Pane, lavoro, libertà: la campagna di CHEAP e WeWorld per le donne afghane

Il 15 agosto dell’anno scorso ero sul divano di casa dei miei, nelle Marche, appiccicato davanti a due schermi — quello della tv, sul quale facevo zapping tra CNN, BBC e RaiNews, e quello del telefono, dove scorrevano incessantemente i tweet di una lista che raccoglieva (e raccoglie ancora) le voci di chi all’epoca si stava occupando, da dentro o da fuori, di ciò che stava succedendo in Afghanistan, e cioè il ritiro (che aveva il sapore di una fuga) delle forze NATO e l’annunciato ma quanto mai repentino ritorno al potere dei Talebani.
Come molte e molti ho seguito il dispiegarsi degli eventi col cuore in gola, un’insonnia da ricerca ed eccesso di informazioni e quell’ansia sotto pelle attraverso la quale il corpo e la mente ti comunicano che ti trovi davanti a notizie cruciali (ultimamente, tra pandemia, guerra e catastrofi naturali lo stato è in effetti quello di allerta permanente).

Da allora è passato più di un anno e quella lista ce l’ho ancora ben visibile nella home di Twitter, tuttavia di Afghanistan non si parla quasi più. Come aveva predetto e come ripete spesso il giornalista Nico Piro, abbiamo puntato altrove i nostri sguardi occidentali, e sul quel paese devastato è calato un oblio che fa comodo sia a chi lo governa sia a chi lo ha abbandonato a sé stesso. E le vittime, come sempre, sono le persone più deboli, soprattutto le donne, che dal nuovo avvento del regime Taliban sono ripiombate in un incubo nell’incubo, nonostante le vane promesse a vuoto fatte nelle prime settimane dopo la caduta di Kabul da alcuni esponenti più “moderati”.

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)

Oggi, da quella parte del mondo, le notizie arrivano al grande pubblico col contagocce. La maggior parte di noi non sa neppure che quelle stesse donne cui è stata negata ogni libertà continuano a trovare il coraggio di protestare pubblicamente, di scendere in piazza e per le strade, ovviamente con enormi rischi per la loro stessa incolumità. Ed è a loro — che al grido di «Pane, lavoro e libertà» hanno la forza di opporsi — che il collettivo bolognese CHEAP ha dedicato l’omonima campagna di manifesti affissi sui muri di Bologna in collaborazione con WeWorld organizzazione che ormai da mezzo secolo lotta e difende i diritti delle donne e delle bambine, in Italia e nel mondo.

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)

Il progetto, presentato lo scorso 6 ottobre, è nato in occasione della sedicesima edizione del Terra di Tutti Film Festival, che si è chiuso un paio di giorni fa, ma i poster rimarranno esposti per tutto il mese lungo via dell’Indipendenza, la più centrale della città, rilanciando dunque le grida di quelle donne e quelle bambine che ora idealmente urlano anche per le nostre strade, per mezzo di manifesti che non solo puntano i riflettori sulla negazione dei diritti più basilari — studiare, lavorare in un ufficio pubblico ma anche semplicemente ballare o mettersi un po’ di profumo — ma sono anche progettati in modo da richiamare, attraverso i caratteri tipografici, gli anni più bui del nostro stesso paese, in tal modo innescando, in questo preciso momento storico, un inaspettato cortocircuito. L’atto di denuncia verso la barbarie in atto in un paese lontano diventa quindi pure un avvertimento, lanciato nello spazio pubblico in modo da risvegliare le coscienze.

«La cosa che ci colpisce — spiegano da CHEAP — è come basti una notte per cambiare il corso della vita delle donne, come la brutalità e l’oppressione sembrino sempre distanti nello spazio e nel tempo ma si palesino velocemente, calpestando i diritti e rovesciando sulle donne barbarie e violenza. Basti pensare all’Iran oggi infiammato dalle proteste delle donne dopo la brutalità omicida scatenata per un velo indossato male. Non possiamo permettere che i divieti e la negazione dei diritti fondamentali delle donne vengano dimenticati o, peggio, negati. Ed è qualcosa che ci riguarda tutte e tuttə, in qualsiasi parte del mondo siamo situatə».

(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
(foto: Margherita Caprilli | courtesy: CHEAP)
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