Frammenti: a Palazzo Reale di Milano la grande mostra monografica su Tullio Pericoli

È da diversi anni che come immagini di sfondo sui miei smartphone uso dei quadri di Tullio Pericoli. Di tanto in tanto li cambio, ma si tratta sempre di suoi paesaggi, quelli che rappresentano le colline marchigiane. Casa sua e casa mia — ormai lontane, osservate con gli occhi di chi ritorna — non sono esattamente le stesse. Lui, marchigiano a Milano da sessant’anni, arrivato lì nel ’61 da un paesino, Colli del Tronto, su consiglio di Cesare Zavattini, e io, marchigiano a Bologna da poco più di venti, giunto da un altro paesino, Monsano, da bambini e da ragazzi ci siamo affacciati in epoche differenti su panorami differenti ma che la natura e la cultura contadina hanno dipinto con lo stesso pennello. Nei suoi riesco a ritrovare i miei: in quei segni dei campi, nei fossi che fanno da confine tra paesi e proprietà, nei filari di alberi, o nelle ombre delle grandi querce e dei mori solitari in mezzo ad appezzamenti che sembrano variopinti tappeti stesi al sole gli uni accanto agli altri in un disordinato ordine.

COSA
Tullio Pericoli. Frammenti
QUANDO
13 ottobre 2021 – 9 gennaio 2022
DOVE
Palazzo Reale | p.za del Duomo 12, Milano

Pericoli l’ho conosciuto dapprima attraverso i ritratti pubblicati sulle pagine culturali di Repubblica. Quei ritratti dei quali dice — in quel delizioso libriccino che è Arte a parte — «Cercavo di arrivare a una sintesi: la faccia delle facce. Di facce non ne abbiamo una sola, ma credo ne esista una che è il condensato di tutte: una faccia che contiene anche quelle dei nostri genitori e antenati, e pure qualcosa di quelle che avranno i nostri figli. L’etimologia di un volto».
I suoi paesaggi, invece, li ho scoperti relativamente tardi, ma è stata una epifania: le sue opere mi parlano, aprono conversazioni tra me e i luoghi cari lontani nel tempo e nello spazio. Ed è lui stesso, nel medesimo volumetto, a scrivere che «Il luogo dove si è nati parla più intimamente a chi ne è partito, piuttosto che a chi non se ne è mai allontanato. Quando si tornerà a vederlo, vedremo però molto di più di quanto possa fare un vero straniero. I legami con il nostro luogo diventeranno attrezzi al servizio del nostro sguardo. E ci scopriremo più ricchi».

Tullio Pericoli, “Perdita d’occhio”, 2011
Olio su intonaco intelato, 90 x 180 cm
(courtesy: Skira)

Per questo motivo, a un certo punto ho pensato di portarle sempre con me, a portata di sguardo, quelle terre familiari che nei quadri di Pericoli ritrovo più vere e più vive rispetto a qualsiasi fotografia (so che può essere considerata una bestemmia, ma nemmeno i paesaggi di Giacomelli, pur geograficamente più prossimi ai miei, riescono a toccare, nel mio animo, corde così profonde).
Ovviamente, dentro alla cornice del telefono le opere non ci stanno per intero. Ritagliate in verticale, sono costretto a sceglierne un frammento. Che è poi il frammento di un frammento se — come sostiene l’artista in un altro suo imperdibile libro-intervista, Pensieri della mano — «il quadro, in fondo, non è che un frammento, una parte di un tutto che come sappiamo continua a esistere anche se non viene rappresentato. Però continuiamo a sapere che c’è, non possiamo smettere di pensare che ai quattro lati del quadro la scena continua. Mi piace suggerire, dare la sensazione di qualcosa che incomincia al bordo del quadro, ma che la dimensione della tela non è sufficiente a contenere. Però chi guarda lo immagina, lo pensa». Ribadendo poi, nel già citato Arte a parte, che «Le parti che restano fuori dal frammento selezionato, quelle che sono escluse dai suoi contorni — i quattro lati del quadro —, sembrano però sprigionare una loro magia. Mentre per un verso fanno concentrare l’attenzione sull’area rappresentata, per un altro reclamano la propria presenza. Il frammento scelto continuerà perciò a restare in relazione con le quattro parti escluse, vivrà anche di loro, che pure non sono materialmente visibili. E ogni quadro, in quanto frammento, conterrà anche quello che non c’è».

Ieri è stata inaugurata a Milano, presso Palazzo Reale, una mostra monografica dedicata a Pericoli. Si intitola proprio Frammenti, perché tali sono i pezzi in esposizione, più di 150, realizzati tra il 1977 e il 2021: frammenti del tutto e frammenti del lungo e articolato percorso artistico dell’autore.
Promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, da Palazzo Reale, da Skira Editore (che pubblica il catalogo) e Design Terrae, la mostra — visitabile fino al 9 gennaio 2022 — è stata curata dal critico d’arte Michele Bonuomo in collaborazione con lo stesso Tullio Pericoli, mentre l’allestimento è dell’architetto e designer Pierluigi Cerri.
Il percorso espositivo si articola tra differenti momenti e soggetti nella carriera dell’artista, così da scoprire o riscoprire il segno, la sensibilità, il mondo di uno dei più grandi nomi dell’illustrazione e dell’arte italiana dell’ultimo mezzo secolo.

Nel catalogo, oltre alle opere, ordinate in cinque sezioni (1977– 1980; 2009–2020; Frammenti 2013–2021; Sul farsi 2018–2019; Ritratti 1991–2018), figurano anche saggi firmati da Giuseppe Montesano, dal curatore Michele Bonuomo e dal recentemente scomparso Roberto Calasso.

Da quando lo conosco — sono molti anni, ormai — il segno di Pericoli mi ha dato l’impressione che ci intendiamo. Impressione rara, insieme psicologica e morfologica. Me ne accorsi subito con i ritratti. E poi non meno in certi paesaggi di cui sappiamo che non li incontreremo mai e siamo grati perché esistono. Sono paesaggi che finiscono per accompagnarci, come un mondo parallelo. Non vogliono imporsi, ma insinuarsi nella memoria. Anche per questo sono così costanti, fedeli a se stessi. Anche per questo mi sento così fedele a loro.
Quanto ai ritratti, non poche volte due o tre segni di Pericoli mi hanno aiutato a schivare qualche massa di carta stampata a proposito di certi scrittori, come se fossero una forma di saggismo alleggerito da ogni zavorra.

— Roberto Calasso, 28 maggio 2021

Tullio Pericoli, “Sul farsi 57”, 2019
Acquerello su carta, 60 x 60 cm
(courtesy: Skira)
Tullio Pericoli, “La torre di Bruegel”, 1979
Acquerello e matita su carta, 71 x 103 cm
(courtesy: Skira)
Tullio Pericoli, “Rubare a Klee”, 1980
Acquerello e matita su carta, 45 x 28 cm
(courtesy: Skira)
Tullio Pericoli, “Combinazioni”, 2012
Olio su tela, 40 x 40 cm
(courtesy: Skira)
Tullio Pericoli, “Combinazioni”, 2021
Olio su tela, 70 x 70 cm
(courtesy: Skira)
Tullio Pericoli, “Franz Kafka”, 2017
Olio su intonaco intelato, 55 x 55 cm
(courtesy: Skira)
(A proposito di un ritratto di Kafka, Pericoli scrive in “Arte a parte”: «la scrittura deve rispettare una forma estetica anche nel contenuto delle parole? Forse sì. Mi ricordo di aver ricevuto per lettera la richiesta di acquisto del ritratto di uno scrittore, il cui nome era scritto così: Cafca. Non è un’offesa anche per gli occhi?».)
Tullio Pericoli, “Samuel Beckett”, 2018
Olio su tela, 55 x 55 cm
(courtesy: Skira)
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