buddismo! — per fermare un ipotetico scenario apocalittico di AI senzienti, Brown ci parla di una tecnica di composizione tipografica che è ormai obsoleta da tempo, buona solo per i musei, ma assolutamente centrale nella vita sociale, economica e culturale dell’epoca in cui la storia è stata scritta.

Inventata a fine ‘800 e rimasta pressoché identica per quasi un secolo, la linotype è stata infatti cruciale per lo sviluppo dell’editoria, tanto che, per buona parte del XX, secolo la stragrande maggioranza dei giornali di mezzo mondo veniva composta così, perlomeno fino all’arrivo delle nuove tecnologie, come la fotocomposizione e il computer (il New York Times, notoriamente, andò avanti a usare le linotype fino al 1978, e c’è un filmato di quello stesso anno che racconta l’ultimo giorno della composizione tipografica “a caldo” del celebre quotidiano newyorkese).
Per questioni anagrafiche, tutte e tutti coloro che sapevano usare una di questa macchine stanno inevitabilmente scomparendo, e tra qualche anno, chi leggerà il racconto di Brown, non troverà alcuna difficoltà a comprendere la parte relativa allo strumento che “impara” da un testo, ma non avrà probabilmente idea di come funzionasse una linotype. Potrà cercare informazioni online, certo (o chiederle all’AI, sempre che questa non decida di inventarle di sana pianta, come talvolta capita), ma molti dei “segreti” e delle storie dell’universo-linotype online non ci sono mai arrivati.

Proprio per questo il designer e storico della tipografia statunitense Doug Wilson ha deciso di intraprendere la seconda più complessa avventura professionale della sua vita: realizzare un libro — approfondito e pieno di materiali — sulla linotype, e di farlo a poco più di un decennio di distanza dalla prima più complessa avventura professionale della sua vita, che è stata quella di produrre un film su questo stesso argomento: Linotype: The Film, uscito nel 2012.
Quel film, dice Wilson, che da allora ha continuato ad accumulare libri sull’argomento, ad incontrare persone, a collezionare “ephemera”, «ha solo scalfito la superficie del suo impatto sulla società, sulla comunicazione e sul giornalismo. Ora sto scrivendo un libro per condividere tutte le cose straordinarie che ho imparato e scoperto da allora».

L’opera è appena agli inizi: non ci sono ancora date d’uscita previste ma il designer ha già lanciato una newsletter per aggiornare le potenziali lettrici e i potenziali lettori. Ci si iscrive sul sito creato ad hoc, linotypebook.com. Dopo l’iscrizione (gratuita) si può scegliere se finanziare il progetto e ricevere contenuti esclusivi man mano che i lavori vanno avanti.

Un messaggio

Frizzifrizzi è sempre stato e sempre rimarrà gratuito. Si tratta di un progetto realizzato ogni giorno con amore e con impegno. La volontà è di continuare a farlo cercando di tenere al minimo la pubblicità. Per questo ti chiediamo una mano — se vorrai — con una piccola donazione. Potrai farla su PayPal.

GRAZIE DI CUORE.