Quello che accade in questi giorni ai libri di Roald Dahl non mi stupisce poi più di tanto.
Sono anni che gli editori chiedono a noi autori di alleggerire le parole, di smussare certi termini o di inserire a forza personaggi solo per compensare le ingiustizie sociali del passato o di un presente che non sempre ci riguarda direttamente.
“Devi metterci una bambina” è la richiesta che mi sono sentito fare più spesso negli ultimi anni.
Quasi nessuno accetta più che tu possa scrivere un libro in cui si gioca tra maschietti. Come se poi nella realtà non si facessero i gruppetti, maschi da una parte e femmine dall’altra.
Altra cosa che ormai impatta regolarmente nei nostri libri è il revisionismo storico. Nei libri come nel cinema, ormai dobbiamo raccontare il passato come se fosse il presente, cancellando quindi secoli in cui non ci sono stati pari diritti per donne e uomini, così come per neri e bianchi, ricchi e poveri.
Sono soprattutto i miei progetti americani a saltare più di frequente per questioni legate alla crescente “sensibilità” del pubblico. Io penso però che la parità di genere o l’inclusione spesso tirati in ballo per giustificare determinate scelte, siano temi sì importanti, che dovrebbero però essere trattati dalla politica e dalla società reale, non essere unicamente un’imposizione morale fatta a chi produce intrattenimento, con lo scopo di “dare l’esempio”.
Invece esiste questo equivoco per cui libri e film servano a educare i bambini al posto dei genitori, degli insegnanti, degli adulti in generale. Esiste anche l’equivoco per cui gli unici a cui si debba “insegnare” qualcosa, come la storia per esempio, siano appunto i bambini.
Quante volte ho sentito dire: “bisognerebbe portare i bambini in gita ad Auschwitz!”
Davvero è così necessario? Toglier loro fin da piccoli ogni illusione di bellezza e fiducia nel genere umano?
Ma perché invece non facciamo dei pullman di ministri degli esteri e dell’interno (ma vanno bene anche i ministri dell’agricoltura, delle infrastrutture, vanno bene tutti) da mandare in gita ad Auschwitz? Secondo voi, quanti dei nostri ci sono stati? E quanti sono mai stati in Siberia a vedere dove andavano i deportati di Stalin del quale, in un periodo storico non troppo remoto, alcuni elogiavano tanto il modello?
Esiste questo equivoco per cui libri e film servano a educare i bambini al posto dei genitori, degli insegnanti, degli adulti in generale. Esiste anche l’equivoco per cui gli unici a cui si debba “insegnare” qualcosa, come la storia per esempio, siano appunto i bambini.

Il perbenismo che ci obbliga a modificare i nostri libri e ora anche quelli degli autori defunti è un campionario di contraddizioni. La stessa America che pretende l’inclusione nei libri per bambini, poi abolisce diritti fondamentali come l’aborto per un cavillo legale.
La stessa Europa che pretende a sua volta inclusione, poi progetta muri contro gli immigrati.
Dove sono finiti l’inclusione e i diritti per tutti?
Parlando di cose più piccole e vicine al nostro quotidiano, guai ormai se una mamma in un libro per bambini lava i piatti. Statisticamente però, nella realtà, continuano a essere le mamme a farlo e a occuparsi, più in generale, della casa e dei figli.
Ormai da anni, è sempre la cultura a venire attaccata, e la cosa assurda è che sono le stesse persone che lavorano nell’ambito culturale a cavalcare la distruzione della libertà di espressione. Nei libri per bambini ci deve essere inclusione a parità. Nella realtà però, i bambini vittime dei bulli devono cambiare scuola, nella realtà i soffitti crollano sugli studenti, nella realtà gli studenti aggrediscono gli insegnanti e qualche accade volta accade anche l’inverso. Il problema però sono le parole nei libri, perché potrebbero ispirare cattive azioni.
Ma nessuno ha ancora dimostrato che i bulli picchiano i compagni o aggrediscono gli insegnanti per averlo letto da qualche parte. Del resto, se fosse così, ci sarebbe da chiedersi, che libri avevano letto da bambini Hitler, Mao, Stalin, Pol Pot, per massacrare tanta gente?
È stata tutta colpa di Beatrix Potter?
E perché in America certi studenti vanno a scuola con un fucile automatico e fanno una strage?
È colpa dei libri di Dr. Seuss?
E perché tanti maschi della mia generazione ancora non lavano i piatti? Forse perché nei libri di Richard Scarry era sempre Mamma Porcello a farlo?

Per quanto tutta questa storia sia priva di ogni logica, una logica invece ce l’ha.
O perlomeno è una logica conseguenza. Voglio dire, nel momento in cui nelle redazioni assumi il sensitivity reader, che cosa vuoi che faccia? Se il suo lavoro consiste nel trovare problemi, per mantenersi il posto, troverà problemi. Se finissero i problemi, finirebbe anche la sua utilità.
Anni fa ho seguito una lavorazione per degli americani e nel progetto comparve anche il sensitivity reader. Ho capito presto che il suo scopo non era spiegarci cosa potesse essere culturalmente frainteso e doveva quindi essere evitato, ma passare al setaccio il nostro lavoro con l’unico scopo di trovare l’occasione per dire che eravamo razzisti.
Dopo i primi invii di materiale, il consulente ebbe da ridire su un tono di Pantone. Affermò che facevamo white washing e nella sua brillante ingenuità, spese anche del tempo spiegarci che cos’era. Tutto perché il colore della pelle del protagonista non corrispondeva a quello del modello cinematografico.
E io, anziché lavorare a cose più utili, ho dovuto spendere altro tempo per spiegargli che la pellicola e la carta sono due supporti diversi, che sulla carta si stampa in quadricromia e che il marrone è un colore complicato, che facilmente si “impasta” perché contiene molto nero.
Tenerlo di un grado più chiaro quindi non era il desiderio di schiarire la pelle delle persone di colore perché sono un suprematista bianco, ma il desiderio di rendere leggibile un’immagine che, a seconda della carta utilizzata per la stampa, poteva dare un risultato molto diverso da quello apparentemente brillante del video.
Non ricordo di aver mai ricevuto una risposta né una parola di scuse.
In Francia, qualche mese fa una polemica scoppiata sul lavoro del fumettista Bastien Vivés è sfociata in minacce di morte nei suoi confronti e nell’annullamento della sua mostra prevista al Festival del fumetto di Angoulême. Innescata la polemica sul suo lavoro, i suoi detrattori si sono affrettati a inviare migliaia di messaggi al suo profilo Instagram ricoprendolo di insulti e dandogli del pedofilo, per i contenuti di alcuni suoi fumetti.
La pedofilia però, in Francia come altrove, è un reato e nei confronti di Vivés non mi risulta nessun procedimento giudiziario. E anche se fosse, oggi la legge ci impone di indicare la persona sotto processo come “presunto” autore del reato contestato. Persino gli attentatori del Bataclan, durante il processo, sono stati indicati come “presunti autori” della strage.
Ma i processi sui social ci piacciono di più perché sono immediati. Sono condanne a morte senza diritto di replica né di appello, perché non vediamo l’ora di veder scorrere il sangue e di vedere qualcuno precipitare nel fango.

Ecco, è questa mancanza generalizzata di moralità, di civiltà, di logica e di cognizione giuridica che ci ha portato fin qui, all’epoca in cui si censurano le storie di Zio Paperone di Don Rosa o i romanzi di Roald Dahl perché li riteniamo scandalosi, perché abbiamo la coscienza sporca sul nostro passato e perché anziché come narrazioni li intendiamo come manuali di comportamento, cosa che non sono. Così come le azioni o i pensieri di un personaggio di invenzione non necessariamente rispecchiano le intenzioni e le idee del loro autore, così un libro un fumetto, un film non sono un manuale comportamentale.
Curiosamente ci indigniamo per ciò che leggiamo in un libro o vediamo in un film ma lo facciamo molto meno per le migliaia di individui che da anni vivono baraccati in una tendopoli a nord della Francia, più volte sgombrata dalle autorità francesi, così come ci indigniamo meno per la quantità di denunce relative a molestie sessuali subite da minori in chiesa. Stranamente non ne percepiamo l’ingiustizia e non ci sentiamo responsabili quando non facciamo niente per cambiare il corso delle cose.
L’importante è che nei libri per bambini, a seconda del caso, non si veda un culo, una donna che passa l’aspirapolvere o un nero povero. E poi che non si usino parole come “basso” o “grasso”.
L’importante è che nei libri per bambini, a seconda del caso, non si veda un culo, una donna che passa l’aspirapolvere o un nero povero. E poi che non si usino parole come “basso” o “grasso”.
Io penso che forse, in fin dei conti, non dovremmo prendercela con il sensitivity reader, ma riflettere sul fatto che il problema sta sempre nelle scelte che facciamo.
Se a qualcuno dai un uovo e una padella, farà una frittata.
Ma se gli dai una mazza da baseball, sarà difficile che cucini qualcosa.
[N.d.E: Nelle foto, alcuni dei libri di Roald Dahl, pubblicati in Italia dalla casa editrice Salani, che — ci teniamo a sottolinearlo — non c’entra nulla con la polemica sulle modifiche alle storie di Dahl]
