Non lo puoi controllare quando la terra decide di tremare. Delle volte è una mattina, altre un pomeriggio o altre ancora una notte e in pochissimi minuti sembra che qualcosa sotto la crosta terreste abbia perso il controllo, portando via con sè luoghi, abitazioni, persone. È successo così anche ad agosto del 2016: ad Amatrice, Accumoli e alcuni comuni del Centro Italia si stava succhiando il midollo dell’estate, finché la terra non ha deciso di succhiare il nostro, lasciandoci solo briciole fatte di macerie.
Sono passati cinque anni da quella notte e nonostante molti di noi abbiano smesso di guardare in direzione di quei luoghi, c’è qualcuno che è rimasto a documentare la vita che si ricomponeva.
Il collettivo fotografico TerraProject — formato da Michele Borzoni, Simone Donati, Pietro Paolini e Rocco Randarelli — si occupa da anni di documentare le conseguenze dei terremoti di cui il nostro paese è stato protagonista: dal Friuli alla Sicilia, per arrivare all’Aquila. Erano lì a imprimere in immagini i ritmi lenti, gli errori, le ricostruzioni mancate, mentre noi dimenticavamo. E sono stati lì anche ad Amatrice ed Accumoli, già dall’agosto di quell’anno: il progetto è iniziato da una committenza fotografica de La Repubblica, un servizio fotografico al mese, per un anno. Ma poi le cose hanno preso una piega diversa, un anno si è dilatato in cinque anni e le foto — oltre 5mila scatti — erano abbastanza per dare vita ad un archivio, ma anche una mostra.
Nasce così Di semi e di pietre, la mostra fotografica diffusa nei comuni di Amatrice e Accumoli, curata da Giulia Ticozzi, in collaborazione con Regione Lazio e Lazio Crea e con il patrocinio dei comuni stessi.
Da quell’archivio citato prima sono state scelte 120 fotografie che raccontano sia di pietre — sotto forma di macerie, di quello che una volta stava su e che per lungo tempo è rimasto a terra a ricordare come una ferita aperta — sia di semi, di quelli che si sono asciugati le lacrime, rimboccati le maniche e hanno deciso di ricostruire quello che rimaneva della propria terra.
Nelle sette tappe dell’esposizione, distribuite tra Accumoli e Amatrice con installazioni site specific per essere vicini agli abitanti, si alternano immagini — raccolte con rispetto nei confronti di chi ha sofferto — di quei pochi minuti che hanno cambiato tutto, di quello che ne è rimasto e di come i residui di una vita passata hanno preso una nuova forma grazie alle mani, alle braccia, al sudore, alla pazienza, agli sguardi, alle tradizioni, che sono più forti dei terremoti.
La mostra è visitabile fino al 5 settembre e ad accompagnare le foto troverete inoltre i testi di Paolo G. Brera, Benedetta Perilli e Corrado Zunino, giornalisti de La Repubblica, media partner del progetto insieme a Chora Media, che ha realizzato un podcast dedicato di Mario Calabresi.