(courtesy: Rame)

Peeta, l’ostello e il nuovo progetto Rame: intervista a Koes

«In una fabbrica abbandonata, dopo che si sono portati via già tutto, il rame è l’ultima cosa che rimane» spiega Andrea Crestani, in arte Koes.
36 anni, di base a Bassano del Grappa, Koes disegna sui muri da quando ne aveva 13, protagonista e testimone diretto di tutte le evoluzioni che hanno caratterizzato l’arte urbana negli ultimi vent’anni: i graffiti, le fanzine, le crew (ha fatto parte di Overspin, che Andrea definisce «dei matti di Vicenza davvero molto in gamba, uno più bravo dell’altro»), i festival, l’arte pubblica, le commissioni.

Dieci anni fa Koes è stato tra i fondatori di Infart, un collettivo che per diverse edizioni ha organizzato uno dei più importanti festival di street art a livello nazionale (e non solo). «Ma ad un certo punto arrivano le bollette da pagare, i bambini, la vita in generale… Siamo rimasti tutti in ottimi rapporti. Credo che porteremo dentro di noi quest’esperienza finché campiamo», ammette.

(courtesy: Rame)

Oggi Koes ha uno studio di comunicazione, Cre, e ha da poco dato vita a un nuovo progetto, che è poi il motivo per il quale lo incontro, in una calda mattina, in un cantiere poco lontano dalla stazione di Verona, accompagnato da Gabriele, caro amico di entrambi.

L’ostello durante i lavori
(courtesy: Rame)

Siamo qui perché a inizio luglio, dove al momento della mia visita c’era il cantiere, aprirà al pubblico lo Stravagante Hostel, un ostello di 800 mq ricavato da una stabile acquisito e ristrutturato dalla cooperativa sociale L’Officina dell’AIAS. All’interno ci lavoreranno dei ragazzi disabili, che col supporto di educatori ed operatori gestiranno l’accoglienza, la pulizia e la piccola osteria in cui gli ospiti mangeranno pasti veloci.

Della riqualificazione di alcuni degli spazi interni e dei muri esterni della struttura si è appunto occupato Koes con il suo progetto Rame. Rame, l’ultima cosa che rimane, appunto: ecco perché Andrea ha chiamato così il suo nuovo progetto. «Ho sempre adorato disegnare dentro alle fabbriche abbandonate. E poi il rame è un materiale conduttore, che mette in connessione le cose, e lo spirito del progetto è proprio questo, mettere in connessione».

Koes ha infatti portato lì nel cantiere, in momenti diversi, tre tra i più validi e acclamati street artist italiani — Peeta, Luca Font e Lucamaleonte —, affidando a ciascuno di loro un spazio e lavorando lui stesso a uno dei muri.

Peeta al lavoro sullo Stravagante Hostel, Verona
(courtesy: Rame)

Mentre parlo con Koes c’è proprio Peeta al lavoro su una parete esterna, pennellando infaticabilmente da prima del mio arrivo e continuando senza pause a dar vita a una delle sue meravigliose creazioni 3D.
«Io e lui ci siamo conosciuti anni fa», mi racconta Andrea. «Lui è un fenomeno. A livello di 3D secondo me è tra i migliori al mondo».

(courtesy: Rame)

Peeta lavora su di un’impalcatura, affrontando piano dopo piano, in verticale. «Di solito, per opere del genere, gli artisti usano l’elevatore, in modo da poter andare su, giù, guardare, tornare su un punto preciso», spiega Koes. «E invece lui sta disegnando a piani! È una specie di stampante [ride, ndr]. Questo lo puoi fare solo se sai esattamente ciò che vuoi fare e se hai il talento per riuscire a realizzare esattamente ciò che ti sei prefissato».

Koes è visibilmente soddisfatto di esser riuscito ad avere Peeta, strappandolo ai tantissimi impegni che lo portano in tutto il mondo. È da poco tornato da due mesi passati in Cina e, subito dopo il lavoro all’ostello, ripartirà. «È iper-produttivo, è un grande talento e — cosa tutt’altro che scontata quando si arriva a certi livelli — è una bravissima persona», ci tiene a sottolineare.

Le connessioni e il rispetto sono probabilmente la “moneta” più importante per chi ha intenzione di sviluppare un progetto come Rame. Serve aver acquisito una certa credibilità per riuscire a richiamare artisti così («Ma servono soprattutto belle pareti. La gente “normale” vede un muro. Noi vediamo il lavoro potenziale che si può fare. E quindi è anche la parete che fa decidere all’artista se partecipare a un progetto», precisa lui).
Per storia personale, oltre che per Infart, Koes ne ha un bel po’ di moneta da spendere, moneta che continua a valere anche se nel corso degli anni molte cose sono cambiate e, come racconta Andrea, artisti che durante i primi eventi che organizzava magari dormivano nella taverna dei suoi genitori, ora lavorano in tutto il mondo e hanno due, tre assistenti.

(courtesy: Rame)

L’idea di Rame è nata un paio di anni fa. E nell’ultimo anno e mezzo Koes appunto cominciato a riallacciare i rapporti, a sondare il terreno, a progettare. Il primo, piccolo intervento di Rame è stato a Bassano. «Ho scelto di cominciare giocando in casa, per instaurare innanzitutto un rapporto con la città. Si tratta di un’illustrazione che dialoga con la zona. A me piace colpire un pubblico trasversale, che va da chi conosce bene la street art al bambino, alla mamma, al signore anziano», dice.

In quel caso il disegno era opera dello stesso Koes, che però dice di preferire il far lavorare gli altri artisti, il mostrare alla gente chi sono “quelli bravi”, al di là di mode e di “star”.
Quando chiedo come ha scelto Peeta, Luca Font e Lucamaleonte, mi spiega che l’idea era di andare a prendere artisti qualitativamente inattaccabili e piuttosto eterogenei. «Peeta: graffiti 3D, grande dialogo con l’architettura del luogo; Luca Font, linee pulitissime, piatte, molto grafiche; Lucamaleonte, stile illustrativo con una marcia in più, che viene dall’incisione».

(courtesy: Rame)

«E tu?», domando.
«Io cerco di avere l’onestà di non mettermi tra nomi di quel livello», dice ridendo. «So chi sono loro e chi sono io».
Andrea non ama molto parlare. Soprattutto non è uno da auto-celebrazioni. Ho appuntato sul mio blocco uno dei suoi motti, e cioè che per lui l’importante è “andare al muro successivo. Fare quel che devi fare, nel miglior modo possibile, cercare di comunicarlo nel miglior modo possibile, per poi passare al prossimo obiettivo”.
La sua umiltà è sincera e profonda. Anche troppo, i suoi tanti successi bisogna tirarglieli fuori quasi a forza, e in questo è stato fondamentale Gabriele, che lo conosce meglio.

Questo dell’ostello è il primo, vero progetto di Rame. Bassano viene considerato come una sorta di entrée. «L’intento» dice Koes, «era di chiamare sia persone che ammiro e rispetto da anni sia nomi di richiamo internazionale, questo per cercare di aiutare il più possibile l’ostello, perlomeno per la parte che mi compete. E, pure, volevo artisti perfetti per il tipo di spazio che è stato affidato loro. Alla fine credo di esserci riuscito, anche se sono solito tirare le somme solo alla fine. Quando il lavoro è finito, tutti sono tornati a casa, i pennelli sono lavati, allora in quel momento posso dirti “è andata”».

(courtesy: Rame)
(courtesy: Rame)
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