Oggi a Venezia è una splendida giornata di sole

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Posti 11D e 12C, una coppia di turisti americani sovrappeso sta ridendo per un paio di bottiglie d’acqua che lei (la 12C) ha fatto cadere mentre cercava di metterlo nello spazio per le valigie in alto, scoprendo tra l’altro una nidiata di striature di cellulite concentrate su un pancione flaccido che non arriverò mai ad avere neppure dopo una gara di birrette. Noto solo più tardi che la signora, che nel frattempo si è messa a sfogliare una rivista, ha dei pantaloni attillatissimi, neri e lucidi, tipo latex.

Il resto della carrozza cinque, sul treno che parte da Venezia Santa Lucia e va a Bologna, è quasi vuota.
Sento due nordafricani parlare dai primi posti. Lì accanto una donna sudamericana diretta a Firenze che sta parlando al telefono con una certa Chiarina e le dà appuntamento a venerdì 27 ma non è sicura che il 27 sia un venerdì.
C’è un ragazzino capelli rossi e lentiggini con visiera stile giocatore di poker che ha appena chiuso gli occhi.
C’è un signore con cravatta regimental e bretelle, fisico alla Danny De Vito e fedora in testa che sembra appena uscito da un fumetto. C’è una ragazza con tantissimi capelli e una grossa valigia blu che non sa dove mettere. C’è una donna probabilmente miope che continua a vagare avanti e indietro in cerca di qualcosa ma non si sa cosa. Al posto 9A, lato finestrino, ci sono io che scrivo, vagamente alterato, con un gran bisogno di infilarmi nel mini-bagno non appena il treno che non avrei dovuto prendere si deciderà a chiudere le porte e avviarsi sferragliando sul binario (siamo a 15 minuti di ritardo in questo esatto istante).
Non avrei dovuto prenderlo, questo treno, perché il mio biglietto, in realtà, prima di cambiarlo, era per il Venezia-Bologna precedente.

Sono partito stamattina alle 8,20 da Bologna diretto a Venezia per firmare qualche scartoffia amministrativa nella sede dello Iuav. Pratica sbrigata in pochi minuti.
Il treno dell’andata, causa sciopero, ha avuto un ritardo di venti minuti. Ma era un regionale veloce quindi niente di strano.
Torno in stazione, a Venezia, intorno alle 11,20. Scopro che il treno che avrei voluto prendere (11,42), un altro regionale veloce, è stato cancellato. Bestemmio. Sento una sorta di eco. È il tizio accanto a me con la stessa identica bestemmia, solo qualche istante dopo. È un bel ragazzo, alto, magro, accento pugliese. Entrambi dobbiamo andare a Bologna. Basta uno sguardo per metterci d’accordo. Io chiamo “la base”—la mia Ethel che intanto è a casa che lavora—per chiederle di informarsi sul prossimo regionale veloce (12,42). Il ragazzo intanto avrebbe chiamato per sapere di un eventuale servizio sostitutivo via bus, come di tanto in tanto capita.

Dalla base Ethel mi riporta quanto le hanno detto dal centralino di Trenitalia: se c’è il personale (ricordo che c’è sciopero) il treno partirà, altrimenti no. Del doman non v’è certezza ma nemmeno di lì a un’ora, a quanto pare.
Dal centralino le/mi consigliano anche di prendere una Freccia, ché le Frecce partono senza problemi.
Racconto tutto al ragazzo, che intanto è rimasto bloccato nel limbo del centralino. Lui chiude la chiamata e mi propone di fare comunque il biglietto del regionale (11,05 euro in seconda classe per 1 ora e 58 di viaggio) e poi salire sul primo che arriva.
Gli dico che prenderò la Frecciargento delle 12,25. Dal suo sguardo intuisco il suo dispiacere per la nostra improbabile “squadra”, che appena nata si è già sfasciata sotto i colpi del senso del dovere del sottoscritto. Le nostre vie si separano e io vado alla macchinetta a fare il biglietto. 30 euro nette per 1 ora e 25 di viaggio. I 33 minuti di vantaggio mi costeranno 0,57 euro al minuto.

Aspetto. Fumo. È una bella giornata di sole. Sento bestemmie in almeno quattro lingue, che poi sono quelle che conosco quel poco che mi basta per intercettare una porca…
Qualche minuto prima della partenza prevista il tabellone e la voce dagli altoparlanti annunciano che il mio treno è stato cancellato. Inizio a twittare maledizioni contro @LeFrecce, che si degnano di rispondere.

Intanto torno alla macchinetta e cambio il biglietto con uno per il treno successivo equivalente. Partenza 13,25.
Ho più di un’ora. Mangio, bevo, fumo. È una splendida giornata di sole, a Venezia.

La voce dall’altoparlante effettivamente ha poi annunciato (12,45 circa) che il treno delle 12,25, quindi di venti minuti prima, partiva da Mestre invece che da Santa Lucia. Ma le buone informazioni, coi treni, non funzionano anche retroattivamente.

@LeFreccie a quel punto non rispondono più. E io devo andare in bagno. Il bagno costa 1 euro. Solo porte automatiche, quelle dove infili la moneta nella fessura. Nessuno con cui lamentarsi. Non intendo pagare per un disservizio (lo sciopero) che mi costringe ad aspettare in stazione invece di salire su un treno che ho pagato dove farla gratis, o comunque coperta dai miei 0,57 al minuto.
Comincio a focalizzare la prospettiva di salire sul primo treno aperto e farla lì—un paio di volte è capitato. Alla fine decido di aspettare.
Sento altre bestemmie, forse stavolta in cinque lingue—pure se non capisco il giapponese i gesti sono inequivocabili).

Sono quasi le 12,42, orario previsto per un regionale che pure va a Bologna. Pare non sia stato ancora cancellato ma io ho comunque in tasca un biglietto da trenta euro per un Frecciargento. Prendo la decisione di salire sul regionale, se mai arriverà e, nell’eventualità di un controllore troppo scrupoloso nei confronti del mio biglietto sbagliato, attaccar briga e come la va la va.
Ma alla fine pure il regionale latita. Lo schermo annuncia 15 minuti di ritardo, poi 20, poi 25, poi 30…
Sempre nel frattempo, per fortuna, il mio treno viene annunciato. A questo punto dell’articolo sono arrivato a Padova. Sono fiducioso di riuscire ad arrivare a Bologna prima che mia figlia esca da scuola.

Guardo le mail e ce n’è una arrivata stanotte da Google che credo spieghi benissimo la differenza tra quel tipo d’azienda—quella della grande G, che di sicuro non è esente da lati oscuri ma che capace comunque di strapparti un sorriso e di dare vero significato all’abusatissimo termine “marketing emozionale”—e questo tipo d’azienda, quella su cui sono seduto sopra, carrozza 5, posto 9A, lato finestrino.
Una ti scrive giusto per comunicarti, persino con un certo understatement, che ti ha appena quadruplicato lo spazio e abbassato la tariffa. Quest’altra, come tante come lei, da Enel a Nutella, da Vodafone a Tim, sparano gran fanfare per il nulla o poco più e poi quando ti complicano la vita—il diritto allo sciopero è sacrosanto ma non segnalare per tempo, magari il giorno prima o la mattina stessa, quali treni saranno cancellati e quali no è diabolico, come ho pure twittato a quel poveraccio che gestisce l’account twitter @LeFrecce—non hanno la minima idea (né l’intenzione, credo) di come aiutarti.

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