(courtesy: Renner Italia)

Dentro una latta di vernice: una giornata in Renner Italia

Una caldissima giornata di luglio, una delle più infuocate dell’anno. Il sole sembra sul punto di liquefare il cielo e ogni minima traccia di bianco o di metallico che colpisce diventa una freccia acuminata scagliata contro la retina.
Gli occhi semi-chiusi e il volto arrossato, mi trovo nella zona industriale di Minerbio, poco fuori Bologna. In un piazzale, insieme a me e a una parata di campioni di serramenti inclinati di 45° ed esposti a sud-est, c’è Luca Fotia, responsabile della comunicazione di Renner Italia.

L’illustrazione di Michele Cazzaniga, vincitrice del Premio Renner 2018. Il tema era l’azzurro.
(foto: Frizzifrizzi)

Io e Luca ci conosciamo da poco più di un anno. Ci siamo incontrati in occasione della prima edizione del Premio Renner, quando l’azienda — una delle più importanti al mondo nel settore delle vernici per il legno — decise di indire un concorso di illustrazione con la direzione artistica di CHEAP, mettendo in palio ben 10.000 Euro e nominando me tra i membri della giuria.
Sopra un tavolo pieno di opere, nel giorno in cui ci riunimmo per scegliere il vincitore, confidai a Luca che mi sarebbe piaciuto vedere “come si fanno i colori”. Ed eccomi dunque — mandando il nastro della vita avanti-veloce di qualche mese — negli stabilimenti Renner, mentre la seconda edizione del concorso è già in pieno svolgimento, gli autori stanno ultimando le opere in rosso che invieranno entro l’11 ottobre, e presto ci riuniremo di nuovo per votare il vincitore o la vincitrice dei 10.000 Euro.

«Qui testiamo le vernici da esterno», spiega Fotia mentre giriamo per il piazzale. «I campioni stanno fuori, nelle peggiori condizioni, alla massima esposizione possibile al sole e agli agenti atmosferici».
Si tratta di elementi verniciati con prodotti differenti e un diverso numero di cicli di verniciatura, lasciati per mesi sotto la luce, l’umidità, il vento, la pioggia e la grandine.

(foto: Frizzifrizzi)

Altri vengono sottoposti a condizioni ancora più estreme. “Spediti all’inferno”, come dicono in azienda: mandati per circa tre anni in posti con condizioni climatologiche esasperate. In una sala espositiva all’interno di uno degli stabilimenti ci sono alcune persiane che dall’inferno sono tornate alquanto sgarrupate: non tanto per le vernici, che hanno tenuto, quanto per le colle, che invece hanno ceduto.
Ma dei collanti se ne dovrà occupare qualcun altro perché Renner Italia produce vernici e, a quanto pare, la fa anche piuttosto bene.

Presente in 63 nazioni, l’azienda di Minerbio è la terza per fatturato in un settore dominato dalle imprese italiane.
«Le migliori aziende di vernici per legno sono italiane, e sono tutte di ottimo livello», ci tiene a specificare Fotia. «Questo perché la filiera italiana dell’arredo è ancora la più importante».

(foto: Frizzifrizzi)

I clienti di Renner, infatti, sono soprattutto produttori di mobili — «Pensa a un nome e la probabilità che le vernici siano le nostre è piuttosto alta» —, oltre a terzisti e aziende che rivendono le vernici in altri paesi.

C’è poi una linea — Rio Verde — pensata per l’utente finale.
«Quindi la posso trovare, ad esempio, da Leroy Merlin?», butto là io. Luca, che solitamente potrebbe dare lezioni di equilibrio interiore ai buddhisti, letteralmente sobbalza.
«No, no», dice. «Noi non amiamo la GDO [la Grande Distribuzione Organizzata, ndr] e puntiamo sui piccoli, come le ferramenta, perché il fattore umano è importante. Qualcuno che sappia consigliare, indirizzare. Questa “politica” è legata anche alla storia stessa dell’azienda. Una storia alla quale mi sono appassionato appena sono arrivato qui».

Come un film

La storia di Renner e del suo fondatore, Lindo Aldrovandi, potrebbe tranquillamente essere degna di un trattamento cinematografico o serializzata per la tv.
Classe 1952, nato a Pianoro, figlio unico di una casalinga e di un carabiniere partigiano, Aldrovandi doveva chiamarsi Mirko ma il prete si rifiutò di battezzarlo con “un nome comunista” e così diventò Lindo.
Promettente studente di ingegneria, abbandonò gli studi quando un suo grande amico morì improvvisamente, e andò a lavorare alla Sayerlack di Pianoro, multinazionale dei rivestimenti in legno, dove iniziò come operaio.

(foto: Frizzifrizzi)
(foto: Frizzifrizzi)

Il fondatore di Sayerlack, Giancarlo Cocchi, imprenditore di spirito “olivettiano”, notò Aldrovandi, lo spostò in diversi reparti, vide che se la cavava bene ovunque, e un giorno lo chiamò dicendogli: «Vorrei che mi affiancassi». Lo mandò quindi in Inghilterra a studiare inglese, poi alla scuola di management a Stresa, e infine lo “costrinse” a laurearsi in ingegneria.
Quando Cocchi decise di vendere l’azienda a una multinazionale inglese, suggerì ai nuovi proprietari di affidarla ad Aldrovandi, che all’epoca aveva 35 anni. Gli inglesi accettarono il consiglio e lui la diresse — con successo — fino al 2003, quando l’attività passò in mano a un gruppo americano, che decise però di fare a meno di Aldrovandi. Glielo comunicarono con un telegramma.

A 51 anni Aldrovandi rimase disoccupato, ma ebbe un’idea: avrebbe fondato una nuova azienda.
Volò in Brasile dove, nel ’69, Cocchi, il fondatore di Sayerlack, aveva lanciato insieme a un italobrasiliano, Cenacchi, un’azienda dello stesso settore, che si chiamava anch’essa Sayerlack e che poi, con l’ingresso di una famiglia tedesca, cambiò nome in Renner Sayerlack.
Cenacchi decise di investire nel progetto di Aldrovandi, e così anche i figli di Cocchi. Nel 2004 aprì Renner Italia.

(foto: Frizzifrizzi)
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To protect and to serve decorate

Lasciato il piazzale, io e Luca torniamo nello showroom dove sono esposti i campioni che mostrano le tante vernici disponibili: i colori, gli effetti (tramato, vibrato, effetto cementizio, corteccia, finto marmo…), la resa sui materiali.
Ci sono prodotti per esaltare la naturalezza del legno, altri per esaltare il lucido, oppure il contrasto.

«Noi effettivamente cosa facciamo? Proteggiamo e decoriamo», chiosa Fotia, che mi introduce così nel variopinto — letteralmente — universo delle vernici: «In base al grado di copertura si dividono in laccato (quando non fa vedere la venatura del legno) e mordenzato. In base al luogo d’uso, invece, distinguiamo quelle da interno e quelle da esterno. In base alla formulazione, poi, i due grandi “mondi” sono quello del solvente e quello dell’acqua».

(foto: Frizzifrizzi)

Per solventi e acqua Renner ha stabilimenti distinti, perché le linee di produzione sono completamente diverse. Parte fondamentale di entrambe è la ricerca. Su 340 dipendenti, 56 sono chimici — una proporzione molto alta, la più alta nel settore, in effetti — e l’azienda è piena di laboratori.
Ce n’è anche uno in cui vengono prodotte le resine, che sono la materia prima di una vernice e, insieme all’acqua o al solvente, danno la struttura.
In un altro laboratorio incontriamo Giulia, chimica, che mi racconta che lì, ogni giorno, codificano dai 5 ai 10 prodotti nuovi. «E altrettanti ne vanno “in pensione”».

Per ogni vernice c’è una ricetta, proprio come in cucina, e le attrezzature sono talmente all’avanguardia che vengono utilizzate anche dagli istituti pubblici che ne hanno bisogno, ad esempio l’Università di Bologna, con la quale Renner collabora spesso. Così come con il CNR.
Mentre parliamo, Fotia si assenta un attimo. È al telefono con un dirigente del Centro Nazionale di Ricerca.

(foto: Frizzifrizzi)
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E poi c’è l’ESA, l’ente spaziale europeo, che ha lanciato in orbita sette satelliti cosiddetti “per la cura del pianeta”. È il progetto Earth Explorer, che nel 2023 lancerà un altro satellite, l’ottavo, FLEX. Si occuperà di monitorare lo stato di salute della vegetazione mondiale attraverso l’analisi dello spettro della riflettanza e della fluorescenza della fotosintesi clorofilliana.

Che c’entra Renner? Me lo spiega Fotia: «Questo spettrometro ha bisogno di calibrarsi. Ogni tanto deve comparare i dati che accumula con un emettitore noto, fisso e immutabile. Questo emettitore deve essere di almeno un chilometro quadrato e ora è in fase di sperimentazione un modello in scala più piccola, in Maremma, in cui sono posizionati dei pannelli di 100mq trattati con vernici Renner. Capisci perché è affascinante lavorare qui?».

(foto: Frizzifrizzi)
(foto: Frizzifrizzi)
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Tante piccole pentole invece di un grande pentolone

Le aree di produzione sono enormi. Un intrico di tubi corre per tutto il soffitto e scende giù per le colonne, tra valvole, serbatoi e vasche.
Fotia mi invita a osservare un elemento in particolare. «Le vasche mobili». Le vasche mobili servono per le piccole quantità, che, dopo la grande crisi economica mondiale, sono molto richieste, sempre di più, rispetto ai grandi lotti, per i quali si utilizzano invece degli enormi “dosatori”.

Per dirlo con una metafora, le vasche mobili sono come tante piccole pentole sul fornello, ciascuna per una ricetta diversa, invece di un grande pentolone con un solo piatto in grande quantità.
«Quando è arrivata la crisi, Renner aveva già dentro gli anticorpi», dice Fotia. Gran parte della produzione, infatti, era già stata studiata in funzione di questo tipo di richiesta. Quando poi gran parte del mercato si è trasformata in questo modo, Renner era già in un’ottima posizione.

(foto: Frizzifrizzi)

Giriamo per gli stabilimenti di vernici ad acqua e a solvente. Vediamo tintometri, grandi e piccoli, passiamo per enormi magazzini automatizzati, aree in cui vengono testati i prodotti, zone in cui i clienti possono provare, calibrare o imparare a usare le vernici Renner.

Essendo entrato in tante fabbriche, sia in visita che per lavorare, mi meraviglio dell’ordine.
«In ogni reparto, a turno gli operai si uniscono a una squadra che si occupa di mettere ordine», racconta Fotia. Dentro a una fabbrica — questo me l’aveva anche spiegato l’operaio che mi formò all’inizio della mia seppur breve carriera di tornitore — tenere in ordine significa lavorare in maniera più sicura, e Renner dà incentivi in busta paga ai dipendenti che usano tutti i dispositivi di sicurezza.

(foto: Frizzifrizzi)
(foto: Frizzifrizzi)

Quando ci avviciniamo a un’addetta che sta confezionando una latta di vernice, Fotia ne prende una ancora vuota, estrae un foglio che sta al suo interno e me lo mostra.
«Siamo stati i primi a utilizzare questo sistema», dice.
Non capisco.
Lui mi spiega: «Quando la latta è finita, dovresti smaltirla come rifiuto speciale. Essendoci il foglio, che è di polietilene espanso, puoi invece appallottolare quello e smaltirlo. Questo riduce sia le dimensioni che la spesa. E la latta puoi riutilizzarla, o addirittura venderla come materiale ferroso».

(foto: Frizzifrizzi)

In un piccolo showroom — nel quale mi invade un fortissimo odore di legno che mi ricorda quando, da piccolo, andavo a visitare la bottega di mio nonno falegname — incontriamo un tecnico che sta facendo test su test perché una resina epossidica a cui sta lavorando fa delle bolle e deve risolvere il problema.
«Hai visto il tutorial che abbiamo pubblicato?» gli chiede Fotia, che poi si rivolge a me: «L’ha realizzato per noi un falegname che fa tavoli in resina. È giovane, ma è molto esperto. Si chiama Toffanin. È venuto qui per due tre/giorni e abbiamo tirato fuori dei tutorial».

Mentre io, il tecnico e Fotia guardiamo il tutorial sul suo smartphone, segno un appunto, che uso ora per concludere il pezzo: Grandi innovazioni, strategie azzeccate, ma anche tante piccole soluzioni che escono fuori dalla collaborazione: così, da esterno, mi appare il mondo Renner. La visione dell’industriale unita alla curiosità del ricercatore e all’approccio “sartoriale” dell’artigiano.

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