Se Babbo Natale ti chiede l’elemosina

1942, l'attrice hollywoodiana Ida Lupino sculaccia un Babbo Natale

Milano, stazione Garibaldi. Io e la mia socia Francesca, in trasferta milanese per discutere di contratti, aspettiamo un treno per Bologna che ha un ritardo di 10 minuti (per la cronaca, si tratta di un treno Italo che, nonostante i fan occhialuti stile nerd cattocomunista – o supporter renziano – che ingannano l’attesa fraternizzando con le hostess vogliano credere il contrario, non è infallibile).

Usciamo per qualche minuto. Io per una sigaretta, lei per una telefonata. Fuori, assieme a noi, macchine che passano, gente che va e gente che viene, due poliziotti che pattugliano, un paio di Babbo Natale che girano con dei sacchetti di caramelle in mano. Uno dei due, il fisico da rugbista e occhi di ghiaccio da husky siberiano, offre una caramella a una bambina. Lei sta già allungando la mano – dopotutto ai bambini diciamo di non accettare caramelle dagli sconosciuti ma da quando Babbo Natale è uno sconosciuto? – ma la nonna, una bella signora sui sessanta/settanta, cappotto chiaro, una vaga somiglianza con l’attrice che interpretava la nonna di Jen in Dawson’s Creek e che interpreta tuttora la suocera di Alicia Florrick in The Good Wife, anticipa la nipote e con gentilezza rifiuta l’offerta.

La bimba rimette via la mano ma continua a guardare gli occhi di ghiaccio del Babbo Natale rugbista – poco più in là il suo collega, più smilzo e meno credibile, sta accendendosi una sigaretta – che rimette la caramella nel sacchetto, si avvicina alla nonna, apre la mano — per mangiare, signora, dice. Un secondo di gelo. Sguardo perplesso di nonna Florrick che mette la mano nella borsetta, apre il portafogli senza tirarlo fuori, prende 1€, lo mette in mano a Babbo Natale, prende la nipote (le domande che seguiranno posso solo immaginarle) e se ne va.

Babbo Natale ringrazia e passa a noi. Dunque non aver bambini attorno non è condizione sufficiente per tenersi alla larga da caramelle barattate con l’elemosina.
Francesca è ancora al telefono. Ecco il mio euro, in cambio di una gommosa Gelées gusto fragola.

Babbo Natale ringrazia e passa al prossimo. E così via. Finché quando torna per andare a chiacchierare col compare – che come me intanto ha finito la sigaretta – e mi saluta sorridente. La barba bianca gli dona, penso. Ma Babbo Natale non dovrebbe mai – mai – chieder soldi, penso. Ché lui è il simbolo della bontà della generosità, d’accordo, ma dovrebbe dare, non chiedere.
Un bambino – che ci crede, che è immerso nella fiaba, nella magia, per cui il simbolo funziona ancora e non è ridotto a segno – dovrebbe assistere alla scena di Babbo Natale che chiede i soldi per farsi un panino o un cartone di tavernello? Come glielo spieghi a tua figlia o a tuo nipote?

Mi chiedo pure: sono un ipocrita che vuole far finta di niente? Premetto: per me la magia del Natale è sacra e intatta come un prato innevato che niente e nessuno ha ancora violato con impronte di piedi o merda di cane. Ci tengo a farla rimanere così e mi rendo conto che ogni anno – quando i cinici, i pragmatici ed i disincantati iniziano a far opera di smantellamento morale e psicologico e (altrettanto cinici, pragmatici e disincantati) commercianti o dirigenti d’azienda cominciano a metter su l’artificiosa commedia natalizia per null’altro che vendere, vendere, vendere – mi sento accerchiato e difendo il mio fortino magico (artificiale e forzato quanto i loro, capiamoci, non vivo su un altro pianeta) metaforicamente recintandolo di buoni propositi ed addobbandolo di ricordi d’infanzia che provo pure ad innestare nell’infanzia in divenire di mia figlia.

E gli occhioni di ghiaccio del Babbo Natale mendicante li vivo come una violenza, come uno che vuole scavalcare a forza il mio recinto illuminato per entrare a pisciare sulla neve fresca.
Però penso anche: i Babbo Natale delle pubblicità, però, non fanno forse lo stesso? Non chiedono soldi per un vino caldo, d’accordo, ma la differenza non è poi molta. Sono di fatto intermediari, agenti, promoter, celebrities prezzolate da qualche azienda.

Basta una minima selezione di spot dagli anni ’80 in poi (guardati la video-playlist qua sopra per tornare indietro nel tempo) per vederli di volta in volta svilirsi cucinando i 4 Salti in Padella; rivelarsi come il volto buono del padrone capitalista in una sorta di trasformazione à la Dottor Jekyll e Mr. Hyde; fare endorsement per il baffone del Tonno Insuperabile; rapire bambini per vendere panettoni; riprendersi dalla depressione quando ri-scoprono le gioie del consumismo; vendore il nome a un marchio che fa alberi di Natale trash; distribuire cataloghi e dare passaggi in slitta per portarti nei negozi a spendere; cercare di convincerti che se non hai la pay-tv o un iPhone sei uno sfigato; spacciarsi per conducenti ubriachi e tamponarti con la slitta per piazzarti un abbonamento a Mediaset Premium; trasfigurarsi in sosia di Rasputin e fare magie per ipnotizzare bambini e convincerli a mangiare cioccolato; diventare inquietanti fattoni che si intrippano davanti ad una palla di vetro; convincere con la telepatia uno dei bambini più antipatici di tutti i tempi – buttati, che è morbido! – con la complicità di suo fratello, a fargli trovare un panettone Motta per ammorbidire l’atterraggio dal camino; cercare addirittura di convincerti ad aprire un account Facebook e a spammare foto di barattoli di Nutella; fare stalking per quasi cinquant’anni ad una ragazzina ed offrirle Coca-Cola finché lei, alla fine, rendendosi conto che col tempo si è rincoglionito, lo va a cercare e gli presenta la nipotina…

Cinema, letteratura e cartoons ci hanno dato innumerevoli versioni del barbuto vecchietto – dalle varianti porno a quelle horror, passando per parodie di ogni tipo – ma resta il fatto che la società dei consumi ha trasformato un santo, una leggenda, un simbolo in una puttana.

Dopotutto nasce proprio come tale, almeno così come lo conosciamo: rosso. La storia, lo sanno anche i bambini gli unici che non lo sanno sono proprio i bambini, parte da San Nicola, vescovo turco (altro che Polo Nord!) poi finito post-mortem a Bari (e diventando appunto San Nicola di Bari). Mettici poi un pizzico di leggende germaniche, un po’ di folletti scandinavi, il Fantasma del Natale Presente di Dickens – tutto barba e ciccia – come riferimento estetico ed uno scrittore newyorkese a mescolare il tutto ed eccoti il moderno Babbo Natale, inizialmente verde, poi diventato rosso per ragioni di marketing.

Da anni si dice che il cambio cromatico sia “merito” della Coca-Cola ma pare che già altre aziende abbiano utilizzato il paffuto nonnetto in versione scarlatta per le loro pubblicità fin dai primi del Novecento (il primo in assoluto però apparve in un’illustrazione su Harper’s Weekly nel 1862) anche se è innegabile che lo sdoganamento definitivo fu proprio opera della multinazionale di Atlanta, con le storiche pubblicità realizzate tra gli anni trenta e gli anni sessanta dall’illustratore Haddon Sundblom, di fatto colui che ha definito l’immagine coordinata di Babbo Natale.

Dunque inutile fare gli ipocriti. Inutile trascinare via i bambini dal primo Ivan o Bruno o Mohammed mascherato che ti chiede qualche spiccio. Alla domanda perché Babbo Natale vuole i nostri soldi? la risposta è semplice: tutti i Babbo Natale fasulli vogliono i nostri soldi, soprattutto quelli della tv. Solo quello vero non li vuole. E lui, lo sappiamo, arriva soltanto quando nessuno lo sente e lo vede.

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