Ma chi lo ha detto che in Italia tutto funziona male?

Colonna sonora consigliata:
Gérard Calvi, Les Douze travaux d’Astérix, Theme Principal

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Per lavorare in America mi è stato richiesto un ITIN number, cioè un numero di identificazione fiscale. Per ottenerlo devo compilare un form e inviare una copia autenticata del passaporto.
E qui iniziano i problemi.

Il mio passaporto è stato emesso a Genova. Dalla Francia contatto un servizio online della questura per chiedere informazioni. Mi rispondono che l’autentica che chiedo non è un documento che la Questura può emettere, ma posso produrre qualcosa che gli va vicino. Deve presentarmi di persona.
Passano quindici giorni: rientro in Italia e vado in Questura.
All’indirizzo sbagliato. Colpa mia.
Ma quello giusto non è molto lontano.

Al nuovo indirizzo entro e un agente in divisa allo sportello mi dice, con fare respingente, che il documento che chiedo non esiste. Faccio presente che già lo so, ma che un collega che ha risposto per e-mail ha detto che possono farmi qualcosa di simile.
Solo allora mi indirizza al signor Tale.
Devo uscire dall’edificio ed entrare in un altro portone.
Trovato il portone un altro agente in divisa si informa su ciò che cerco. Chiedo del signor Tale e lo chiamano. Non c’è sala d’aspetto. Le persone aspettano nell’atrio e gli impiegati a turno escono dagli uffici.
Al posto del signor Tale scende dal piano di sopra una ragazza. Anche lei si informa sul documento che mi occorre e quindi va a cercare il signor Tale che comparirà dopo una mezz’ora. Mi spiega cosa possiamo fare. Una certificazione di validità del passaporto che andrà poi tradotta in Prefettura.
Ricordatevelo per favore: tradotta in Prefettura.
Per il primo documento ci vorranno 2-3 giorni al massimo.
Mi telefona lui quando è pronto.

Dopo 10 giorni mi viene il dubbio di aver dato il numero di telefono sbagliato e quindi ripasso in Questura. Chiedo del signor Tale che compare dopo una quarantina di minuti con il mio documento che, per usare un eufemismo, odora di inchiostro fresco.
È evidente che lo ha preparato mentre aspettavo.
Poi mi ricorda il resto dell’operazione: devo fare tradurre in Prefettura dal signor Coso e fare apostillare. Insomma, mettere un timbro.

Attraverso la città e vado in Prefettura dove una signora con aria saccente mi comunica che sono in ritardo. L’ufficio è aperto solo dalle 9 alle 11. Il signor Coso comunque non riceve lì ma negli uffici del palazzo di fronte. A conforto di ciò mi mostra con orgoglio la pagina web della Prefettura con il nome del signor Coso, il relativo ufficio e l’orario di apertura.
Ricordatevi anche questo.

Torno in Prefettura dopo due giorni, alle 9 del mattino. L’ufficio che cerco ha la porta chiusa. In realtà lo sono tutte. Impossibile capire se c’è qualcuno dentro o meno, se non dalle risate che sento. Evidentemente qualcuno si diverte a fare il suo lavoro.
Quando da una porta esce un tizio gli chiedo del signor Coso e mi dice che non c’è, e di bussare alla porta accanto.
Nell’ufficio della porta accanto due signore mi spiegano che: il signor Coso non è più attribuito a quel servizio (ma il sito non diceva di sì?) e che comunque la Prefettura non fa traduzioni di documenti.
Devo andare in Tribunale.
Il fatto che mi ci abbia mandato la Questura non è di alcuna rilevanza.
Il Tribunale comunque è vicino. Mi spiegano che l’Ufficio Traduzioni è al primo piano. Poi devo salire al quinto per i timbri.

In Tribunale la signora dello sportello informazioni mi comunica che non esiste nessun Ufficio Traduzioni. Per qualche motivo sembra che in Prefettura non riescano a capirlo.
Mi dice: non se lo può tradurre lei? Lo sa un po’ di inglese?
Io parlo inglese, ma essendo un documento vorrei spedire in America qualcosa che non sembrasse redatto da Paolino Paperino, quindi preferirei un traduttore.
La signora allora mi scrive un nome su un pezzo di carta. «Non dica a nessuno che gliel’ho dato,» aggiunge porgendomelo, «che io in queste cose non voglio averci a che fare».

Salgo al quarto o quinto piano, ora non so più. Immagino di trovare un commerciante di carne umana o un’accolita di sodomiti e invece… è solo un impiegato che fa traduzioni.
Quando gli spiego di cosa ho bisogno, prova a mandarmi in Prefettura.
Visto che è da lì che vengo si rassegna: stamattina gli tocca lavorare almeno 10 minuti.
Mi spiega la tempistica: due giorni per la traduzione, 14,50€ per il timbro.
La traduzione invece costa 30€.
Quando andrò a pagare, capirò che i 30€ che vanno a lui per la traduzione sono in nero, perché non accenna a lasciarmi niente che somigli a una ricevuta.
Per darmi il resto, da un sacchetto, tira fuori 48 centesimi, in monete da uno.

EPILOGO / 1

In tutto ho speso una cinquantina di euro e dopo sole quattro mattine spese tra un ufficio e l’altro e quaranta giorni di attesa (durante i quali ho fatto avanti e indietro dalla Francia due volte) alla fine ho avuto il mio documento.
Ma chi lo ha detto che in Italia tutto funziona male?

EPILOGO / 2

Anche il mio collega francese Benjamin ha dovuto produrre lo stesso documento.
A lui è bastato un giorno e non si è mosso da casa.
Ha fatto la richiesta via email e glielo hanno spedito.

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