5 motivi per cui un piccolo brand non riesce ad andare avanti

Ho incontrato e parlato al telefono, via mail, di persona con F.D. (le iniziali stanno per un generico Fashion Designer, il perché dell’anonimato lo spiego più avanti) più volte negli ultimi anni. Esattamente come con decine di altri suoi colleghi e concorrenti.

In special modo di questi tempi chiedo spesso a chi lavora nel settore moda da new entry, da outsider o comunque nella posizione di chi deve lottare ogni singolo giorno per sopravvivere — cosa comune tra i piccoli marchi Made in Italy — come vanno gli affari, se si muove qualcosa, soprattutto com’è la situazione italiana.
Insieme ad una quantità di frasi di circostanza di tanto in tanto qualcuno ti guarda negli occhi e decide di dirti la verità. F.D. è uno di questi.

Ascoltando il suo sfogo, gli (il maschile qua è generico) ho proposto di renderlo pubblico attraverso le pagine di Frizzifrizzi.
Per la cronaca: F.D. avrebbe voluto metterci la faccia ma visto il mare in cui nuota, con una densità di squali più alta della media, pronta a fartela pagare con cinica e vendicativa soddisfazione, gli ho consigliato l’anonimato. «Non sei uno Stefano Pilati» gli ho detto, giusto per citare uno che può permettersi di togliersi dalla scarpa tutti i sassolini che gli pare «a te possono farti fuori con l’abilità di un cecchino e io di certo non voglio averti sulla coscienza!».

Insieme, dunque, abbiamo deciso di lanciare questo sasso. Per aprire un po’ gli occhi al pubblico sui backstage non sempre scintillanti del Sistema Moda in Italia, sulle problematiche delle giovani realtà che non hanno alle spalle capitali di famiglia che ti permettono di “giocare a fare lo stilista” a cuor leggero e soprattutto per vedere se in questo mare di squali c’è qualche pesciolino che vuole raccoglierlo il nostro sasso e magari iniziare a fare gruppo e a metterci la faccia tutti assieme.

Ora lascio la parola a F.D. e quanti vorranno commentare, discutere, diffondere quello che ha da dire.

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Critica della ragion pura / critica della ragion pratica (italiana)

Quando, un paio di settimane fa, parlando con Simone uscì fuori la proposta di scrivere un piccolo sfogo di cosa succede ai brand emergenti nel cosiddetto Sistema Italia ero al settimo cielo. In questo paese emergere e portare a casa un risultato sta diventando una missione impossibile e avevo voglia di raccontare la mia esperienza, sicuro di non essere l’unico in questa situazione.

Nei primi due giorni raccolsi un po’ di idee su come strutturare questa “denuncia verbale”. Oggi mi ritrovo a non sapere più da dove iniziare perché in due settimane me ne sono successe così tante da poterci scrivere un romanzo. Il mio umore è ai minimi storici e la voglia di andare avanti cala come l’asticella di un termometro ficcato sotto all’ascella di un cadavere.

Faccio parte di un team creativo che ha sempre puntato all’eccellenza sia per quanto riguarda la manifattura dei propri prodotti, le materie prime utilizzate, sia per quanto riguarda l’immagine del marchio, il posizionamento nei negozi, la copertura da parte di magazine e blog. Ognuno di questi punti potrebbe diventare un capitolo del suddetto romanzo. Li userò, riassumendo, per raccontare la mia situazione.

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La ricerca della materia (non siamo in Final Fantasy VII)

È la base per una collezione sia di abbigliamento che di accessori. Riuscire a trovare quel tessuto, quella passamaneria che possono diventare il tuo biglietto da visita, il tuo quid che possa permetterti di emergere tra una miriade di competitore. È una ricerca lunga, complicata. E devi essere pronto ad una lotta fino all’ultimo sangue con i fornitori.

I pagamenti sono tutti alla consegna, nessuno ti dà fiducia. Le consegne non vengono sempre rispettate e qualora si volesse esporre reclamo è solo fiato sprecato, hanno sempre ragione loro.

Delle volte campioni degli articoli pensando di utilizzare del made in Italy quando in realtà si tratta di materiale d’importazione e lo scopri solo quando ti avvertono che ci sono problemi alla dogana… (e ti domandi “perché mai mi stanno parlando di dogana?!”).

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È una chimera o è un produttore?

Una volta avuta l’idea, buttata giù la collezione e trovato i materiali per realizzarla devi affidarti ad un fasonista che ti confezioni il tutto.

In Italia aleggia da tempo questa parola — crisi — per cui ci si aspetta che anche le piccole produzioni vengano prese in considerazione ma non è così. O il tuo ordine raggiunge i quantitativi minimi oppure nemmeno ti considerano.
A quel punto cerchi in qualche modo di raggiungerli, questi minimi, creando un magazzino magari sproporzionato rispetto alle tue necessità, magazzino che di sicuro farà le ragnatele. Ma se vuoi entrare nel mercato e farti conoscere abbassi la testa e fai il tuo mega-ordine.

Il campionario che presenti è studiato per bene, hai preso mille accorgimenti, tutto è realizzato con una precisione certosina. Ma ecco che in produzione iniziano a limare le rifiniture. Solo quelle, mica il costo! Che rimane quello preventivato nonostante tutti quei piccoli dettagli che hai studiato vengano pian piano eliminati.
Fai subito notare le modifiche e la risposta che ottieni è: «il campionario era stato fatto in un altro periodo, ora le cose sono cambiate e se vuoi che il capo sia identico a quello di campionario il prezzo va rivisto».
Ovviamente non vuoi fare brutta figura con i negozi ma soprattutto hai una fastidioso tarlo dentro di te che si chiama morale per cui non vuoi scendere a compromessi e anche se sai che ci rimetterai dei soldi vuoi che ogni cosa venga fatta esattamente come era stata presentata al negozio.

Sarebbe bello se la storia dei fasonisti finisse qua ma la vera chicca è che prima ti si presentato come confezionatori che fanno in proprio poi però misteriosamente mutano aspetto come una Chimera e diventano terzisti…
In pratica la tua produzione viene affidata ad un laboratorio cinese dietro l’angolo. Lì, spesso, quella di cucire diritto è una richiesta impensabile.

Grazie al cielo sono un tale rompiscatole che alla 5ª volta che chiedo di vedere un campione di solito scopro la magagna e chiudo immediatamente i rapporti. Ritrovandomi però con una produzione da portare a casa e la necessità di cercare di corsa un altro fasonista, che come un predatore fiuta la fretta e per realizzare il tutto chiede solo il doppio.
Ti ritrovi, dopo mille difficoltà, con dei capi di qualità per i quali hai già concordato il prezzo con il negoziante e visti i costi di produzione lievitati rischi di andare in rosso.

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Showroom. Ma dov’è la mia collezione?

Una volta pronto un campionario bisogna intraprendere una campagna vendite. Quale luogo migliore di uno showroom!
In realtà ad un brand alla prima collezione consiglio di non fare una cavolaia simile. I rischi sono tantissimi.
Molte volte ti viene chiesto un fee d’entrata (parliamo di cifre anche notevoli) e capita che a fine campagna vedi che il tuo venduto non la copre neanche tale fee.

Altre volte lo showroom ti prende gratis perché vede in te un astro nascente ma in realtà ti mette in un angolino in fondo in fondo per tappare un buco e fare solo un po’ di colore.

Altre volte ancora i buyer chiedono di te ma lo stesso showroom sconsiglia l’acquisto e gira il loro interesse su altri brand con i quali hanno già fatto buoni numeri e vogliono consolidare la stagione.

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Boutique. Scherzi ma noi paghiamo subito!

Finalmente sei pronto per consegnare e, rispettando tutti gli accordi presi durante il periodo di campagna vendite,  emetti fatture con pagamenti dilazionati per facilitare la vendita e far bella figura con il negozio.

Essere pagato da un negozio in Italia è più complicato che imparare il sanscrito.
La cosa simpatica (a dire il vero non c’è nulla di simpatico) è la miriade di scuse che incominci a ricevere e collezionare:

– scusa ma ho avuto problemi a vendere la tua merce (sì ma se la ricarichi del 320% quando il mio prezzo consigliato era di gran lunga inferiore di chi è la colpa?);
– c’è crisi la gente non entra nei negozi fa troppo caldo o fa troppo freddo;
ah, non ho visto la fattura;
– colpa delle poste, hanno smarrito l’assegno ed io ho smarrito il documento di spedizione.

Potrei continuare con l’elenco ma sarebbe troppo lungo… la cosa più bella è vedere i proprietari di queste “boutique” o “concept store” che dicono di non avere soldi e di non riuscire a pagarti, proponendo soluzioni a 120/150 gg dalla consegna merce ma poi su facebook vedi che hanno comprato l’ultima borsa di Balenciaga, fanno vacanze in Honduras oppure cenano in posti top ogni sera, dove ovviamente 3/4 scatti delle pietanze che ordinano non possono sfuggire al mitico Instagram!

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Blog & Magazine. 100 € e copio/incollo il tuo comunicato stampa

Esser pubblicati sul web o sul cartaceo è fondamentale.
Per far questo esistono le agenzie di PR che — giustamente — hanno un cachet mensile. E il più delle volte si tratta di cifre importanti.
Per risparmiare qualcosa un brand in fase di start-up decide di fare la parte press tutto da solo: usando i social network, ricercando nelle ultime pagine delle riviste le persone di riferimento, ecc.

A tutto ero preparato tranne al fatto che numerosi blog, appena invii una richiesta di pubblicazione fornendo tutto il materiale necessario (lookbook, still-life, press release) ti rispondono dicendoti che per un articolo sul loro sito si paga dai 100 € in su.

Sia ben chiaro non tutti i blog operano in questo modo. Altri ti chiedono semplicemente dei regali o altri ancora nulla e lo fanno solo per amore del proprio lavoro.
Alcuni lo fanno sì gratis ma poi fanno un semplice copia/incolla del comunicato che hai inviato tu.
Per quanto riguarda le riviste cartacee, puoi inviare il tuo lookbook stampato o digitale, regali o lettere di presentazione, ma puoi star certo che la possibilità che si accorgano di te è quasi nulla.

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Come ho scritto all’inizio, ogni punto potrebbe essere approfondito. E di molto. Queste sono le mie (e magari solo le mie) problematiche. Ma credo che la mia situazione sia quella di molti altri marchi emergenti, qui in Italia. Se qualcuno dovesse trovare riscontro nelle mie parole credo sia giusto – per se stesso, per i lettori, per me, per tutti quanti – che lo esprima. Magari come me in forma anonima. Se fossimo in molti potremmo metterci la faccia.
Per quanto mi riguarda, io amo il mio lavoro e continuerò a farlo, stringendo i denti e cercando di farmi scivolar di dosso parassiti, anatemi, momenti di sconforti che vorrebbero/potrebbero portarmi a chiudere.

F.D.

co-fondatore e direttore
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  1. Grazie Simone di aver scritto un articolo (come sempre) ottmo ed esaustivo, riguardo una cosa che più o meno tutti "nell'ambiente" sanno, ma non ne parlano per appunto paura di essere "eliminati". Purtroppo è veramente molto difficile emergere per un giovane designer, anche per quello più bravo e con prodotti migliori, e ne approfitto anche per dire che Frizzi Frizzi fa un lavoro ECCEZIONALE, ogni giorno, "scovando" cose interessanti e pubblicandole in un blog che ormai è un punto di riferimento per chiunque..
    Arrivato alla parte in cui parli dei Blog&Magazine, mi è subito venuto da pensare "Purtroppo siamo in Italia": l'attenzione dei media è sempre bassa, se non inesistente, verso chi si inserire nel mercato (o almeno ci prova), ed è veramente triste vedere come riviste del calibro di Vogue Italia si preoccupino di pubblicare solo articoletti da terza media, solite noiose banalità (ogni tanto mettono dentro il "NO ALL'ANORESSIA" per ottenere consensi), ma di nuovi Designer non ne parla nessuno (sempre che non hai pagato la cara direttrice, allora una considerazione potresti ottenerla). Che tristezza.

    1. Grazie per i complimenti Marco.
      Purtroppo la parte blog non riguarda solo quelli italiani. Fuori da qua la situazione – per una volta – non è certo migliore.
      Per quanto riguarda Vogue si può criticare tutto ma pagare direttori e giornalisti è illegale e sono sicuro che, se tante critiche si possono muovere alla stampa tradizionale, quello dei giornalisti prezzolati (fenomeno che capita ma che non è la prassi) credo sia l'ultimo dei problemi.

      1. Caro Simone, è un ottimo articolo.
        Vorrei però che non si generalizzasse tutto.
        Io ho una piccola azienda a Vicenza e stiamo collaborando con dei giovani stilisti, facendo tutto all'interno della nostra sede e senza appaltare e subappaltare nulla.
        Capita di avere a che fare con degli strozzini della moda, ma si trovano anche persone per bene.
        Sono ovviamente d'accordo con i fornitori di tessuto! ahahah!
        Buon lavoro a tutti, ragazzi!

  2. Bravo Fashion Designer, hai fatto bene a raccontare la tua storia, magari servirà solo a sentirti meglio, ma io la tua storia l'ho letta con piacere.

    Lavorando come Art Director per il settore, ho già sentito dire e sperimentato sulla mia pelle quello che dici, oltre a questo hai dimenticato di menzionare la parte commercialisti e tasse che come sai pesano sul quotidiano.

    Sono sicuro che questo articolo sia utile per scoraggiare chi con tutte le buone intenzioni ma senza le dovute competenze vuole intraprendere questo cammino. A chi ha buone competenze consiglio di trovarsi dei soci di capitale o dei soci che possano occuparsi dell'aspetto produzione/economico per lasciare la mente libera per sviluppare e comunicare la collezione.

    Il futuro lo vedo molto duro per marchi emergenti che sperano di lavorare con negozi multimarca.
    E' dal 1999 che vado dicendo che secondo me in generale il futuro è dei Brands che costruiscono la propria rete di vendita con negozi di proprietà, non c'è storia, il negozio ti vende il capo e prende i soldi subito, guadagnando tutto quello che c'è da guadagnare.

    Auguri a te e a chi sta per intraprendere questa strada ed un consiglio.

    Cercate di aprire un punto di vendita vostro, magari in società con qualcuno che ce fa già questo lavoro.
    Se va bene avrete davanti altri punti vendita da aprire e poi il salto verso la vendita online.

    Auguri

  3. Caro Simone, Leggendo questo articolo mi sento meno sola…è da più di 4 anni che mi distruggo per fare emergere il mio piccolo Brand. Mi è successo l'impossibile. Le problematiche sono esattamente quelle riportate nel tuo post insieme a molte altre come ad esempio il credito delle banche (quale?). Nell'ultimo anno io ho stravolto il classico sistema di cui facevo parte, tornando in un certo senso indietro, perchè ho capito che andando avanti così mi sarei solo indebitata ulteriormente. Sarebbe utile e importante condividere le Nostre esperienze di "poveri" giovani imprenditori della moda. Non lo so, magari con calma potrei scrivere anch'io la mia esperienza in Veneto tra lavoro svolto al bar in mezzo a spritz e bestemmie prima di avere un ufficio e scambi di tessuti in autostrada…Grazie

  4. Come sempre un eccellente argomenti , ma tu sai di quale paese stiamo parlando , e tutto cio che ci sta capitando ce lo siamo cercato e meritato. Purtroppo cio che non si dice nell articolo e che abbiamo i giovani piu loffi d Europa e che la percezione del nuovo gli italiani cel hanno dopo 5 anni che le cose son partite(5anni se va bene) promo molta stima per questi ragazzi che si mettono in gioco e consiglio a chi e veramente ingamba e determinato di abbandonarlo questo posto perche fatto di serpi attaccate alle loro poltrone e alle loro stupide convinzioni . La verita e che prima di parlare di veri cambiamenti in italia dobbiamo chiederci chi siamo diventati e come siamo arrivati ad essere cosi avari . Il nuovo per portare miglioramenti e cambiamentipositivi ha bisogno di trovare una giusta strada

  5. Mamma mia che bello e che lucidità! tipica del FrizziFrizzi che amo.

    Dal canto mio posso dire a F.D. che su Dapasserella c'è sempre spazio e GRATIS per chi ha qualcosa da comunicare. Farsi pagare per un articolo è indecente, sul fare copia e incolla dei comunicati è altrettanto poco interessante … prendere spunto rielaboralo prenderne 5 righe è una cosa ma metterlo così come ti è stato mandato no. Un minimo d'intervento ci deve sempre essere.

    Contenuti e voglia di supportare chi in fondo ti permette di avere anche te visibilità potrebbe fare tanto anche per battere la crisi! – intervento scritto di getto e di pancia non so neppure se si capisce bene il senso, ma almeno non ho fatto ctrl+c ctrl+v da FrizziFrizzi ;) –

  6. ciao sono una (plus size) fashion blogger e no- non ricado nella tipologia fashion blogger arrivista-superficiale-analfabeta di cui molti si lamentano però foraggiandola. Io parlo spesso con aziende, distributori, designer (piccoli e grandi), altre blogger (più o meno seguite) ecc. e conosco più o meno i vari punti di vista.

    In quanto ai distributori sono in parte d'accordo, vedo poco impegno a investire e a venire incontro a clienti e aziende, vedo però anche persone che si sbattono e non riescono a tenere in piedi un piccolo negozio che magari fa scelte di qualità. Per quanto riguarda i blogger invece rimango allibita. Rimango allibita perché anche qui mi sembra che si faccia di tutta l'erba un fascio.

    Innanzitutto credo che tu la pubblicità su giornali e magazine e media la paghi profumatamente, giusto? Credo anche che se pretendi un bel post scritto bene dovresti rivolgerti a un certo tipo di blogger (poco diffuso) che raramente parlerà però di una collezione se non lo decide lui, e se tu lo richiedi perché dovrebbe farlo? In nome di cosa? La passione è, sono d'accordo, alla base del blogging, ma allora parlo di quello che interessa a me e non di quello che mi chiedi tu.

    Mi meraviglia che tu ti lamenti di dover lavorare guadagnando poco, ma poi chiedi qualcosa in cambio che sia 'su richiesta' e lo dovrebbero fare solo per 'gentilezza' o passione. Io non ho mai chiesto 100 euro per scrivere un post, però è anche vero che se chiedi a chi ha 10.000 visite al giorno (e quelle non le ottieni con la semplice passione, ci vuole impegno e investimento) forse hanno ragione a chiedertele. Non credo che grossi brand, altrimenti, investirebbero in campagne con blogger famosi solo per sport.

    Io penso che tu chieda a una tipologia di blogger che è poi la tipologia che viene proprio disprezzata da te o da altri. Perché invece non farlo con intelligenza e rivolgersi a blogger magari meno seguite dei grossi nomi, ma con un pubblico fidato e con contenuti più consistenti? Io ho capito che qui si vogliano lanciare frecciatine a persone precise, ma farlo lanciando la pietra nel mucchio mi pare una cosa poco ben fatta (rischi di offendere chi nelle sue cose ci mette dell'impegno). Generalizzare è per me sempre sbagliato.

    1. Diva, se leggi bene c'è scritto diverse volte "alcuni", "altri" ecc…
      Non vedo fasci e di erbe in questo mondo ce ne sono di utili e commestibili, di curative (almeno per l'animo), di bellissime, di meravigliose ma vuote, di infestanti.
      Il fenomeno dei "100 euro" c'è. Come pure tanti, tantissimi che non chiedono niente, perché ci mancherebbe pure spillar soldi ai piccoli marchi per un semplice post di segnalazione.
      Non vedo, però, frecciatine a persone precise. Solo il racconto di un'esperienza. E se non si è "uno/a da 100 euro" non vedo perché qualcuno debba rimanerne offeso.

  7. p.s. qualcuno ha mai pensato che talvolta è il ripo di comunicazione che si instaura con un blogger ad essere sbagliato? Se venissimo meno trattati come mezzi, se qualcuno leggesse davvero i nostri blog, se si cercasse di capire cosa cerca il cliente (cosa che spesso noi sappiamo attraverso la comunicazione con chi ci segue) credo che si otterrebbero più recensioni spontanee e gratuite, ma allora se non investi danaro devi investire tempo… qualcosa ci vuole

    1. In parte sono d'accordo. Ma più che i marchi sono gli uffici stampa e le agenzie di PR a non leggere davvero i blog e a sbagliare completamente l'approccio. Noi coi piccoli marchi, ad esempio, lavoriamo benissimo. Meglio che con i grandi. E rifiutiamo ogni post/proposta di quello che non ci piace.

      1. Ciao Simone,
        concordo con quello che scrivi e ti faccio i complimenti per questo post. Concordo però anche con quello che ha cercato di spiegare @Divadellecurve. Ho capito perfettamente il suo punto di vista e, da blogger, mi sento di condividerlo. Spesso sono le anziende che sbagliano l'approccio, e, nel mio piccolo, ti posso fare un esempio concreto. Non sono tra le blogger che richiedono 100 euro per un articolo, ma neppure tra quelle che lavorano gratis (perché è inutile girarci intorno: il blogging, arrivati ad un certo punto, diventa un lavoro e ti impegna anche più di sette ore al giorno a volte).
        Tuttavia, ultimamente mi trovo a rispedire al mittente diverse email contenenti richieste di collaborazione da parte di piccoli e medi brand. Il motivo? Perché i brand in questione (o i pr) abusano dell'utilizzo dei blog come mezzo di pubblicità. Allora perché io, che mi sono sempre sforzata di creare per i miei lettori contenuti originali ed interessanti, dovrei accettare di pubblicizzare un brand che nella stessa settimana si è affidato ad altri 20 blog? Il lettore ad un certo punto non cliccherebbe neppure sul post, sapendo già in linea di massima quali sono i contenuti.

        Ecco quindi che qui mi trovo perfettamente d'accordo con @Diva: va bene usare il blog come scalino intermedio tra produttore e consumatore, ma con intelligenza e criterio. E soprattutto dopo una accurata analisi e selezione.

        Nunzia

        1. Infatti i più “svegli”, tra i piccoli marchi, fanno prima un’attenta selezione e cercano di differenziare la comunicazione.
          Ma in tutto questo non si è ancora parlato di ricerca. Si fa? O si aspettano le agenzie o i marchi che riempiono la casella mail?
          Poi non confondiamo lo strumento (blog) con il mestiere o l’hobby (blogger): in questo è la stampa la responsabile principale.
          Fotografarsi con qualcosa addosso non c’entra assolutamente niente con il dare notizie, divulgare informazioni, idee, progetti. Chi dei due è il blogger? Io non l’ho ancora capito. Resta il fatto che chi non sa fare comunicazione – di sé o del proprio cliente – metta tutti assieme. Sbagliando clamorosamente (ricordo ancora una giornalista – erano i primi tempi di Frizzifrizzi – che mi intervistò al telefono e alla domanda “quando ti fotografi?” ci rimasi malissimo, le risposi in malo modo e buttai giù).

          1. Eh, lo immagino! Ti potrei fare mille esempi personali ma non mi va di tediarti. Molti ti scrivono e sbagliano persino a scrivere il tuo nome nella mail (e sono in tanti, eh!). Il copia/incolla non fa mai bene, in nessun caso (piccola frecciatina per riprendere quello che è successo ieri ;) )

            Concludo scrivendo che occorrerebbe venirsi incontro. Dare una mano a giovani emergenti è un dovere civile in un periodo storico come questo e nella situazione in cui versa attualmente l'Italia. D'altra parte però chi fa comunicazione dovrebbe fare meglio il proprio lavoro.
            Sono certa che potrebbero esserci riscontri positivi. Per tutti.

            Buon pomeriggio e grazie per gli ottimi spunti di riflessione.

            Nunzia

          2. condivido anche su questo, io per scelta mi fotografo perché l'immagine è alla base del mio messaggio, ma di per sé non mi interessa. Chi si è soffermato sul mio blog se n'è accorto e ha notato che ci sono espressi dei punti di vista ben chiari. Senza quelli non avrei nemmeno cominciato a scrivere un blog. Eppure penso che l'idea standard di blogging sia basata su un paio di personaggi e su tutta la serie minore che cerca di imitarli per inseguirne il successo che è magari basato su un'equipe di esperti fotografi… All'estero ancora mi affascina la non omologazione di molti blogger maggiori che dovrebbe ispirare anche noi eppure si perde nel messaggio…

          3. Scusa Simone, ma persino chi si fotografa ha qualcosa da dire. Ed un brand ci guadagna eccome, fosse anche solo per l'aspetto di engagement.

        2. Perfettamente d'accordo con te.

          Anche se io mi trovo da tutte e due le parti, perchè oltre ad essere una blogger, sono un'artigiana ed ho le mie collezioni di bigiotteria. Anche io ho problemi enormi con i fornitori, e più il lavoro aumenta (buon per me) più ho difficoltà con le materie prime, nonostante il guadagno per loro, se la prendono talmente tanto comoda per farti un preventivo sempre troppo poco dettagliato, che il lavoro salta. E non sai dove sbattere la testa.

          Per quanto riguarda il blogging, per la pubblicazione di un comunicato stampa, che sia un copia incolla o che sia farina del mio sacco, io pretendo eccome, un piccolo compenso.
          Amo la moda, scrivo di moda, indosso e fotografo la moda, la studio da 3 anni all'università, la moda. Ho concluso un master, sulla moda e sugli eventi.
          Perchè diamine dovrei scrivere gratis, sul MIO blog? A me non salterebbe mai in mente di chiedere ad altri, di scrivere di me… così, a buffo, senza una ragione. A simpatia.
          E sul capitolo regali ed omaggi potrei parlare ore.
          Tralasciando le varie proposte che passano dalla fornitura annuale di detersivi, a quella di profilattici fluo, per finire tristemente con sample di assorbenti.
          Io apprezzo invece molto di più una piccola realtà come può essere un brand in fase di start up, che sceglie i suoi 5 blogger preferiti, realizza dei mini progetti con loro, mette a bilancio l'invio di campioni omaggio e consolida i rapporti. E possibilmente che scelga i blogger per come si vestono, se si parla di fare foto agli oggetti e quindi di personal style blog, o che si scelgano 5 blogger che scrivono in maniera accattivante, se si tratta di magazine o simili.
          Se si invia roba a tutti, saranno addirittura i blogger a schifarti, privati della loro unicità.
          E vogliamo parlare delle nuove agenzie di blogger, che organizzano per l'azienda pacchetti tutto incluso? Attenzione, c'è pure la scelta a seconda del budget. Per chi c'ha il soldo, ci sono i blogger di Milano, per chi c'ha poco da spendere, quelli di Roma.
          E io che pensavo che internet potesse finalmente essere un posto meritocratico e senza limiti di confine…

          1. Secondo me Lucrezia due sono le cose fondamentali: i no e la ricerca.
            Un sito che pubblica solo quello che gli segnalano non è molto diverso da un aggregatore.
            Bastano poi un po' di sani no (o meglio: tanti no) per togliere di mezzo la spazzatura e le agenzie "un tanto al kilo".
            Mi spieghi però perché qualcuno dovrebbe pagarti per pubblicare un comunicato stampa? Che lo facciano pure ma poi riesci a dormire serena la notte convinta di aver "lavorato"?
            Uno studia 3 anni moda per pubblicare i comunicati stampa? E' quella la meritocrazia? Non è una gigantesca presa per i fondelli verso i lettori?

          2. No la notte non riesco a dormire serena, perchè lavoro talmente tanto che ho troppi pensieri per rilassarmi, pensa te!
            Se qualcuno decide di divulgare un comunicato stampa sul mio blog, ed accetta la mia -modesta- tariffa, un motivo ce l'avrà. Non sono certo io che vado a minacciare i digital pr di darmi qualcosa da pubblicare, sono loro che cercano noi, e se sono disposti a pagare avranno il loro tornaconto. Non mi pare che questo sia un paese dove qualcuno ti regala qualcosa, o sbaglio?

            I no li dico eccome, e ne dico talmente tanti che qualcuno si domanda come mai a me non regalino quasi mai niente, o perchè non c'è pubblicità nel mio blog, nemmeno i banner pay per click o simili (ad esclusione di due mini link per gli sponsor fedeli).
            Eppure di proposte ne ho di tutti i tipi e tutti i giorni. Potrei esserne lusingata, ma se qualcosa non mi rispecchia non posso accettare: che sia un oggetto, un comunicato stampa remunerato o la qualunque.
            E tanto per chiarire, quando mi si chiede di divulgare un comunicato a pagamento, oltre appunto al fatto che dev'essere inerente ed interessante, io chiedo sempre se si preferisce un copia incolla, ed in questo caso sarà segnalato al lettore, o se preferiscono che sia io a scrivere le mie idee. A loro rischio e pericolo però, perchè un articolo sponsorizzato non vuol dire che poi io ne decanti solo gli aspetti positivi. Ed ho già due pregressi, con due aziende una più importante dell'altra. Io dico la verità e loro spariscono sdegnati. Amen, anzi sono contenta di ricevere feedback a destra e sinistra per la mia sincerità.
            Proprio perchè non trovo meritocrazia nemmeno su internet, dove vince sempre e comunque chi ha più soldi e più conoscenze, decido che nel MIO blog sono libera di fare e disfare ciò che voglio.
            E per la tua domanda sui mie studi.. devo ridere? Mi sarebbe piaciuto lavorare per quello che ho studiato, ma i sogni di gloria sai com'è, si sfracellano contro i conti da pagare.
            Ciò non toglie che la pubblicità sul mio blog è in vendita, la mia dignità così come il mio gusto personale e sincero, no.

          3. La domanda era ovviamente una battuta. Perché – sinceramente – trovo comunque svilente ripubblicare poi un copia/incolla del comunicato, addirittura offrendo la scelta al cliente, ma lo è ancora di più se si hanno comunque competenze nel settore (che mica tutti i blogger possono vantare! <— sul serio, no sarcasmo).
            So benissimo che sono i pr a cercare, ho 666 mail (non scherzo neppure sul numero demoniaco) da leggere che mi aspettano, principalmente da agenzie pr, e come te non ne sono lusingato: mi sento piuttosto accerchiato, soprattutto perché, come ben sai anche tu, la gran parte fa male il suo lavoro, mandando "a raggio" le loro mail impersonali, fregandosene delle varie specificità.
            Non sono poi d'accordo sul fatto che sul web vincano sempre chi hanno soldi e conoscenze: guarda un po' noi i primi non li abbiamo mai avuti, le seconde (quel poco che abbiamo) ce le siamo costruite e pure se odio con tutto il cuore sbrodolarmi addosso siamo considerati da anni come punto di riferimento. Senza 90°ismi, senza aver mai chiesto a qualcuno di promuoverci e con una serie ininterrotta di no, rifiutando tanti begli € per poter dormire tranquillamente la notte e mantenere un rapporto di fiducia con i lettori.
            Concludo: evidentemente la pensiamo diversamente e non è certo questo il problema. L'importante è vivere sereni e a quanto pare lo facciamo entrambi.

          4. io evito i comunicati stampa come la peste, evito gli omaggi inutili o quelli differenziati in base al tipo di blogger (mi è appena successo, ho visto un oggetto di valore maggiore offerto a una blogger per una recensione inesistente e nemmeno dichiarata come tale, quando hanno proposto a me la versione più economica per una recensione -cosa che io faccio seriamente e con impegno- e io ho detto no grazie, recensisco solo oggetti che trovo di reale interesse), evito le aziende che mi promettono spese coperte per partecipare a un evento e poi non me le rimborsano e cadono anche dalle nuvole, evito aziende che mi propongono di dedicare 1/4 del mio contenuto a loro in cambio di un banale buono acquisto a fine mese che basta nemmeno a comprarci un oggetto intero, evito aziende che scrivono a chiunque indistintamente e che pretendono spazio dedicato sul mio blog (pubblicità travestita da guest post) o comunicati stampa a titolo di non si sa cosa. Per me chi mi legge viene sempre prima, ha diritto di sapere i motivi di tutto quello che faccio e scrivo sul blog e ha diritto alla mia opinione reale -con il dovuto rispetto.

  8. davvero un'analisi lucida e tristemente vera, che per la mia seppur mini esperienza non posso che confermare. poche gratificazioni (non di certo economiche, a volte si riducono ai LIKE su fbook), ed un continuo rincorrere ( tempi, pagamenti, serietà dei fornitori…) che ti fa pensare se vale la pena resistere…

  9. Carissimi, il mondo della moda e della creatività non è il mio lavoro. E' solo una bella passione che adoro coltivare. Sappiate, sempre per sentirsi meno soli, che valgono gli stessi motivi per qualsiasi piccolo imprenditore che abbia voglia di fare il suo lavoro e ci creda profondamente. Sarebbe bello potere migliorare la situazione, mi azzardo a dire che qualsiasi operazione in questo senso potrebbe avere tutto il mio impegno. Grazie e buon lavoro a tutti.

  10. Ciao FD, io sono una che appartiene al tuo 4° punto nell'era 2.0, ma come te.
    Ho visto e fatto parte del mondo di cui parli: ricarichi allucinanti, borse da € 5.000 e poi niente ai fornitori (e ai collaboratori).
    Ho deciso che il mio modus operandi sarebbe stato diverso, con una deontologia e un'etica estranee a certi mondi.
    Come te ne ho subite e ne subisco di ogni: dai brand, dagli showroom, dalle blogger…Ma amo il mio lavoro e non mi fermo. Ti lascio il mio indirizzo mail…hai visto mai possa nascere una collaborazione o un semplice scambio di idee: [email protected]
    AB (Anonima Boutique)

    1. Salve AB
      Ho da poco deciso di lanciarmi in questo mondo (pazzo vero?) leggendo il blog, mi è venuta una paura che non ti dico…credo di avere fatto una mossa azzardata.
      Ho registrato un mio marchio, e ho 3 ragazze stiliste che stanno preparando dei bozzetti per campionario A/I 203/2014, ma sapessi (o meglio, già sai) quante difficoltà sto avendo, solo per trovare dei produttori per produrre pochi capi di una mini collezione di presentazione/lancio.
      Abbiamo in mente una collezione elegante vintage, una donna friendly chic.
      Pensa, che anche per produrre etichette e cartellini è un problema per una azienda neonata come la nostra.
      Non so come fare,tutte risposte negative, o peggio nemmeno una risposta.
      Gli unici che mi hanno risposto sono dal Bangladesh…. ma io voglio produrre in Italia…
      chissà Tu non abbia tempo e piacere di scambiare qualche idea.
      Mi permetto di lasciarti la mia email
      [email protected]
      M.I.
      ciao

  11. Grazie Simone e grazie F.D. (chiunque tu sia) x aver tirato fuori un argomento che putroppo tutti conoscono alla perfezione, ma di cui nessuno ha voglia di discutere in maniera approfondita.
    Ci vorrei mettere la faccia in questo commento, perchè credo sia a cosa più giusta: mi chiamo Leo Colacicco e il mio marchio è LC23.
    Ho messo su il mio marchio ed il mio sito (www.lc23.it) circa un anno e mezzo fa e, dopo tutto questo tempo, posso ufficialmente dire di non aver ancora trovato qualcuno SERIO che mi produca!
    Nel mio caso il motivo non è tanto la questione dei minimi di produzione, quanto la capacità dei produttori di realizzare quello che realmente chiedo.
    Il mio prodotto di punta è la camicia (molto particolare, ma quasi sartoriale)… la mia Puglia è una zona famosa anche per la produzione di camicie, motivo per cui non ho mai temuto (prima di girare per i produttori) il fatto di non riuscire a trovare qualche azienda o laboratorio che facesse al caso mio.
    Mi sbagliavo di grosso: ne ho girati tanti, alcuni anche storici e famosi….ma il fattore comune, mi dispiace dirlo, è che "nessuno sa lavorare meglio della mia mamma"!!!
    Già…..la mia mamma…..se il mio marchio esiste ancora è solo grazie a lei!
    Io ho la fortuna di averla e mi rendo conto di quanto sia difficile, per non dire impossibile, andare avanti per tutti coloro che non hanno una fortuna come la mia: ho visitato laboratori o addirittura grandi aziende che producono anche per marchi molto famosi, che non solo chiedono la luna, ma che non sono assolutamente in grado (ripeto e sottolineo) di lavorare "come Dio comanda"….è questo secondo me il problema più serio di tutti!
    Con questo non voglio assolutamente fare di tuta l'erba un fascio, sicuramente esiste qualcuno che sappia davvero far bene il proprio lavoro, ma sfortunatamente io non l'ho ancora incontrato!
    (chissà che si faccia avanti dopo questo mio commento!)
    Concludo il mio intervento dicendo che io nel mio progetto ho sempre creduto e credo ancora….e non sarà certo il produttore a mettermi il bastone tra le ruote perchè sono estremamente convinto del fatto che la creatività, la passione, ma soprattutto la costanza nel credere nei propri sogni, possano superare qualsiasi tipo di ostacolo!

    Leo

  12. ciao Simone
    grazie per aver lanciato il sasso…

    c'è una cosa che aggiungerei a questo bellissimo articolo, davvero esemplare: sempre più negozi chiedono il conto vendita. è diventato un must ormai, e approfittano del fatto che non sei nessuno per farti il favore di tenerti in negozio le tue creazioni. capisco la crisi, e quella c'è davvero per tutti, ma se un commerciante non è in grado di fare il proprio lavoro, cioè di "commerciare" allora che faccia altro. Il conto vendita è un'offesa allo stilista/fd/ ecc…che mette la propia creatività gratis a disposizione di chi poi non si impegna più di tanto a vendere, perchè comunque non ha pagato nulla per avere i tuoi prodotti in negozio…

    un caro saluto

  13. Da fashion designer con esperienza decennale nel settore posso solo dire che condivido al 100% quanto scritto. Anch'io continuo ad avere la tua stessa esperienza e spesso, ormai troppo spesso, penso di lasciare questo lavoro, proprio per quei motivi che tu stesso descrivi benissimo. GRAZIE PER AVER LANCIATO IL SASSO! sono con te!

  14. Non mi stupiscono più di tanto queste esperienze, anche se lo dico con amarezza. Di concept store favolosi e carissimi di Milano si parla anche fuori dagli ambienti degli addetti, del fatto che non paghino perché è già un onore essere presenti nel loro favoloso store che raccoglie sovraumana intellighenzia mondiale.
    Sulla stampa poi, c'è qualcuno che ancora pensa che le redazioni a parte scrivere notizie inutili di amici e parenti (se gratis) o publiredazionali (se pagati), siano capaci di fare altro? Adesso poi con i blog, non fanno altro che passare da quei pochi originali che sono rimasti, e catturare notizie (che loro spacceranno per originali).
    Quello che più in assoluto mette tristezza è però proprio la blogosfera, che era nata con ragioni diverse proprio per differenziarsi e proporre idee e persone nuove. I blog più popolari sono o una manifestazione del proprio ego o un copia e incolla di testo e immagini rubacchiate in giro, e la gente non se ne rende conto o se lo fa, non è interessata perché trascinata dal fenomeno. E ormai, fateci caso, sono solo pubblicità nascosta sotto forma di post. Rovinato anche questo non rimane molto e a dire il vero la colpa è sempre "nostra" come pubblico che preferisce non pensare.

  15. Sono pienamennta d'accordo con l'articolo e credo che sia stata un ottima idea far conoscere a tutti queste problematiche. Ma perchè bisogna per forza essere Fashion Designer? Gli stessi problemi li ho io… che sono una semplice autodidatta e SARTINA (mi ah definito così una ragazza appunto Fashion Designer). Io disegno, studio e confeziono i miei capi, e fare tutto totalmente da sola è difficilissimo! Ho cercato la di fare una produzione, ma come spesso accade grandi sartorie di nome poi di fatto si appoggiano effettivamente a laboratori cinesi (che anche loro… ci sono di qualità e non. Perchè non tutti i cinesi cuciono storto… forse dipende anche dal fatto che sono sottopagati e costretti a produrre 3-4 volte quello che una persona normale deve fare), e il costo produzione-materiale etc è davvero assurdo! Dove trovo i soldi da investire?
    Per poi avere un ritorno nullo… alla fine tutti si deve magiare, pagare il mutuo (affitto) e le applicazioni per Iphone!
    Perciò se ci fosserò un pò meno Fashion designer (stilisti) e più sartine… o magari si creassero delle cominutà, delle associazioni, insomma se ci si mettesse un pò tutti assieme e se tutti si rimboccaserro le maniche? Dite che qualcosa potrebbe cambiare? :D

  16. Allora, molto bene…mi vien da piangere, ma faccio finta di niente, nel senso che io e la mia socia abbiamo appena aperto una piccola agenzia di comunicazione che si rivolge ai brand più piccoli, artigianali e Made in Italy e non è semplice neppure per noi, ma siamo convinte che passin passeto i risultati arriveranno. Bisogna andare dritti al cuore di chi potenzialmente potrà comprare i prodotti e ragionare su logiche diverse. Non più stagioni prestabilite, ma "pronti" di altissima qualità, sì può fare. Molti laboratori artigiani lavorano con coscienza e se i piccoli brand riuscissero a coprire i loro buchi di produzione / recuperare materiali in eccedenza ognuno ne avrebbe un buon ritorno.
    A mio parere, modestissimo ben inteso, è necessario e vitale costruire un network di più brand che in questo modo siano certi di ottenere un maggior potere contrattuale. Una sorta di Confindustria dei più piccoli nei quali le regole scritte e non ricalchino appieno la voglia di fare imprenditoria in Italia con materiali italiani confezionati da mani italiane. Se sei piccolo non hai potere, fai fatica ad emergere benchè tu sia fighissimo, ma se alle spalle hai altri 100 come te, il discorso cambia e di molto.
    Unitevi! Ragazzi unitevi, lavorate sull'online con un vostro negozio, cercate finanziamenti da società estere o da "angels" che potrebbero essere disposti ad investire. Questo comporta managerialità, non basta la qualità amici miei, ci vuole "impresa" ed andare giù a muso duro, belli dritti per la propria strada.
    Ma è necessario, oggi più che mai, unirsi per dividere le spese, ottenere maggiori sconti, raccogliere consensi ed uscire dal livello -1 aka "Chi cxxxo ti conosce"
    Da tempo ho in mente di fare un convengno od un workshop che parli di queste tematiche e che raccolga le opinioni degli operatori del settore, i produttori, i media.
    Esiste un sottobosco d'eccellenza italiano che sarà la chiave di volta per fare e dare respiro al nostro paese! Ogni giorno io e Justine, la mia socia, incontriamo piccolissime realtà che fanno cose meravigliose e ragazzi miei, son belle davvero il vero Made in Italy, al prezzo giusto.
    Insomma, unitevi, incontratevi, studiate piani d'attacco per sfondare la porta a calci.
    Simone potrebbe dedicarvi uno spazio di raccolta adesioni :-) Io sono aperta a questo tipo di progetto per consigli ed una mano pratica.
    Baci

    1. Ciao Chiara, e complimenti a Simone e F.D. per il forte e sentito "coming out", in un momento in cui è facile parlare di giovani, neo imprenditorialità e Made in Italy, ma a conti fatti le cose non sono assolutamente così facili. Anche io e la mia socia, da un altro punto di vista, stiamo incontrando le stesse difficoltà: ma anche noi, come i tanti che hanno commentato questo blog, sosteniamo l'unicità, la ricercatezza e l'originalità del lavoro dei tanti "fashion designer", sartine o artigiani che siano, di cui fortunatamente l'Italia è piena. Abbiamo aperto uno shop online 100% Made in Italy che dia spazio e voce a queste realtà, senza fee di ingresso, senza fare conto vendita, trovando delle modalità operative che – riteniamo – possano andare incontro al lavoro e alle esigenze raccontate da F.D.
      Certo non è facile, neanche per noi, ma ci stiamo credendo e provando con molto entusiasmo, e stiamo scoprendo che fare rete, associazionismo, intessere relazioni trasversali sia sempre un ottimo propulsore per lavorare bene. Rinnovo anche la nostra disponibilità a contattarci per scambi di idee, progetti comuni o collaborazioni a [email protected]

      1. Ciao Enzo. Dato che questo è lo spazio di Simone, non voglio lasciare contatti evidenti mi sembra poco educato, ma ti invito a cliccare sul mio nome e da lì troverai la strada. Lo so, è un po' criptica come risposta, chiedo venia :-)
        Grazie.

    2. Chiara condivido, e aggiungo che spesso (ed è il mio caso) trovare anche piccoli laboratori disponibili per i nuovi brand è arduo e spesso se si trova qualcuno o è poco qualificato o poco serio.
      Parlo del mio caso..
      Comunque buona idea la tua.
      Ciao Mauro

  17. Condivido appieno l'articolo, anche se per ora cerco di fare tutto da me e ciò mi evita almeno i problemi legati alla produzione (con relativi esorbitanti investimenti), spesso ho voluto lasciar perdere tutto, poi mi dico che devo essere forte e credere in me…ora ho in progetto di aprire un mio lab, speriamo di riuscirci!
    Comunque se può esservi utile, mi rivolgo a designer davvero emergenti, ho creato un gruppo su facebook SWAP YOUR FASHION SKILL (cercatelo tra i gruppi se volete) dove si collabora in tfcd, ovvero dove vari professionisti della moda, tutti emergenti, collaborano insieme gratuitamente per avere tutti pubblicità, portfolio ed esperienza. E' pur sempre un inizio.. soprattutto quando non si hanno fondi importanti da investire.

  18. Eccomi qui, a dire anche io la mia. La mia situazione personale è molto diversa. Sono libera professionista dedita in toto all'auto produzione. Cosa significa? In modo banale che faccio tutto da sola. Non affido NULLA all'esterno. In questo senso confesso di essere molto impreparata su tutta la prima fase…la precisa scelta di curare tutto personalmente riduce notevolmente le potenziali dimensioni della mia attività, e di conseguenza entrate e uscite, ma mi permette, appunto, di tenere sotto controllo la globalità del mio lavoro. In pratica: una scelta precisa che in tempi come questi si rivela prudenziale e che quindi fa convergere il tutto verso il concetto di unicità del pezzo, contatto diretto con i clienti e inevitabile massima attenzione verso la qualità della creazione singola, sia da un punto di vista tecnico che "sentimentale".
    Ho trovato questo post davvero interessante e tanto, tanto vero, sebbene, ripeto, la mia situazione sia piuttosto diversa. Personalmente credo sia doveroso aggiungere alla lista delle difficoltà la situazione fiscale italiana…tasse, contribuzione e burocrazia stangano in modo notevole le piccole realtà come la mia e personalmente fino ad ora trovo che sia la difficoltà maggiore.
    Per quanto riguarda il mio personale contributo nell'area "luce in fondo al tunnel" mi sento di dire che fare squadra sia davvero importantissimo. Non è sempre facile perchè spesso le singole esigenze e speranze, aggiunte alle vicissitudini private e personali, ti portano in direzioni diverse, ma quando si ha la bravura e la fortuna di trovare colleghi a te affini, diventa basilare cercare di portarsi avanti assieme. La reciproca sponsorizzazione nei singoli canali di vendita, la condivisione di spazi espositivi e lavorativi, il passaggio di contatti validi, la collaborazione trasversale per eventi, shooting e campagne vendite (sempre che sia corretto usare questi termini così "alti") sono tutte cose importantissime. Ringrazio di cuore F.D. per aver voluto condividere la sua esperienza così affine a noi tutti e Frizzi Frizzi che come sempre si conferma un punto di riferimento prezioso e raro. Da parte mia, nel mio piccolo, se posso aiutare anche solo dando delle informazioni, lo faccio sempre volentieri…magari non sempre ci riesco…ma quando credo di aver di fronte un interlocutore onesto e bravo, cerco per lo meno di impegnarmi. Teniamo duro e soprattutto, cerchiemo di fare il possibile per rispettare il nostro modo di lavorare e credo che la sfida sia proprio questa: far capire al nostro pubblico chi siamo , cosa facciamo e come lo facciamo. Avremo "vinto" quando avremo di fronte persone pronte a recepirci e a cercarci proprio in virtu' di questi fattori. Si fa una fatica folle, ma sono arci convinta che ci si possa riuscire!

  19. Parole sante.
    Mi firmo come giovane fashion designer, co-founder di un piccolo nuovo brand.
    all'ennesima fattura non pagata o in attesa da mesi sto anchio entrando nel limbo della disperazione.
    ma ormai ci ho investito talmente tanti soldi e tempo (e zero capitali di famiglia, solo soldini guadagnati con fatica e altri lavori assurdi / massacranti).

    La situazione italiana è penosa, non c'è rispetto per noi "nuovi". fornitori squali e rivenditori assassini.

    Ma d'altronde, continuo ad inseguire il sogno di avere qualcosa di "tutto mio".

    Tanto lavorare per altri vorrebbe dire comunque lavorare se non gratis, quasi.

    In bocca al lupo a te, portavoce di tutti noi, e anche un po' a me.

    Simone, che dire, sempre ottimi articoli!

    A presto

  20. aggiungerei che la maggior parte dei negozi in Italia non ti non vuole neanche vedere quello che produci se non hai un brand conosciuto perchè la gente da noi vuole essere omologata
    e aggiungerei i costi folli delle partecipazioni alle fiere

  21. Ciao, discussione interessantissima.
    Approvo in pieno quello che ha scritto Chiara.
    Peccato che fare rete tra le imprese, promuovere la collaborazione tra i giovani e i piccoli imprenditori, creare nuovi hub di innovazione… dovrebbe essere compito e priorità di politica e istituzioni.
    Ma se aspettiamo loro… buona notte.
    Un workshop o una conferenza in merito, magari che si possa seguire anche in streaming online :-P, sarebbe sicuramente utile a fare il punto della situazione e a mettere le basi concrete per dei progetti e dei piani di sviluppo per reti di imprenditori. Con dei progetti e dei business plan si può andare a cercare investitori e chiedere finanziamenti.
    Anche io metterei a disposizione tempo, voglia e competenze organizzative (ahimè non ho un animo creativo!).
    Buona giornata a tutti.

    1. Grazie mille Dani. La creatività vien mangiando :-) Ma più che creatività serve un esercito di "cape toste" che non mollano fino a che non ottengono il risultato!

  22. tutto questo mi fa sentire meno solo…mi chiamo andrea , il mio brand, IBRIDI, autofinanziato ( vuol dire che i soldi li metto io ) ed autoprodotto ( vuol dire che faccio tutto io ) sopravvive da 5 anni solo grazie a quei due "AUTO" scritti in precedenza.
    fino ad ora è stato tutto complicato ed oltre ad appoggiare in pieno lo sfogo di F.D. aggiungo che spesso ci sono aggravanti legate alla propria posizione geografica, io mi trovo in sicilia, e quando ho dato vita ad IBRIDI era più facile ottenere L'APPARIZIONE DELLA MADONNA IN SALOTTO, piuttosto che una fattura da un fornitore…la fattura? e perchè? nn siamo amici? ormai tra noi c'è un rapporto di fiducia!, inoltre grande problema del sud è la reperibilità delle materie prime, ( io forse sono stupido, ma ho sempre cercato d'acquistare tutto nella mia regione, nn so, forse, ripeto stupidamente, mi sono detto, se devo spendere dei soldi, meglio spenderli qua!) ecco tutto questo nn premia, perchè devi sopportare facce quasi scocciate di fornitori che ti definiscono, COMPLICATO, ESIGENTE, INCONTENTABILE.
    detto ciò devo anche dire che nel mio caso, dopo aver lottato i primi anni per ottenere i pagamenti nelle giuste scadenze, ( complimenti, il capitolo sui pagamenti è terribilmente realistico ) ora sono riuscito a creare una splendida sintonia con i negozianti ma rimane sempre il problema della produzione, per ora faccio tutto da solo, ma onestamente nn so se tra 10 anni riuscirò a tenere gli stessi ritmi di adesso e l'idea di dover affidare la produzione ad esterni mi terrorizza.

  23. Un'ultima precisazione: non puntiamo per forza il dito contro i consumatori, ignoranti pecoroni che comprano solamente quello che è famoso e omologato.
    In generale i consumatori sono bombardati da messaggi, immagini e pubblicità che promuovono i grandi marchi. E' vero, c'è chi ha tempo, voglia e sensibilità per andarsi a cercare "Alt(r)e" cose, ma è anche vero che non tutti "nascono imparati". E illuminati. Io penso che le persone non vadano condannate ma educate. Al bello. E alla possibilità di scegliere.
    Ari-ciao.

  24. Ma poi vogliamo parlare delle "rinomate" ed "esclusive" fiere di moda tipo Pitti e White. Queste dovrebbero essere il trampolino di lancio per nuovi brand e per il famoso e ricercato made in italy, quando invece propongono solo brand stranieri e low cost, con produzioni in china e design tutti uguali. Farne parte è pressochè impossibile, a meno di conoscenze interne tramite il meccanismo all'italiana, o conoscenze di letto, e qui mi fermo per non offendere i gusti personali di nessuno.
    Bravo il Pitti che dice "incremento dei buyer del 93% e nuovi marchi da tutto il mondo", quando in realtà nessuno compra, tutti vengono a sfilare per dire che erano al Pitti, tutta la gente che gira sono addetti ai lavori e di brand italiani rimangono solo quelli storici del padiglione centrale.
    Showroom che ti snobbano se non hai un prodotto lowcost, con prodotti di importazione e nessun tipo di design e ricerca, e ti definiscono troppo caro se invece che vendere una t-shirt cinese a 9 euro come la happiness la vendi a 12, non coprendo neanche i costi.
    Comunque grazie per l'articolo, davvero rincruorante vedere che tutti la pensano così e provano le stesse cose.

  25. Lancio un sasso sulla questione "blogger e giovani designer": ad una delle ultime FW ho visto disertare in massa le sfilate degli emergenti perché "tanto chi se ne frega". C'è tanta disattenzione nei confronti degli emergenti da parte dei blogger, a meno poi non esplodano i fenomeni (vedi Fausto Puglisi): e allora tutti lì a scrivere "genio".

    Ma in realtà questo post è stato utile in primo luogo a me stessa: spesso mi capita di non leggere decine di mail con look book e comunicati, per mancanza di tempo e – lo ammetto – anche di voglia. Leggendo queste righe però penso non solo di aver perso (e fatto perdere ai due gatti che mi leggono) delle cose interessanti, ma anche danneggiato un mio coetaneo che sta sicuramente scommettendo molto più di me e di altri nella sua passione per la moda.
    Quindi grazie per avermi fatto sentire in colpa. Me lo merito tutto.

    1. Un amico giornalista giusto qualche tempo fa mi ha confermato quanto hai scritto.
      Errori madornali nella scelta di quale sfilata andare a vedere nel caso di sovrapposizioni e pochissimo spirito di ricerca, preferendo affidarsi su nomi noti. La stagione successiva, poi, se l'emergente X ha fatto il botto la volta prima, si va in massa lì, perdendosi magari il prossimo Mr.X.

  26. Luca, hai ragione. A me le fiere di moda tipo Pitti & Co paiono roba da MedioEvo, in cui gli invitati a corte che si compiacciono di essere lì, se la suonano e se la cantano. Con mille barriere all'ingresso. Per molti, ma non per tutti. Mah.
    Internet e il web sono il futuro, sono la vera vetrina. Solo facendo Rete e lavorando in un'unica direzione forse si potrà anche cambiare le abitudini di consumo delle persone, che anzichè comprarsi 10 t-shirt da 9 Eur inizieranno a comprarsene 3 da 30. Perchè sapranno, saranno consapevoli e attribuiranno la giusta importanza al processo creativo, alla materia prima, alla sostenibilità ed eticità del prodotto.

    1. @LaDani: hai interpretato alla perfezione il mio pensiero. E aggiungo che tali patetici cortigiani, se sei indifferente o accenni un sorriso dinanzi al loro servilismo, ti bollano semplicisticamente con il "seisoloinvidioso" d'ordinanza… :)

  27. Vorrei ringraziare l'autore per aver sollevato una questione importante, che coinvolge chi come me ha intenzione di portare avanti un progetto affidandosi completamente alle proprie forze fisiche ed economiche.
    Mi occupo di calzature e la situazione è la stessa descritta nell'articolo, forse anche peggio..
    A partire dai rappresentanti delle concerie fino ai servizi più banali, se non hai il nome famoso passi sempre in ultimo piano e non è detto che ti garantiscano quanto promesso… anche se paghi anticipatamente e profumatamente.
    Io non mi arrendo.. e se posso aiutare i "giovani colleghi" designer lo faccio sempre volentieri..
    Stefano

  28. Innanzitutto complimenti a tutta la gente che si impegna e si prodiga per portare avanti un progetto ed un idea. Detto questo purtroppo il discorso deve essere contestualizzato nella società odierna. Se è vero, come è vero, che è ormai il profitto che detta le leggi del mercato, tutti i discorsi di passione, etica, poesia..vengono rasi al suolo dal bulldozer che è la macchina del mercato : sopravvive solo chi è capace (con tutte le difficoltà) di creare valore (ergo profitto). Tutto il resto è zero. Sia chiaro, non voglio promuovere questo modus vivendi, ma la mia non è purtroppo che una pura constatazione. Questo non vuol dire che non si possa cercare di andare contro il sistema. Dura, difficile, drammatica, impossibile…e allora ? Si resiste e si va avanti fino a che ce la si fa. E qualche mano tesa ogni tanto la trovi strada facendo. Però non vi illudete, se riuscirete a passare a crescere, dovrete tornare a sottostare alle leggi del mercato e della finanza. Forse..o forse no…vi ho confuso abbastanza ? Su con il morale, che da i post precedenti ho visto che c'è gente in gamba e con le idee chiare. Coraggio !

    1. Ciao Max B, scusa ma sono solo in parte d'accordo con quello che scrivi.
      E' vero che un imprenditore, piccolo o grande che sia, sopravvive solo se fa profitto. E a volte non basta manco quello. Ma qui non si sta parlando di grandi società di capitali, che devono remunerare il capitale investito dai soci e dimostrare di avere sempre "numeri maggiori" in una rincorsa senza fine verso un profitto sempre più alto…
      Si tratta di imprenditori a cui piacerebbe vivere di quello che fanno senza dover fare altri due lavori per riuscire a portare avanti il proprio sogno.
      Ovviamente alla base ci vuole un'idea imprenditoriale forte e un business plan ragionato e serio. E ovviamente devi sottostare alle leggi di mercato, quindi vendere, se no 'ndo vai?
      Però un conto se sei da solo, con tutti i problemi di cui sopra, un conto è se puoi contare su una rete di imprese, con una forza contrattuale e di pressione di tutt'altro tipo, come diceva bene Chiara.
      Non dico che sia facile, ma almeno possibile…

  29. Ciao a tutti,già che ho un solo volto ed un solo nome, anzitutto mi presento: sono Marta Pietrosanti, designer della linea ecologica di scarpe ed accessori donna 12:61 ( http://www.12e61.com). Vorrei ringraziare tutti gli autori, dell'articolo e dei commenti, perché se mai avessi avuto dubbi sulla mia capacità di interpretazione della realtà e sulle mie capacità più in generale, oggi i miei dubbi potrebbero dirsi del tutto placati. Sì, è così. La situazione del sistema moda, almeno in Italia, al momento è proprio questa ( per esperienza personale salverei blogger e stylist, almeno una buona parte ). E questa, anche, è la sfida che ci lanciano i tempi credo. Viviamo in un'epoca decadentista, dove le generazioni che ci precedono hanno giocato troppo spesso a far gli Dèi e ci giocano tutt'ora, tenendo ben salde nelle mani le chiavi di casa, per così dire. Tutto è in esubero, iniquo, soprattutto parlando di moda: dal prezzo finale di un prodotto di lusso firmato che non ha limite di prezzo, perché così è il capitalismo, fino a risalire alla schiavitù ( perché pagare un operaio -cinese,turco,italiano o altro non conta – anche meno di 3€ l'ora per me è schiavismo, se i costi della vita sono quelli italiani ). Ma tutti noi che abbiamo preso parte ai commenti e partendo dagli autori dell'articolo abbiamo menzionato l'etica, la passione per questo lavoro e per la qualità dei nostri prodotti, siamo disposti a parlare, collaborare, farci da soli il nostro campionario all'occorrenza, aprendo laddove possibile un proprio punto vendita sia reale che virtuale. Il Nuovo emerge sempre e chi ci crede ottiene! In bocca al lupo a tutti! [email protected]

  30. Commento perchè mi sembra di far parte di varie categorie e perciò posso dare una visione completa.

    Ho studiato moda, senza concludere, per il mero bisogno di dovermi mantenere, ho continuato sempre a cucire, disegnare , provarci, in ogni senso, mercatini, conto vendita, progetti per grandi produzioni, contatti… Questo nel mio tempo libero, perchè nel fratempo ho fatto qualsiasi lavoro, dalla commessa in merceria, riparazioni sartoriali, cameriera, accuont pubblictaria, commessa di boutique…

    Perciò nella mia vita, ai limiti della schizzofrenia, mi sono trovata spesso da una parte e dall'altra… Da un anno sono commessa responsabile di un piccolo concept store, che si trova in una zona ricca e turistica della mia città, la via non è il massimo del passaggio, ma non ci lamentiamo…
    Sto fisicamente dentro questo bel negozietto, dove abbiamo tanti marchi, piccoli e medi, tanti articoli dagli orecchini, le borse, l'abito alle cosette per la casa…

    Noi tutto quello che vendiamo lo rincariamo del 2,5 non ci vogliamo lucrare, solo non rimetterci. (Molti prodotti che vendiamo li ho visti in altri negozi a esattamente il doppio)

    Abbiamo clienti fissi che ci cercano per i regali o per togliersi qualche sfizio, e i turisti che vorrebbero evitare di comprare cose che trovi in ogni angolo del pianeta. Queste sono le persone che ci permettono di non chiudere i battenti, come stanno facendo in molti qui intorno…

    A noi piacerebbe tanto una cosa, avere solo marchi italiani preferibilmente made in italy…

    C'è un piccolissimo, ma : noi vendiamo, ma qualcuno deve pur comprare!! A noi piace tanto avere i marchi che ci piacciono, e lipaghiamo, ma se poi le cose non se le compra nessuno, che facciamo?

    Faccio un esempio pratico, per licenza dobbiamo avere per forza abiti, mentre noi, proprio come gusto personale prediligiamo gli accessori, in particolare le borse.
    Quest'anno però ci siamo dette: invece dei soliti due capi in croce, perchè non ci prendiamo una bella collezione made in italy?
    Detto fatto, abbiamo speso 5000 euro per una mini collezione primavera estate: due pantaloni, una giacca, quattro sopra a maniche corte, 7 abiti 3 di seta e 4 in maglina tutte le taglie.

    Soddisfatte, perchè la manifattura è eccellente e i materiali veramente di alta qualità.
    Alla fine della storia: adesso ci sono i saldi, ho messo tutto al 50% perchè praticamente ho ancora tutto in negozio, motivazioni?

    Nr uno la maggior parte dei modelli sta malissimo addosso, a chiunque!
    I cartamodelli sono stati fatti con i piedi, addirittura un abito è stato calcolato così male, che una manica ha la stessa misura per tutte le taglie, e in molti casi è strettissima…

    E questo è il massimo deterrente, perchè dopo che hai spiegato che è completamente fatto in Italia, che i materiali sono di prima qualità, che neanche le grandi firme li hanno così, e loro hanno capito che è vero, entrano in camerino e escono fuori, si guardano allo specchio e ci stanno male (non parlo poi di esseri immondi, donne normalissime, anche magre) a quel punto 200 euro non te li danno, giustamente….

    Inoltre la maggior parte delle persone vuole la botte piena e moglie ubriaca: ovvero il prodotto, bello, ben pensato, di qualità, ma vogliono risparmiare… Altrimenti la grande firma, da noi chiedono continuamente sconti, ma scommetto che se vanno da Armani a comprarsi le borse di plastica non osano neanche farsi togliere 50 centesimi…

    La triste realtà è che in Italia tutti vogliono fare l'affare, e ogni passaggio dai fornitori di stoffe al cliente finale…

    Forse noi abbiamo sbagliato marchio, ma non possiamo più rischiamo di mettere il rischio il bilancio di tutto il negozio (che vende, perchè altre cose facciamo un ordine al mese, di borse abbiamo fino una decina di marchi)
    per gli abiti, sono troppi soldi da investire in un prodotto incerto, che potresti spendere in un prodotto sicuro…

    Spero che il mio punto di vista vi sia utile.
    La mia opinione, simile a quella che qualcuno ha suggerito, è questa:
    mettersi di guzzo buono, fare un auto-produzione, aprire un punto di vendita diretto laboratorio, facendo così meno passaggi, ottenendo più guadagno per il produttore, e più risparmio per il compratore…

    1. 2.5 almeno per quanto riguarda le calzature è onestissimo
      è il ricarico che consigliamo anche noi, per calzature 100% made in italy

  31. Io parlo sia come designer che come blogger professionista (ebbene si, faccio entrambe le cose) però mi spiace che ci si lamenti come designer del fatto che le fatture non vengono pagate ma che poi si pretenda dai blogger del lavoro gratis, come se il lavoro fatto con passione dovesse essere gratis, eh no, i designer il lavoro lo fanno con passione e vogliono (giustamente) essere pagati, perchè dovrebbe essere diverso per i blogger?

    Forse non è la cifra richiesta il problema, quanto il fatto di scegliere del blog/blogger poco professionali che appunto poi fanno il "copia/incolla" senza metterci quella passione e quella professionalità che invece ci vorrebbe in tutti i lavori (giustamente pagati), basta sceglierli meglio perchè ce ne sono di blogger professionali, onesti e bravi…

  32. Ciao a tutti , ho letto con molto interesse ed attenzione tutti vostri commenti e mi trovo dall'altra parte della barricata in quanto sono un negoziante. Non tratto marchi o griffe, un pochino di ricerca di prodotto e stile ,made in italy e non , attento al prezzo d'acquisto quindi chiunque a Torino o dintorni vuole venirmi a trovare sono a disposizione. Cerco di vestire una ragazza e donna moderna, che ha bisogno di un prodotto femminile, pratico e da usare "in uffico ma con un cambio d'accessorio anche nel weekend" e non sia soggetto ai capricci della moda del momento.Mi trovate su Facebook : Charme Abbigliamento Torino … potete farvi un idea vaga della moda che è passata negli anni nel ns negozio. Non prometto nessun acquisto ma di sicuro ascolteremo ( siamo in due) e visioneremo ogni proposta con serietà come è nostra abitudine e consuetudine.
    PS Troverete la ns storia comprese articoli di giornale e quant'altro dei ns primi 10 anni di attività.
    Furio Brianti

  33. Another Point of View
    concordo perchè vissuto in passato sulla mia pelle, peró bisogna anche ammetere che uno strumento democratico per ribaltare il sistema c’è, ce l’abbiamo tra le mani, e si chiama web. 
    Una vetrina che ci consente di essere raggiungibili e visibili da ogni parte del pianeta. 
    Una start-up digitale non è un utopia.
    Raccogliere numeri e consenso di mercato per avere credibilità e fiducia.
    Giovani e meno giovani non devono solamente osserevare foto, sfilate ed outfits.
    Devo imparare ad osservare il mondo e lo scenario contemporaneo, cogliere le onde in ascesa e cavalcarle.
    (vedere dati % crescita e-commerce / social media)
    Non bisogna focalizzare tutte le attenzioni sulla percezione, credo sia essenziale ricercare e trovare la conoscenza per avere una chiara visione d’insieme.

  34. Ottimo articolo. A volte penso che bisogna inventarci una strategia alternativa per emergere, anche se in Italia è quasi impossibile (vedi il problema con le banche e fasonisti).
    All'estero ci sono diverse piattaforme online che offrono a giovani designer di vendere le proprie collezioni. alcune molto carine e in forte crescita. Ora mi vengono in mente solo bottica.com (gioielli e accessori), bigcartel. ma ce ne sono altre piattaforme.
    Per le P.R. online personalmente penso sia più proficuo collaborare con 2-3 fashion blogger o periodici online che creano opinione invece che inviare la cartella stampa indistintamente a tutti. Un articolo singolo su un blog non crea immagine, al massimo ti porta un piccolo backlink. :)
    Si potrebbe invece stanziare un piccolo budget per creare delle collaborazioni continue. Trovo carino per esempio organizzare un blogger day per la presentazione della nuova collezione, organizzare giveaways, come fa FrizziFrizzi a volte, pubblicare interviste al designer, etc.
    Consiglio anche di creare subito un sito a forma di shop online. Inutile oggi come oggi pubblicare un sito con sezioni statiche come 'chi siamo', 'cosa facciamo', etc. Aprirei subito un sito – shop. Così chi vede i capi negli articoli sui blog, può acquistare direttamente. Ci sono tanti sistemi open source oggi con cui gestire le vendite in maniera semplice e intuitivo.
    Beh, ora mi fermo; non voglio annoiare nessuno :)

    1. Io ho fatto esattamente così! Ciò che creo, oltre ovviamente ad indossarlo, lo puoi comprare direttamente dal mio blog o dalla mia fan page, grazie alla piattaforma blomming :)

  35. Buongiorno Simone, mi ritrovo a scriverti dopo diverso tempo…ormai due anni fa eravamo rimasti d'accordo che ti avrebbe fatto piacere scrivere del mio negozio , ti avevo inoltrato foto e descrizione come da tua richiesta ma poi..il nulla.
    Ora leggo dell'articolo che avete realizzato sui designer emergenti e la fatica che fanno ad entrare nel "circuito"…. e io dico" che bello finalmente se ne parla" io è da quando ho aperto che ricerco designer nuovi che magari non abbiano rappresentanza e che vogliano farsi conoscere, tutti i giorni lotto per loro nel mio negozio scontrandomi con la realtà di una città medio grande che vuole ancora le tees piene di "firme conosciute".
    Credo in loro e nel loro lavoro.
    Poi lego che F.D. parla dei problemi che hanno con i negozi e i pagamenti… vorrei spendere due parole in merito: per prima cosa vorrei sottolineare che PER FORTUNA ci sono ancora negozi che hanno voglia di distaccarsi dai marchi"conosciuti", grazie a questi i designer possono provare a far conoscere il loro prodotto.
    Secondo, è vero abbiamo spesso problemi con i pagamenti…ma devo essere io a ricordare che solo nel 2011 hanno chiuso 64mila aziende di cui il 30% negozi? io ho aperto da due anni e ancora non ho uno stipendio, non posso permettermi un aiuto e gestisco tutto da sola ed è vero…a fine mese è difficile fare i pagamenti..direte di comprare meno? vero anche questo ma se non dai scelta avrai ancora meno clienti… capisco che sia un gatto che si morde la coda ma è anche vero che i negozi come il mio sono i primi che vogliono investire su nuovi nomi e fidatevi che io le vacanze le faccio a casa e non siamo tutti uguali. Poi, proprio gli stilisti parlano che preferiscono dare i prodotti in conto vendita allo store di grido ( e vi lamentate che vi mettono in un angolo e non vi spingono????) piuttosto che a chi crede in loro. Il problema è uno solo: IN QUESTO MOMENTO STORICO IL NOSTRO PAESE e' DAVVERO IN CRISI.
    Concludo dicendo che forse sarebbe bello se si parlasse anche dei piccoli negozi che lottano ogni giorno anche per questo……
    Ogni giorno ci scontriamo con colossi del mondo della moda…oggi mi hanno scritto gli avvocati di Guerlain contestando il nome del mio negozio perché si chiama come il loro profumo…..che faccio entro in causa con loro????? e secondo voi come finirebbe????
    grazie

    1. Purtroppo oltre al limbo delle mail mai lette c’è pure quello – ben più “bio” – del mio cervello.
      Vedrò di rimediare!
      Farò pure un pensierino sul farci pagare 100€ a post – sarebbe un 3000-3500 a settimana e una segretaria riuscirei a prenderla… ;)

    2. ciao!!! io creo borse e vestiti riciclando avanzi …. e non mi propongo mai agli angolini dei super negozi..anzi son sempre alla ricerca di qualcuno che mi parli come te!!!!! ma non sei a torino!!!!! com'è già…chi ha il pane non ha i denti???……ahahaha!!! eva

  36. concordo con quanto detto qui sopra sull'utilizzo del web, dei social media e delle piattaforme ecommerce. l'italia va a rotoli ma all'estero c'è mercato, gente che spende soldoni nell'industria della moda indipendente e sa riconoscere la qualità del fatto a mano.

  37. Ed eccomi qui anche io a commentare le SANTE PAROLE di F.D.
    Innanzitutto, ringrazio Simone,e pur facendo anche io parte della famiglia di Frizzifrizzi, ed avendo assisitito alla nascita di questo blog, non smetto mai e dico mai di confermare quanto sia Speciale e Avanti il "nostro" FrizziFrizzi!
    Detto ciò, ora parlo da fashion designer : ho iniziato anche io cucire le mie creazioni e a postare foto sul caro myspace e da lì, grazie alle persone che mi seguivano e acquistavano soddisfatte i miei abiti ho deciso di continuare…così piano piano sono cresciuta e ora mi sono ritrovata con tutte le problematiche descritte sopra: fabbriche e sarte incompetenti che chiedono minimi che per noi sono "massimi", showroom e agenti strafottenti, tasse a gogo, negozi che pagano dopo secoli, fiere che pretendono bei soldoni…
    F.D. sembra avermi letto nel pensiero, la mia domanda è : esiste davvero un modo per superare questi ostacoli? Come investo su me stessa se le spese superano i guadagni? Cavolo, perchè non puntare su noi emergenti se il prodotto è interessante? Sembrerò pure retorica e sognatrice, ma mi piacerebbe che grazie a questo post, magari si propongano fabbriche italiane disposte a collaborare, negozi che almeno abbiano il piacere di visionare le nostre collezioni, e chi più ne ha più ne metta!
    Credo in Mimì Factory (il mio brand) e sicuramente non mi arrenderò facilmente nonostante la dura situazione,
    ma almeno dei segni positivi???!!!
    In bocca al lupo a tutti NOI!

  38. Aggiungo un'osservazione, in riferimento anche a quanto Marta ha detto sopra e a Loris. E' vero che il web è un'arma incredibile, una vetrina, una risorsa…ma se la comunicazione e la presentazione del prodotto non vengono filtrati da un piu' classico "toccare con mano", il rischio è che i compratori possano fare scelte sbagliate e finire per non credere piu' nei piccoli marchi. Il web è spesso immagine…ma la sostanza? In questo senso mi sento col cuore di invitare i possibili clienti, negozianti e non, ad andare, dove possibile, a trovare i designers nei loro atelier, nei loro laboratori…nei loro appartamenti (come spesso accade). Toccare con mano spesso è l'unica soluzione per esser certi di approcciarsi ad un lavoro davvero valido. Mi sento concretamente di dare questo suggerimento perchè lo vivo in prima persona quotidianamente. Certo non è sempre possibile, me ne rendo conto, ma ogni tanto è fattibile e se è vero che si spendon soldi per andare a visitare le fiere piu' tradizionali di settore…perchè non pianificare dei tour mirati dei piccoli atelier/laboratori per toccare con mano?

  39. Bravissimi, tutto verissimo!
    Io ho un brand da due anni e come tutti i giovani designer riscontro le stesse difficoltà per giunta giovane e donna. Aggiungo queste ultime caratteristiche perchè spesso ciò fa in modo che i fornitori o negozianti si sentano automaticamente dalla parte dei forti, permettendosi di dire, chiedere o imporre determinate condizioni.
    Aprirei un'altra parentesi riguardo ai finanziamenti statali ed aiuti all'imprenditorialità. BELLA FREGATURA chissà come, i designer non rientrano mai.
    Ragazzi facciamoci forza!

  40. Ciao a tutti,
    io cercherò di andare un pò controccorrente. E' vero che in Italia non è facile emergere per un nuovo fashion designer o qualsivolgia brand nuovo, ma dove lo e'? E soprattutto esiste una start up che riesca ad emergere facilmente in qualsivoglia mercato? Non voglio nascondere i problemi dell'Italia ma non mi piace neanche ingigantirli e stereotiparli come spesso tendiamo a fare per primi noi italiani.
    Discorso fornitore: spesso si tende a studiare una collezione sulla carta e dopo cercare un fornitore ed è un errore. La collezione e il progetto va condiviso (se si può anche economicamente) con un fornitore che il primo tassello che deve essere posizionato. Vero e' che in Italia succede che si trovano spesso fornitori che fanno fare i prodotti in laboratori da cinesi ma sono loro che cercano i cinesi o in Italia mancano le persone che vogliono fare quel lavoro in una catena di produzione? Quanti stilisti ci sono in Italia e quanti pochi modellisti o prototipisti? E poi non è detto a prescindere che un cinese cucia peggio di un italiano. Ho visto catene di produzione in Cina che in Italia neanche sui progetti si e' mai pensato di realizzare e che a confezione non hanno nulla da invidiare a noi.
    Showroom: e' chiaro che una showroom se è piccola ha pochi clienti e magari cercherà di venderti con passione e ha più interesse di una grande che ho il cliente chiede di te oppure se capisce inizialmente che il tuo prodotto può funzionare lo spinge, altrimenti non ci perde tempo. Se però il venditore l'ha fatta vedere ai primi clienti e non hanno acquistato bisogna anche farsi un esame di coscenza e pensare che forse era il prodotto che non era giusto. In questo periodo poi i negozi non vogliono assolutamente correre rischi, riuscite a biasimarli? I più grandi chiedono un fee di entrata? Anche a me non piace ma succede anche più spesso all'estero. Esiste poi la possibilità di non rivolgersi a showroom ma ci sono un sacco di fiere nel mondo a cui poter partecipare, è un investimento su quello non c'e' dubbio.
    Pagamenti boutique: in Italia paghiamo particolarmente male è vero, quello sì. Il problema non sono certo quei piccoli negozi che fanno fatica ma quel divertimento tipico di alcuni di godere nel pagare il più tardi possibile pur avendo la disponibilità. Succede nel lavoro ma anche per pagare un idraulico o elettricista. Ci sono quelle persone a cui piace pagari a "a mai" a prescindere. La parte peggiore sta però accadendo in questi ultimi anni di carenza finanziaria in cui tanti fanno proprio fatica ad avere disponibilità. E' vero anche che però in questo periodo di consumi scarsi riescono solo i più bravi e quelli che negli anni in cui guadagnavano non si sono riposati godendo dei propri profitti ma hanno investito e cambiato il negozio ogni 5/6 anni. Quanti negozi storici sono ancora vecchi dentro e rimasti agli anni 80? Non lamentarti della crisi ma guardati intorno.
    Blog: Non e' una novità che per apparire su certi blog bisogna pagare. D'altronde quando c'era la carta stampata o facevi pubblicità o non ti guardavano neanche. Anzi ora è molto meglio! Prima per avere un redazionale dovevi fare una pagina pubblicitaria che costava molto più di 100/500€. E come si diceva ce ne sono anche tanti (e spesso sono i migliori) che non chiedono niente ma parlano di te solo se gli piaci. Ma non lamentiamoci se non parlano di noi. Magari semplicemente non gli piaciamo?
    Questo per dire che è vero che è difficile ma lo è ovunque. In Italia abbiamo i nostri problemi ma li hanno tutti in particolar modo in questo periodo. E' da poco che faccio questo lavoro ma ormai il discorso che in Italia è difficile lo sento dire quasi sempre eppure c'e' sempre qualcuno che ce la fa (ripeto: escludiamo per un momento questo ultimo periodo) e non e' vero che sono sempre dei ricconi pieni di risorse finanziarie.

  41. VI PREGO…. fatemi incontrare colui che ha scritto perfettamente la mia vita di ogni giorno!!!!!! si è scordato una cosa però: a produzione fatta: mi spiace quel tessuto non lo facciamo più…… e alla domanda: ma più??? risposta : e mica sono un mago per saperlo!!!!!!!!!!!!!!! articolo da pulizer…. w l'italiaaaaaaaaaaaaaaaaaaa

  42. Scusate se mi intrometto, e se il mio commento dovesse violare qualche norma cancellatelo pure. Mio marito, con due suoi amici/soci, sta cercando di creare una start-up dedicata alla vendita online dei prodotti dei designer emergenti. Si tratta di un lavoro lungo, e ora stanno cercando di tirare insieme materiale e testimonianze per chiedere finanziamenti e iniziare. In pratica, i designer emergenti avrebbero una vetrina sul web sia come ecommerce sia come punto di incontro/social, comunicazione diretta tra designer e cliente. Ovviamente la regola è made in Italy, e voglia di mettersi in gioco. Chiedo ora agli admin: posso inviarvi un recapito mail cui i designer- se vogliono- possono contattarmi? Grazie
    Manuela

      1. ok, la mia mail è [email protected]
        per ora è sufficiente segnalare – per chi è interessato – il nome del brand e il proprio sito internet se l'ha, oppure mandare un file con qualche foto di abiti/accessori etc prodotti, e una mail per il contatto. Se il progetto va in porto, si sarà contattati!
        Grazie mille

        Manuela

  43. ciao a tutti.
    conosco frizzifrizzi dagli albori, lo leggo tutti i giorni da sempre e partecipare a questa conversazione mi regala un senso di appartenenza, ancor più perchè tocchiamo un argomento anche a me "caro".
    caro in senso romantico… e caro nel vero senso della parola.
    il mio piccolo mondo, o brand, è nato due anni fà, quando ancora ero full time in agenzie pubblicitarie risucchia cervello e non ne potevo più, ci stavo stretta. da qualche mese ho fatto il salto nel buio, ho mollato la carriera da art director e lavoro in una sartoria a milano, per acquisire i segreti di questo mestiere e farli miei. inutile dire che ho ricominciato da zero e che faccio fatica ma, dal punto di vista creativo, amo tutto di questa nuova frazione di vita. con molta fatica, in questi due anni, mi sono tolta qualche piccola soddisfazione, come articoli su questo bellissimo sito o pubblicazioni (del tutto casuali e non cercate) su riviste di settore… insomma è tutto bellissimo. per scelta e per necessità, io non punto al fashion system bensì all'artigianato d'autore, anche perchè non produco esclusivamente "moda"… perciò da un certo punto di vista dovrei immaginare un percorso più "semplice" mentre, da un altro, potrei direttamente cercare lavoro come cameriera e forse farei prima! a me, come a tanti altri, occorrerebbe un aiuto, un sostegno, una regolamentazione, che permettano di immaginare un proprio futuro qui, dove tutto va a rotoli e noi artigiani indipendenti siamo presumibilmente l'ultima ruota del carro. come si dice, mal comune mezzo gaudio, sono pienamente d'accordo con il fare gruppo, l'unione si sa, fa la forza. grazie per aver toccato questo argomento!

  44. Ho letto con attenzione il post perché sul sito per cui scrivo stiamo dando spazio GRATUITO a designer e stilisti italiani che hanno voglia di farsi conoscere. colgo l’occasione per “ringraziare” tutte le sedicenti fashion blogger che non fanno altro che rovinare e creare pregiudizi sulla categoria, si scrive per passione per voglia di condividere non per avere omaggi o per estorcere uno stipendio , se questo volente andate a lavorare… mi sento però di difendere un po' la mia categoria..personalmente sono blogger e scrivo da 2 anni su un sito non tutte copincollano comunicati stampa ma molte di noi per passione hanno voglia di raccontare il proprio punto di vista e soprattutto non siamo tutte "scroccone" passatemi il termine. Personalmente non ho mai chiesto nè soldi nè omaggi nè nulla a nessun PR o azienda che mi ha contattato. Non nego che alcuni omaggi sono arrivati ma di loro totale iniziativa, non sotto mia richiesta e spesso dopo aver apprezzato il post. Tra l'altro noi sul nostro sito abbiamo deciso di dare totalmente gratuitamente una mano agli emergenti italiani proprio perché crediamo nella moda e nel made in Italy…

  45. Non ho capito la frase sui blog.. "o altri ancora nulla e lo fanno solo per amore del proprio lavoro". Quindi il suddetto brand fashion dovrebbe regalare i suoi capi di abbigliamento, per amore del proprio lavoro. Se un blog parla gratis della sua linea, facendogli pubblicità gratis, da cosa dovrebbe trarre entrate? Dall'ammmmore infinito per il proprio lavoro? Questa frase è terribilmente ingenua oppure in malafede, delle due. Se il blog fosse alle dipendenze del Ministero della Moda e fossimo in un romanzo di fantascienza potrei forse capire..

  46. Che poi esistano blog che non hanno introiti OK, ovvio.. sono iniziative fatte per passione, non passa quindi comunque "l'amore per il proprio lavoro" perché non è lavoro, è un hobby. Se uno lo facesse per lavoro, se si vuole accedere cioè a canali professionali, non vedo perché la professionalità non dovrebbe essere ripagata (es. anche frizzifrizzi che non è un blog di uno che fa un post ogni tanto così tanto per).

    1. Qua si vive di pubblicità, cercando di convincere i grossi marchi a sganciare ma non per copia/incolla, bensì progetti speciali che però il più delle volte – con le agenzie di mezzo – propongono loro unilateralmente senza, come più volte detto, tenere conto delle varie specificità. La nostra filosofia è far sganciare i grandi per poterci vivere, fare ricerca e promuovere gratuitamente le piccole realtà (non solo moda): non ho mai fatto un calcolo serio ma a giudicare ad esempio dall’ultimo mese la gran parte dei nostri post sono proprio dedicati a marchi indipendenti, giovani artisti, festival senza mega-sponsorizzazioni ecc.
      Il problema è che non mi sentirei mai nella vita in pace con me stesso prendendo soldi per ripubblicare un copia/incolla. Preferirei tornare in fabbrica o a fare telemarketing. Chi mi conosce sa che dico sul serio.
      Il secondo, più grande problema, è riuscire a campare con dei principi come questi, quando capita davvero raramente di avere una controparte pronta all’ascolto.
      Ti racconto un episodio. Milano, Salone del Mobile. Una PR si presenta poi mi fa la paternale perché non rispondo alle sue mail che, come quelli di tanti, sono assolutamente standard, generiche e propongono cose allucinanti e fuori target per Frizzifrizzi (celebrities, magari un super party-bellagente di un grosso marchio automobilistico). Come ti permetti di aggredirmi e giudicare male il mio lavoro?, chiedo io, se io non ti devo niente. Niente, nisba. Mi mandi gli inviti? Mi scrivi? Mi cerchi? Significa che sei TU che mi vuoi. Non abbiamo accordi commerciali quindi non puoi pretendere niente. E se non riesci a “conquistarmi” significa che sei tu, PR, a far male il tuo lavoro. Che non cogli le specificità e non le sfrutti.
      Sono circondato quotidianamente dal rumore di fondo di tutta la fuffa che mi arriva da mail, facebook, twitter, telefono. E parliamo di un totale di centinaia di input diversi ogni giorno. Fuffa al 80-90%. Se e quando riesco a liberarmi della mia dose quotidiana mi dedico alle cose interessanti. Ed è un problema di chi mi manda input se non riesce ad intercettarmi, visto che in cinque anni mi pare di aver dato modo di far capire cos’è che ritengo interessante!
      Tanto per lanciare un altro sasso e partecipare un po’ pure io allo sfogo generalizzato ;)

      1. Come sopra sta ai designer cercare i blog/blogger che lavorano bene e con passione e non fanno i copia/incolla, come Frizzi Frizzi ce ne sono altri per fortuna, anche se è verissimo che c'è tanta (troppa) fuffa in tutti i settori…

  47. buonasera,sono un commerciante da piu' di 30 anni ,e di aziende no ho viste passare parecchie… chi e' rimasto…chi e' sparito… oggi esiste un sovraffollamento di molte figure che girano nel mondo della moda…,alcune in modo inutile( vi siete mai chiesti a cosa servono i direttori commerciali? o alcuni uffici di rappresentanza buoni solo a difendere lo status quo di alcuni brand che gli servono per fare cassetta ') anche i cosiddetti blogger , troppi ,figure nate con dei principi diversi da quelli con cui si propongono ora , e la qualita' ne soffre… purtroppo non ci sara' posto in un prossimo futuro per tutti, come per tutti quei brand emergenti di cui si parla,e questo lo dico con enorme dispiacere! vorrei chiedere tuttavia a tutti coloro che hanno idee, voglia di fare e non trovano sbocchi…ma non vi siete stufati di fare t shirt tutte piu' o meno uguali …ma non vi siete chiesti di cosa c'e' necessita' nel mercato prima di buttarvi a capofitto nella vostra mega idea ?, un'analisi cosi' fatta potrebbe far guardare la vostra Meravigliosa collezione come una bella sorpresa e forse qualcuno la potrebbe anche acquistare senza farsi male!

  48. E' davvero disarmante l'approccio del nostro sistema economico ai nuovi brand. In altri Paesi viene data fiducia a marchi nuovi, anche per soffiare via la polvere dai soliti noti che troppo spesso finiscono per ripetersi in una continua autoemulazione. Qui no. Qui, come in tutti i campi, non solo nella moda e nel design, si preferisce far affondare progetti nuovi e giovani. Non sia mai che l'aria fresca rinfranchi troppo gli spiriti stanchi!!

  49. Io ho lavorato come stilista in uffici stile piccoli…
    e si, ci sono tantissime problematiche, ma sui miei blog non ho mai chiesto una lira a nessuno…
    pubblico solo cose che reputo interessanti (http://mussola.style.it/) e credo che neanche Diane Pernet (una delle più famose) http://www.ashadedviewonfashion.com/ , chiederebbe soldi!
    Quindi invito questo designer a segnalarmi il suo lavoro, ma soprattutto lo invito a non essere così categorico;
    come i designer giovani che non riescono ad emergere, esistono bei negozi di moda che sono costretti a chiudere, produttori che non possono permettersi economicamente di pensare alla confezione di linee piccole,
    press agency, appena aperti, che non campano certo d'aria etc etc.
    Diciamo che nel mercato della moda oggi nessuno ha vita facile…
    più comprensione e rispetto dunque, anche per il lavoro degli altri, renderebbe meno amare le proprie frustrazioni!

    1. Ciao Antonella! Ho letto il tuo articolo, ho creato un marchio donna e se non ti dispiace vorrei mandarti il link del sito

  50. Buonasera Simone, sono contento che ogni tanto qualche buon cenno venga preso in considerazione. Sono editore di un magazine sul fashion e lifestyle e provengo dal settore della comunicazione aziendale, principalmente fashion. Gestendo altre attività nel settore, da agenzie di moda a brands stessi, ci scontriamo tutti i giorni con le problematiche delle piccole realtà della moda. E' ordine del giorno vedere brand che nascono e muoiono a velocità della luce, la moda fa moda e status per quei "fortunati" figli che hanno avuto il grande dono di aver le spalle coperte (economicamente parlando). Soldi non è sinonimo di talento e capacità. Assodato ciò, vediamo ogni giorno di più la difficoltà che i marchi hanno nel portare avanti un progetto imprenditoriale serio e definito. La comunicazione è l'anima della moda, in un periodo di crisi più che mai. Come hai ben espresso in fase iniziale ogni singolo stilista/brand emergente si occupa autonomamente della propria immagine, il 90% delle volte sbagliano mattoni fondamentali per la costruzione della struttura che portano a risultati controproducenti per immagine e vendite. Capisco l'onere di investimenti, purtroppo come tutti è un sistema fallato a livello nazionale. L'economia non gira se non c'è giro di cash! Nonostante mi trovi da quest'altra parte, mi sto battendo da tempo con operatori del settore e media in genere per la creazione di un'associazione a tutela della moda (VERA!). Ma a quanto pare, regna il silenzio. La paura di far emergere i veri problemi, fa paura a troppi. Condivido inoltre il pensiero di puntare esclusivamente a soluzioni monomarca. Ma a fronte dei costi e degli sviluppi tecnologici/sociali i piccoli brand dovrebbero essere i primi ad aprire le vedute e ad affacciarsi anche ai mercati digitali (possibili alte vendite a costi nettamente ridotti). Concludo dicendo che le sinergie e partnership di mercato oggi sono alla base di una ripresa economica valevole, per piccoli e per grandi. Un abbraccio.
    D.

  51. Ciao Simone, noto con piacere che questo articolo ha smosso varie coscienze! e ha soprattutto dato a molti la possibilità di uno sfogo…personalmente ho letto con molto interesse i moltissimi commenti e mi sento di aggiungere solo quanto già espresso nel link pubblicato anche su facebook.
    La realtà descritta nell'articolo è molto avanti rispetto a quella di molti designer che non riescono ad affidare ad altre aziende la produzione delle proprie collezioni, e che per questo motivo decidono di autoprodursi.
    Questo perché i cosidetti concept store o comunque i negozi in generale difficilmente decidono di acquistare ma molto più semplicemente ti propongono la solita vecchia solfa del conto vendita.
    Ovviamente poi spingono i marchi già acquistati e non quelli che "se non li vendi tanto glieli torni indietro".
    Quindi, stufa di vedere continuamente il mio guadagno dimezzato, ho deciso di aprire il mio e-commerce e da qualche mese anche un atelier dove poter venire a toccare con mano le mie collezioni…il mio marchio esiste da 4 anni nonostante le varie difficoltà che ha dovuto e che continua ad affrontare, ma è un lavoro che ti da tantissime soddisfazioni, anche grazie alle blogger che si interessano a te e ti pubblicizzano gratuitamente.
    Farsi conoscere, per un giovane designer, è già piuttosto difficile, i budget da mettere in conto per varie questioni sono tanti e di certo apprezzi quando trovi qualcuno che professionalmente ti dedica uno spazio nel suo blog.
    Se poi il blog in questione è così importante e seguito avrà anche modo di farsi pagare dalle grosse aziende che pubblicizza no?
    Un caro saluto a tutti
    S.

  52. 01 di 02
    Mi permetto una tirata, casomai Simone mi cazzia. Mi scuso anche della forma confusionaria della sintassi, sono le dieci e mezza e son… cotto, per questo Simone mi cazzierà un’altra volta.
    Ehm… devo dividere in due parti il mio commento, chiedo venia, la sintesi grammaticale non è la mia specialità…

    Mi chiamo davide pizzolato. Simone mi conosce e sa quanto io tenga violentemente – si parla di botte, scontro fisico – al mio lavoro. Pretendo semplicemente che sia rispettato. In cambio cerco di rispettare – con quel carattere schifoso che ho – quello degli altri. Spiego questo per giustificare un atteggiamento diciamo “decisionista/drastico” nel mio modo di muovermi e che forse potrebbe darvi qualche spunto di riflessione visto il contesto del discorso. E vista la mia età e presunzione mi permetterò di darvi anche qualche consiglio.
    Questa la mia esperienza:
    Ufficio prodotto. Stufo di un “sistema moda” che di “sistematico” ha solo la speculazione operata a tutti i livelli e nauseato dalla oscena violenza carnale di gruppo perpetrata sul NOSTRO capitale, il Made in Italy, mi sono convinto a dire basta ed a mandare al diavolo tutti. Tutti: Aziende e venditori. E’ questo il malessere, mi son detto, il marcio è qui.
    Le Aziende sono nate per passione, i negozi sono nati per passione ( gli agenti no, quelli son sempre stati lì per i soldi… ). Si vendeva, di tutto. Ma erano gli anni 70. Poi sono arrivati il successo ed i soldi, spinti dalla passione, dalla capacità creativa. Era vera bellezza, era qualità. Linee di produzione popolate da ruspanti signore che sapevano cucire da Dio. Poi tutto è diventato logo e ogni contenuto svuotato. Magliette bianche con un nome stampato sopra, il made in Italy è diventato una etichetta cucita di frodo su un prodotto importato e quelle care signore ora sono a vendere la pizza al taglio o a fare le pulizie per versare i contributi che mancano alla pensione.
    Criminali. Sono dei delinquenti. Lo scandalo delle produzioni fatte da schiavi che non vediamo e per i quali non proviamo senso di colpa, lo spregio di prezzi assurdi al pubblico poi assurdamente ribassati in una logica criminale chiamata SALDI. Ma ormai è corto circuito. Saldi estivi a maggio. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
    La causa di questo sfacelo è paradossalmente il Cliente finale, che accetta di acquistare un prodotto importato pagandolo un prezzo assurdamente basso o oltraggiosamente alto . Come si dice, se la gente non comprasse le pistole le pistole non verrebbero prodotte. Ma è anche vero il contrario, che la gente è stata addestrata a vedere solo il logo o il prezzo. Non ha più la percezione della qualità. 
    Allora c’è tutto da rifare, da inventare. Bisogna tornare a parlare alla gente, coltivarla, raccontargli il figlio che è il tuo prodotto. Fargli capire una cucitura spiegandogliela di persona.
    Voi che siete giovani e creativi inventate. Voi che avete la passione lottate. Ma non fermatevi al prodotto. Non fate cose nuove per poi farvi sfruttare dai vecchi sistemi. Prendete in mano il vostro destino. 
    Non è una frase fatta, si può fare, si chiama “abbattere il recinto”. 
    Togliere il prodotto dalle mani dei parassiti. Basta produttori, basta venditori, basta showroom. Vendere direttamente al cliente finale. Esiste un negozio sconfinato a vostra disposizione, si chiama webshop, il vostro webshop; con filiali gratis nei telefoni e negli IPad di tutto il mondo. Producete poco e che sia vostro, amate il vostro prodotto e datelo solo a chi lo può amare, non a chi ci vede un mezzo di speculazione, perché si tratta solo di questo SPECULAZIONE. Non gliene frega NIENTE di voi, NIENTE. 

    1. Ciao Davide, ho letto il tuo commento e mi ha colpito molto! questa discussione mi appassiona perchè per arrivare ad avere un campionario finito è stata un'impresa non da poco! Da qualche parola mi sembri veneto….mi piacerebbe confrontarmi con la tua esperienza se hai piacere, ti lascio la mia mail [email protected]

  53. 02/02
    Autoproducetevi. Controllate tutto, smettete di tirarvela, dovete muovere il culo fuori dall’ufficio stile, uscite dal castello dorato della creatività e diventate imprenditori. Ci sono i laboratori, ci sono, grazie a Dio ce ne sono ancora. Ma dovete andarveli a cercare ed avere voi il controllo. E le piccole quantità le fanno, basta pagare quando è ora. 
    E fate pochi pezzi, magari uno. Siete Stilisti ? Allora fate il vostro capo concept. Un pezzo, collezioni da 1 capo. Fantastico materiale per blogger, un capo una foto una filosofia di vita in uno scatto. Se un capo è azzeccato il cliente compera quel capo. Basta tshirt stampate, pensate ad un capo di abbigliamento che si indosserà tra 3000 anni a partire da oggi e tornate indietro finché ve la sentite e disegnatelo. "Create" Cristo santo. Create l'anello di congiunzione con il futuro. Poi se funziona ne farete due, tre. Ma state concentrati “sul pezzo”. Magari proponete 10 taglie così vestite più gente che può apprezzare il vostro modello. 
    Facile a dire ma non a farsi, direte voi. Sbagliato. Io lo sto facendo. Dopo aver visto cosa è successo ad una adorata linea che ho messo in mano a quei parassiti – la conosci Simone ? – mi sono creato il mio marchio, l’ho registrato, ci ho buttato tutto me stesso – e non c’era posto per nessun altro – e l’ho messo in vendita SOLO sul web. Il risultato ? Controllo, rapporto diretto con il cliente che mi dice bravo o mona, prezzi più convenienti per tutti – si saltano due ricarichi allucinanti – e soprattutto incasso sicuro. Cash, prima della consegna. Fico.
    Vogliamo parlarne dei costi ? Faccio solo un primo esempio : quanto vi costa un campionario ? E la serie da dare agli agenti ed agli show room ? Quanto vi rendono ? Per non parlare del lavoro fisico e mentale e logistico che richiede seguire una rete vendita. Sul web basta una foto ad un capo che poi addirittura spedite ad un Cliente a prezzo pieno. Un mucchio di soldi da investire sulla qualità del prodotto che poi si trasforma in pubblicità. 

    Ehi… è durissima, io ci ho messo il sedere e ci ho messo una ipoteca di secondo grado sulla casa già gravata dal mutuo. Ma sto “educando” un Cliente alla volta, in tutto il mondo. E se in tutto il mondo educo 1000, 100000 clienti ? Magari “salto” lo stesso provandoci , ma la colpa sarà mia e solo mia. E se invece ce la faccio ? Per il momento il format del “mio” sistema moda made in Italy sta già interessando qualche investitore. Così magari i suoi soldi se ben utilizzati sapranno anche produrre qualche risultato migliore di una speculazione fatta sulla pelle dei cinesi.
    Concludo con la sottolineatura del fatto che io sono pronto a fare pace con il mondo dei negozi, con i rappresentanti. Ci sono un sacco di persone fantastiche lì in mezzo. Ma deve essere un mondo che si deve ripulire, che deve tornare sulla terra, che deve profondamente cambiare. Non esiste che un negozio mi chieda l’esclusiva sulla provincia. Su questa possibilità di cambiamento nutro poche o nulle speranze. Credo piuttosto che gli Agenti andranno tutti in pensione ed i negozi, se vogliono rinascere, torneranno ad essere delle belle botteghe con prezzi decenti ed il cestone delle occasioni, gestite da persone UMANE con le quali si potrà parlare di passione e di stile alla pari, senza sentirsi sempre a scuola con il maestro che ti spiega quale è il prodotto che si deve fare. Credo.
    Insomma. Se siete Italiani dimostratelo, siate creativi, anche nel difendervi. E credete in voi, noi siamo Italiani, nel sangue abbiamo una cultura ed una potenzialità straordinarie, non buttiamoci via andando a fare ricerca da Zara.

    Fate vobis. A disposizione per ogni informazione del caso.

    1. bello!!!!!! chi sei????? voglio vedere il tuo "negozio" i tuoi pezzi unici…!!!! io..vendo per passaparola le mie creazioni : pezzi unici che nascono dalla mia fantasia e che a volte si plasmano anche sui commenti di chi trova interessante il mio lavoro… per ora a torino esiste un modo naif…ma divertente di vendere per strasa: siamo OPI operatori del proprio ingegno. c'è chi dice "son stilista di strada" fatto sta che a torino pagando solo il suolo puoi provare a confrontarti con la gente che sta passando per andare da zara!!!! buon lavoro a tutti

  54. Articolo molto utile, anche per chi non è del settore. Serve come risposta, per esempio, a chi dice con leggerezza "ma tanto fanno fare tutto dai Cinesi"… E poi, anche io sono una blogger, ma 100 euro post, porca miseria!

    In bocca al lupo F.D. dovresti TU firmarti e LORO nascondersi!

  55. Buongiorno a tutti, mi chiamo Andrea e sono un futuro designer. Sono nel settore da cinque anni ormai, e pur non avendo importanti esperienze dirette quello che ho letto conferma le idee e le voci che sento da molto tempo. Vorrei andare con ordine.
    Non è facile per nessuno, nemmeno per noi studenti. Dopo essermi diplomato come "tecnico dell'abbigliamento" ho deciso di continuare gli studi e mi sono iscritto ad un corso post-diploma nella mia città. L'istituto in questione è molto valido, gli insegnati sono persone esperte che lavorano contemporaneamente nel circuito moda -e questo è molto importante-, ma non possiamo vantare un nome conosciuto a livello internazionale. Quando cerchiamo uno stage, per imparare a lavorare seriamente, per fare un po' di esperienza e per passare la noiosa estate, molto spesso ci vediamo chiudere le porte in faccia perché sopra la nostra porta non compare la scritta Marangoni, Ied o Naba. Nonostante tutto ci mettiamo ancora più impegno e riusciamo a farci assumere in qualche ufficio stile, ufficio prodotto, laboratorio di modellistica e chi più ne ha, più ne metta. Ma le cose possono andare bene? No.
    La mia personale esperienza di questa estate racconta di uno stage in una azienda (conosciuta); durante il colloquio mi si chiede cosa so fare, si analizzano le mie collezioni, mi chiedono contatti per avere referenze, e mi parlano di una posizione nell'ufficio stile che necessita di una ventata di freschezza. Una settimana dopo confermano il tutto, aggiungendo che percepirò una piccola e simbolica remunerazione. Inizio lo stage e mi ritrovo nell'ufficio contabilità: mi insegnano a compilare documenti, a preparare fatture e bolle, e passo 9 ore/gg a rispondere al telefono a fornitori (dalle materie prime alla cancelleria) che non vengono pagate da quasi un anno -e alcuni anche da più.
    Questa è solo una mia esperienza e sono certo che è un caso, ma credo che alla base di tutto ci sia un meccanismo che non funziona per niente bene.
    Il caso di F.D., e di molte altre persone che hanno scritto qui in questi giorni, si lega al mio per la mancanza di fiducia che si ripone nei giovani. Nessuno ci vuole dare ascolto; nessuno vuole fidarsi di noi; ma tutti sono pronti ad approfittarne. Vi pare giusto?
    Con un paio di amiche abbiamo deciso di aprire una piccola attività, ma stiamo riscontrando enormi difficoltà. Oltre a tutte quelle espresse da F.D. anche dalle persone che dovrebbero supportarci. In particolare loro, vorrebbero trasformarci in imprenditori, che farebbero di tutto pur di guadagnare. Ma non abbiamo un concept in testa, che è il sunto di tutto quello che abbiamo imparato, e vogliamo che il prodotto finale sia pregno di questo.
    Poi c'è il caso dei blogger. Per partito preso è una categoria che mi appare ambigua. Mi riferisco ovviamente a quei blogger che non fanno informazione, non comunicano nulla, ma raccontano solo di quanto sia bello trastullarsi per le vie meneghine imbracciando l'ultima It-bag e calpestando con l'ultimo paio di Prada i ciottolati di Brera. Non voglio sembrare critico e spocchioso, ma potrebbe avere senso essere remunerati se si gestisse un blog a formato magazine, con una vera redazione e una certa qualità dell'informazione. Ma non capisco perché una pagina autocelebrativa debba comportare un guadagno. Mi riferisco a tutti quei blogger il cui unico sforzo è quello di farsi scattare quattro foto con l'abbigliamento del giorno.
    Spero che quel che ho scritto abbia un senso per tutti.
    Andrea

  56. Un articolo vero, con problematiche reali, che confermo anche io nel mio brand emergente. L'unica cosa che mi fa sorridere è la sorgente. Non il F.D., bensì il blog. Blog che stimo e seguo da anni. Ma lo stesso blog, che di fronte ad uno dei -tanti per carità!- emergenti, ha chiuso ripetutamente le porte con dei "NO" o "del sito, che cercherà di puntare sempre di più sulla qualità e di t-shirt, te lo dico sinceramente, ne ho fin sopra i capelli, vista la quantità di segnalazioni che riceviamo. Quelli che ci interessano sono brands che propongono, se non total looks, qualcosa di più della semplice collezione di tees che, sebbene punto di partenza per un gran numero di piccole realtà, sta diventando per tanti, troppi, più un punto di arrivo che di partenza."

    Che dire, fino a che brand emergenti riceveranno risposte del genere, proprio perchè emergenti e senza tesori di famiglia, e senza possibilità di uscire in una prima stagione con un total look, mi sembra abbastanza scontato che una collezione iniziale di tees sia più un punto di arrivo che di partenza.

    1. La nostra, Nick, è una scelta editoriale. Semplicissima. Se non crediamo in qualcosa non lo segnaliamo. Di marchi di t-shirts – ne parlava qualcuno giusto qualche commento fa – ce ne sono non solo tanti ma troppi.
      Se leggi bene il virgolettato che tu stesso hai citato e nel quale riconosco una mia risposta, vedrai che non c’è scritto da nessuna parte che per uscire su Frizzifrizzi bisogna presentare un total look (e se leggi i nostri post te ne puoi benissimo render conto) ma che vogliamo vedere e di conseguenza segnalare marchi che partono da A per non restare A ma arrivare a B, C ecc.
      Non c’è una scienza esatta che mi possa aiutare a capire se il tuo o un altro marchio in futuro si fermerà ad A o proseguirà. È una questione di istinto e di fiducia. A volte riposti bene. Altre male. Nient’altro.
      Non credo sia onesto dal punto di vista dei lettori e degli stessi marchi segnalare TUTTI. Perché non è vero che tutti lo meritino. Certo la scelta è complicata. Come tutte le scelte.

      1. Che di marchi -di t-shirt- ce ne siano fin troppi, sono d'accordo con te. E condivido soprattutto pienamente quando dici che non esiste scienza esatta che possa dirti se quel marchio possa o meno fermarsi ad A o proseguire. Infatti la mia, critica, se così può essere definita, è un po' la mancanza da parte di questo blog (secondo me) di capire e dare la possibilità nel tempo agli emergenti di partire da A e proseguire.

        Giusto non segnalare tutti, nel rispetto di chi legge e segue con affetto il blog. Meno giusto "disinteressarsi". A mio modesto parere, ritengo che chi oggi può smuovere il paese dando supporto ai giovani (progetti) sono persone e blog come questo, ed è un peccato a volte. O magari un bene, chissà. Come dice qualcuno, sono proprio i "no" nella vita che ti portano ad essere sempre più affamato e sempre più tenace perseguendo il tuo obiettivo.

        1. Hai ragione Nick ma a questo punto dubito che stiamo parlando dello stesso sito.
          Guardati intorno, la gran parte dei nostri contenuti sono dedicati a giovani artisti, piccoli marchi, iniziative indipendenti.
          Un rifiuto è tale nel momento in cui lo si riceve (o almeno così sono i nostri). Questo lo scriviamo sempre nelle risposte negative. La prossima collezione non la riteniamo adatta ad una pubblicazione? E tu con la seconda dimostraci che sbagliavamo. Non ci piace neppure la seconda? Dimostraci con la terza che siamo dei cretini.
          Però non si può pretendere che pubblichiamo tutto. Ci sono esordienti che (secondo noi) meritano ed altri no. Come già detto le cantonate, in positivo o in negativo, non mancano.
          E, perdona la franchezza, uno dei problemi più grandi degli esordienti, anno dopo anno, è proprio saper incassare dei no. Sai quante mail piene di insulti mi sono preso? Io di porte in faccia ne ho prese. Nonostante la prima e la più forte, dritta sul naso, di solito me la dia da solo. E ad ogni porta in faccia mi sono chiesto cosa non andasse. Ovvio che non sempre la controparte, quella che sentenzia con un no, ha la ragione assoluta. Ma devo dirti che se riguardo indietro ammetto che il 99% delle volte i no che ho ricevuto avevano ottimi motivi dalla loro. Non mi ero impegnato, avevo sbagliato target, ero partito allo sbaraglio senza strutturare un’idea ancora fumosa, semplicemente non avevo avuto abbastanza spirito critico per rendermi conto di non essere all’altezza di quello che pensavo di poter fare, o ancora avevo commesso il peggiore degli errori: ascoltare il parere di amici e famiglia, che com’è ovvio non riescono ad essere completamente sinceri.
          Come il parere di uno psicologo, dunque esterno, quello di uno totalmente estraneo al tuo mondo può salvarti la vita e farti capire se la strada che hai preso effettivamente è quella giusta.

          1. Premesso che ritengo il mio progetto "umile", inteso che non credo di aver creato/inventato qualcosa di perfetto, nè mi ritengo un genio rispetto agli altri, è logico che anche io ad una porta presa in faccia, cerco di andare alla ricerca scrupolosa degli errori e provare quindi a migliorarmi per il futuro. Indubbiamente dalla ultima mail che ci siamo scambiati, sono passati circa 18 mesi e magari è arrivato il momento di riaggiornarci! Ti chiamerò presto -sempre 333?!- e magari potrò farti visionare presso lo showroom che segue l'Emilia-Romagna la nuova PE2013. Che ne pensi? A presto!

  57. Ciao a tutti,
    leggo con amarezza l'articolo. Ho un negozio che promuove, sostiene e vende designer indipendenti italiani e internazionali. Non chiedo soldi per esporli, organizzo eventi per presentarli ai quali invito molte persone, catering e musica, mando io stessa i comunicati stampa in giro, invito i girnalisti e lo faccio in maniera totalemente gratuita. Sarà per questo che ho grosse difficoltà…ma lo faccio per amore del mio lavoro e perchè credo che il mondo è pieno di gente competente e poco visibile e che sia fondamentale far emergere chi lo merita.
    Mi occupo di un blog sul quale scrivo gratuitamente di chiunque abbia telento e gusto.
    Le osservazioni di un giovane brand legate al mondo della moda a mio avviso sono applicabili anche al mondo dei designers soprattutto in Italia. Sono di Napoli quindi tralascio ogni considerazione sulle maggiori difficoltà di chi vive e lavora nel sud italia. In tanti anni ho conosciuto persone talentuose, piene di voglia di fare e con scarsissime risorse economiche a cui ho prestato attenzione e cura e che in ogni modo ho cercato di aiutare e sostenere.
    Ho visto alcuni di loro perdere le speranze e rinunciare, altri impegnarsi fortemente e crescere. Nella moda, nel design e nell'arte. Oggi credo fortemente nell'autoproduzione e nella collaborazione.
    Molti dei designer con cui ho lavorato oggi si conoscono, lavorano su progetti comuni, si scambiano esperienze reali e lanciano nuove iniziative. E questo è fondamentale. Il confronto.
    Riguardo ai blog, che dire il mio è piccolino, e con numeri modesti ma aperto e vero, eppure vi confesso che a me di segnalazioni ne arrivano ben poche. Tutti preferiscono i blog affermati a cui pagare, regalare o "leccare"…
    Sono convinta che c'è qualcosa di malsano in tutto ciò. Ma sono anche convinta che la tenacia, la passione e il talento premiano…prima o poi ;)
    Un saluto
    Chiara

  58. A costo di sembrare, (forse è così?), inopportuno, volevo "approfittare" di questo spazio di discussione aperto per dire ai fashion designer indipendenti e ai "piccoli" brand italiani che i progetti su #Instagram @fashionoftheday e @fashionfriendly sono aperti e disposti a darvi una mano. Instagram è un canale "diretto" senza filtri e il "settore" fashion è in continua ascesa, dove poter avere una visibilità "diretta" senza nessun "media" (blog, riviste, magazine, etc) a filtrare. Sentiamoci: [email protected]

  59. Ciao ho letto quasi tutti i commenti e vorrei dire in breve la mia. Da Fashion Victim incallita, ho creato anni fa un'azienda di nicchia stile LUXURY STREET, vivendo esattamente tutti i disagi che avete elencato, dagli showroom che mi hanno relegato in un corner, alle scuse dei negozianti per non pagarti, dalle sarte preziosissime ma non puntuali perchè piene di problemi, ai fasonisti scamuffi e a tutti gli intermediari inefficenti, i costi per le sfilate, le brochure, gli account…etc. Ho chiuso. Allora mi sono detta: non sono una stilista, ho solo voglia di fare quello che mi piace e venderlo, ho persino studiato marketing e comunicazione. Allora ricominciamo daccapo e niente rischi! Inventati qualcosa che ti eviti tutti questi problemi! Ho pensato di produrre qualcosa di cui avevo bisogno io in questi tempi di crisi nera e che valorizzasse i miei look da 2 soldi. Ora produco BIJOUX, senza taglie, senza fasonisti, senza residui di magazzino non utilizzabili, senza collezioni, senza rappresentanti, insomma senza un cxxo! li faccio IO e li vendo IO. Chi vuole se li compra,e stop. Quando finirà la crisi farò un brain storming con me stessa alzerò il tiro. Se poi vogliamo farlo insieme, sono a disposizione :) crepi il lupo!

  60. Sul cartaceo (e parlo di riviste di un certo livello), vieni inserito quasi solo se sei anche inserzionista, se prendi una pagina, due pagine, via così. Migliaia e migliaia di euro.
    Per quanto riguarda i negozi che non pagano, non posso fare altro che confermare, nonostante la mia esperienza sia frutto del lavoro presso un azienda con circa 40 anni di attività alle spalle. Sentirsi dire “le tue scarpe sono quelle che sono andate via meglio, vendute tutte, però sai, io i marchi X, Y, Z per contratto li devo pagare pure se ho venduto 0, quindi … beh con i soldi delle tue vendite ci pago loro” … e i marchi X,Y,Z sono sempre nomi grossi, e sempre gli stessi.

  61. Ho letto tutto ,e ora dico la mia.
    Sono una fashion designer, Patrizia Belsito, faccio questo lavoro da dieci anni, trovo stupido riportare qui il mio CV ma posso affermare senza peccare di superbia di avere una certa qual competenza unita ad un discreto talento. Come molti colleghi , o meglio ancora come ottimamente descritto dalla amica Giulia Boccafogli, la strada scelta è stata quella del seguire personalmente ogni fase inerente il mio lavoro: dalla comunicazione alla realizzazione alla promozione e vendita, tutto per mezzo di canali sia tradizionali che 2.0 .
    Ora, io sono designer di abiti e accessori, la mia è una moda che viene solitamente definita concettuale, in cui i modelli non sono reinterpretazioni di cose già viste ma sono "inventati" da me. Questo presuppone che la componente di ricerca nel mio lavoro è elevatissima: un nuovo modello infatti ha una gestazione lunga in quanto viene rielaborato molte volte prima di arrivare alla sua forma definitiva, tutto ciò impegna da un punto di vista mentale.E temporale, molto, moltissimo.
    Non è un problema, è il lavoro che amo e amo farlo in questo modo.
    Ma purtroppo bisogna dire non SAREBBE un problema.
    Gia', non sarebbe un problema se io non dovessi occuparmi anche di fare foto, comunicati stampa, styiling, blog, e-commerce, gestire pagine fb, aggiornare il sito web, prendere contatti per partecipare a fiere, manifestazioni, shooting, contattare negozi, farmi conoscere gestire le vendite ecc ecc.
    In questo caso diventa un problema, ma attenzione…NON perchè non c'è tempo per fare tutte queste cose, è stata una scelta mia farlo, ma perchè non c'è tempo di farle a livello professionale.
    Ti aspetti infatti che se hai un buono prodotto, con un buon prezzo, la cosiddetta gente del settore, sappia guardare oltre ad una comunicazione ed immagine non PERFETTA, invece no.
    E allora tu cosa devi fare? Mettere tutte le tue energie per fare bene quello che non sarebbe il tuo lavoro, per fargli capire che sei molto bravo a fare il tuo lavoro…risultato: rischi di trascurare quello che è veramente il tuo lavoro.
    Tutto questo per dire: VOI, voi che vi infraponete tra noi e l'utente finale, voi che basate il vostro lavoro o la vostra passione sulla moda, voi che dovreste essere il filtro per fare arrivare al singolo solo quello che davvero vale la pena fare andare avanti, sapete effettivamente di cosa state parlando o scambiate solo il contenitore per il contenuto? Quando giudicate ( e lo fate con le vostre segnalazioni, con la vostra scelta di dare spazio, piuttosto che con i vostri acquisti, o con le rappresentanze che prendete) siete sicuri di non stare valutando una bravo fotografo, o un abile pr piuttosto che un talentuoso designer? Patrizia

    1. Cara Patrizia… che dire… e se saltassimo anche il tuo passaggio e facessimo che il creativo diventa chi indosserà il capo? Così se lo farà come più gli piace e non potrà essere che ipersoddisfatto! In più sarebbe un capo unico! Certo, non avrà il tempo di farselo a livello professionale ma se la logica è questa, che differenza farebbe? W L'AUTARCHIA!!! ahahahahhaah ;)

      1. scusami ma non capisco nè cosa vuoi dire nè il tuo gran divertimento, se non sei d'accordo con quanto dico puoi controbattere ma non c'è alcun motivo di banalizzare quanto da me esposto, visto che tra parentesi io ci sto mettendo il mio nome e cognome a differenza tua

    2. Scusa, hai ragione, è che mi hai fatto sorridere… eccoli: Francesco Debiaggi. Per il resto, non saprei cosa aggiungere… A banalizzare non sono certo io poi, se non capisci, si vede che non mi so spiegare! ;-)

      1. infatti credo tu non ti sappia spiegare e soprattutto che tu non abbia avuto voglia di capire il mio intervento. Evidentemente fai parte anche tu di quelle persone che si arrogano il diritto di giudicare il lavoro altrui senza averne le competenze. Scusami ma io sono intervenuta nella discussione per sollevare una problematica inerente al problema, tu invece?

        1. Hai, totalmente, assolutamente e indubbiamente ragione. Come sempre, immagino.
          Ti auguro tanta fortuna. Ma tanta.

          Francesco Debiaggi

  62. scusate ma a me sambra la scoperta dell'acqua calda! cmq ha ragione chiara bisogna unirsi! problema pr? si trova una agenzia giovane che vogluia farsi conoscere! problemi showroom? si fa tutti insieme. se si vuole il sistema si trova, non possiamo sempre lamentarci e poi ci comportiamo come quelli che ci hanno preceduti

  63. Bella discussione! Ma che lamento continuo!
    Vorrei far presente a tutti quelli che scrivono delle difficolta' che hanno sulla messa in pista delle loro collezioni che i problemi ci sono e' indubbio , si sentono sulla pelle ogni giorno,ma sono uguali alle difficolta' che hanno incontrato negli anni passati tanta aziende che ora si sono affermate sul mercato.Il sacrificio ,le sberle, i problemi , le rinunce,ci sono ora,e ci sono sempre stati, cambiano gli attori, ma il teatrino e' sempre lo stesso! quindi avanti tutta con coraggio e con determinazione! Che il mondo della moda sia affollato di squali ,e' vero, che ogni tanto viene messa su' qualche seduta spiritica (LEGGI FIERA) atta solamente ad autocelebrare le solite aziende note a tutti …e' vero anche questo … ma da commerciante molto attento a cio' che accade in giro vi posso dire a tutti che questo e' il miglior momento per uscire allo scoperto con tutta la vostra forza , noi commercianti non aspettiamo altro che di conoscere e vedere cose nuove! Mi raccomando pero'non le solite t shirt!

    1. d'accordissimo.. ma tanto.. la maggior parte parla da invasato..come se i notai i commercialisti e gli avvocati non avessero lo stesso problema visto che il settore è stracarico di questo genere di professionista… però li devi studiare laureati e passare esami di stato… qui spesso tutto nasce dal nulla.. ben venga.. però… ci siamo capiti i però…
      saluto fdn

  64. Mah… cose vere, non c'è dubbio. Non novità o concetti mai rivelati. E non riguardano solo gli emergenti. Forse il problema è che si ha la tendenza ad agire e ragionare (e lamentarsi) con l'idea di essere emergenti, il che presuppone consciamente o inconsciamente parametri ormai logori, con un modello ideale da raggiungere, tipo i brand affermati. I quali però appartengono ad un mondo concluso, inaccessibile, saturo e che risponde a regole diverse dalla creatività nuda e cruda. Conosco emergenti che si definiscono tali da 12 anni…
    Possibile siano sempre gli altri gli str***i? Non c'è qualche falla nel voler perseguire a tutti i costi vie già battute in un settore che, si sa ma soprattutto deve saperlo chi vuole affrontarlo, è in affollatissimo overbooking? Anche di bluff… Con quel che ne consegue.

    Continua—– > ;-)

  65. Io e il mio socio ci siamo inventati le PR commerciali alla luce di quello che ci sembrava mancare nella filiera, convinti che sia un servizio concreto, importante e utile soprattutto in questo momento… Ci crediamo, lo portiamo avanti da mo' e pare cominci a dare qualche frutto. L'importante è che nessuno dei partecipanti faccia il suo lavoro con la prosopopea di chi reputa di fare IL lavoro. Tutti servono, nessuno è insostituibile.
    Potrei rinfacciare certe considerazioni deluse di FD , alla sua stessa categoria. Che tende sepre più a pretendere di pagare solo a provvigioni un lavoro che, si sa, darà i suoi frutti col tempo. Che non è nota per ascoltare i consigli di chi è nel settore da più tempo. Che spesso è molto permalosa verso appunti di carattere commerciale fatti sulla collezione (dato che lo stile puro e fine a se stesso quasi mai fa i numeri). Che si aspetta alla 1a stagione in showroom ordini e clienti come fosse ovvio. Ragazzi ma dove vivete? Probabilmente FD non è tra questi, forse sì, non ci è dato saperlo, ma ragionando per categorie è costretto a farne parte.
    Continua——->

  66. Lamentiamoci allora delle scuole che, sfruttando l'allure magica della parola "fashion", vomitano svenate nuove leve che ignorano come funzioni questo settore, mosso non certo l'outfit con cui ti presenti a un colloquio. Secondo voi i giornali sono pieni di "moda" perchè "tutti vogliono essere noi" o perchè è questione di business? Avete idea che nel mondo reale spesso bisogna ricorrere a prestiti per curarsi malattie di "nicchia" o "emergenti"? E vi stupite che un settore in affanno e sovraesposto come il nostro non cada svenuto ai vostri piedi perchè avete fatti i compiti a casa? Siamo seri, su! FINE

  67. sono pronto a prendere in considerazione nuove proposte di F.D. emergenti , avendo alle spalle strutture più serie di quelle riportate nel giusto sfogo letto qui sopra , senza promettere nulla ma prendendo seriamente in considerazione discorsi seri. contatto mail [email protected] cell 320.6619530 Riccardo Gubiani

  68. di sfoghi se ne potrebbero fare tanti… dagli anni in cui ho iniziato…ad oggi…al contrario prima non era troppo tabù metterci la faccia od il nome… ora invece almeno per la sottoscritta è imperscindibile…visto che in questo settore alla fine… chi ha iniziato nel 1990 pe rima dall'accademia… siamo rimasti in pochi…
    conosco anche qualcuno che ha scritto commenti qui sopra…
    le mie ultime consulenze dallo stile prodotto marketing, riguardano appunto e molto le aziende in start up…per identificare la reale situazione e guidare su come muoversi…cercando di evitare alcuni se non tutti i problemi elencati….
    è vero però che le redini in genere non le ho io in mano…per cui i clienti decidono poi di conseguenza…
    ne servirebbero molti altri di sfoghi… ma lasciando anche dettagli più diretti e precisi….ed analisi oggettive, le uniche che servano poi a districarsi…
    quando volete fatemi sapere
    fdn

  69. Salve a tutti, scusatemi se mi intrometto ma ho trovato l'articolo e successivamente la conversazione molto interessante.
    Mi presento perchè mi piacerebbe dire la mia. Io sono una fashion designer laureata già da un anno allo IED. dopo aver pagato piu di 30000mila euro per prendere un diploma che non mi ha dato alcuna opportunità di lavoro nè tanto meno di stage, ho deciso subito (perchè non sono una che aspetta con le mani in mano) di aprire il mio Brand, SuBlimen, (ovviamente autofinanziato). Ero consapevole del fatto che sarebbe stata una strada in salita così ho deciso di andare ancora di più controtendenza creando una linea di capi sartoriali, realizzati uno per uno dalle mie due sarte: niente laboratorio, niente piccole industrie, niente cinesi. Insomma, vi faccio immaginare quanto mi costa una sarta qui a Roma…Conclusa la prima collezione, ho creato un listino prezzi (dove ovviamente il mio guadagno era pari a zero) e sono andata per le boutique di Roma a proporre i miei capi in contovendita. (piccola parentesi: io penso che il Conto vendita sia un buon compromesso per tutti i designer che devono proporre per la prima volta le loro creazioni. Nessun negozio comprerebbe un prodotto che ancora non ha avuto alcun tipo di riscontro, quindi penso sia giusto per iniziare. In questo modo la scelta è solo dell'ultente finale).
    Ad ogni modo, Il mio obiettivo, non era quello di guadagnare, ma per il momento solo capire se i miei capi potevano piacere, se risultavano interessanti al pubblico a tal punto di scegliere di comprare i miei piuttosto che quelli di un altro designer (magari già affermato). Ovviamente ho avuto solo risposte negative, poichè non c'è nulla da fare, i commercianti vogliono guadagnare e più ricaricano meglio stanno. La cosa che più mi ha sconvolto è stata la proprietaria di uno showroom a Campo de Fiori che mi ha spiegato di essere all'avanguardia perchè lei punta sui designer emergenti, ma non noi… Lei vuole solo i designer emergenti che già si conoscono, quindi che magari hanno sfilato per who is next ecc ecc!!!! un assurdità!
    Nel frattempo ho venduto qualche pezzo in un piccolo negozio a Como, ma non ovviamente abbastanza per pagarmi la collezione successiva, anche perchè ripeto, il mio guadagno per il momento è pari a zero. Così ho contattato un agente milanese che aveva visto il mio prodotto ed era interessato a venderlo. beh, un'altra fregatura dal momento che avrei dovuto produrre i capi in serie per ottenere la possibilità di piazzare il mio Brand in più boutique lombarde. Quello che però mi ha particolarmente colpito sono state le mail dall'estero (editoriali, blogger, compratori) che apprezzavano ed erano interessate al mio prodotto. Ma come si può pensare di vendere all'estero se non si hanno agganci e non si riesce a vendere prima nemmeno in Italia???? ….Mi si è accesa la lampadina: cavolo, io sono di Roma, vivo nella città italiana più turistica per eccellenza e soprattutto ancora rinomata per l'alta moda e l'abito su misura. e allora, perchè non fare qualcosa qui? perchè non radunare tutti i designer con il mio stesso problema e promuoverci tutti insieme?? nello stesso posto?!
    Concludo: qualche mese fa andando in giro per le vie del centro ho trovato un negozio vuoto, che stavano affittando. Beh, una chiamata e… LO VOGLIO, per me e per tutti quelli che come me hanno bisogno di una Vetrina per le proprie creazioni, di un Corner solo per loro… Ovviamente anche questo è autofinanziato. Ogni designer per entrare deve pagare un piccolo affitto (io non ci guadagno nulla, ve l'assicuro! ma le spese mensili sono tantissime, ed il negozio è proprio davanti al Colosseo!) Questo sarà il primo CONCEPT STORE a Roma dedicato solo ed esclusivamente a veri designer emergenti, e non vedo l'ora di aprire perchè è pazzesco vedere quanta creatività e quanta arte c'è in giro… Creatività vera… non quella miriade di marchi industriali che aprono solo per fare i soldi! Beh, io ci credo, per SuBlimen e per tutti quelli che come me ancora sperano e sognano di realizzare i loro sogni!

    1. stava per succedere a torino!!!! ma…aimè…in questi gruppi di cui parlate…spesso poi l'EGO non viene massaggiato a dovere e il gruppo non si forma…..prime donne..paurosi di esser copiati..insicuri del proprio lavoro….tutti insieme—-non fan gruppo!!!!

  70. Silvia hai dato una bozza di soluzione che potrebbe funzionare secondo me. Per lo meno è una soluzione alternativa.

    L’articolo l’ho letto ieri notte dopo un’ora di telefonata con un ragazzo anche lui proprietario di un brand con la quale ogni tanto ci aggiorniamo per dirci novità darci consigli lavorativi.

    Bene leggerlo mi ha messo una tristezza addosso che non avete idea. Chiaramente condivido tutto, ho vissuto anch’io con il mio brand di accessori tante di queste problematiche, fregature ecc… Vedere che siamo caduti in tanti (tutti) in questi fatti mi da ancora piú sconforto perchè vedo che tutti purtroppo stiamo correndo in una direzione morta con pochi sbocchi. Tutti a parte pochissimi stiamo percorrendo le stesse strade. non mi arrendo alla teoria dell’utile che parte dal 4anno di attività. Ognuno di noi si crede avanti rispetto alla “massa” perchè con Una serie i capacità come l’intraprendenza, il coraggio, l’intuizione, la caparbietà ecc… invece qui mi sento un pesce dentro un mare. Tutti uguali e tutti messi male.

    Ciò che vorrei oltre ad articoli di “denuncia” come questo, è vedere articoli di persone, di realtà che sono riuscite ad affermarsi grazie ad intuiziini e strade diverse. Storie peró dei giorni nostri, no degli anni 80-90 dove la difficoltà di emergere non è minimamente paragonabile a quella di questi anni. Siamo in anni difficili, di transazione. Cerchiamo di guardare avanti e di fare un business giovane-creativo e alternativo e non stantio e fossile come quello che è stato fatto fin’ora. Internet, le app, il web è il presente e sarà il futuro. Cerchiamo di mettere energia e creatività che ci contraddistinguono nel creare canali diversi ed efficaci. Grazie comunque per dare voce a questi temi!!

    R

    1. Presto, molto presto Raen daremo spazio anche ad altri punti di vista.
      Comunque invitiamo tutti quelli che hanno un'esperienza interessante da condividere di farlo. Qua nei commenti o con una "lettera". C'è un form nella sezione CONTATTACI

  71. Io credo che la mazzata finale a un brand "emergente" vienga data dalle show room . Se non fai fatturato ti emarginano in un'angolo perche costi troppo per essere promosso! Fanno vedere quello che a loro interessa e, credetemi, mi e' capitato,sentirsi dire " LASCIA STARE TANTO NON CONSEGNANO" belle persone gli agenti!!

  72. Sono un Designer anch'io, disoccupato, a caccia di lavoro. Non ho certo il problema che ha FD, perché non ho ancora avuto il coraggio di lanciare un mio marchio, ma spesso mi trovo a proporre le mie idee ad aziende.
    Di recente dopo vari tentativi, un azienda di calzature del settore lusso si è interessata a me, mi ha coinvolto in un loro progetto chiedendomi di collaborare per la parte creativa.
    Mi è stato detto di giocarmi bene questa carta perchè è una grossa opportunità e l'azienda si sta allargando e ci sarà posto per me. Ho tentato questa strada, ho mandato alcuni disegni, e loro entusiasti hanno detto che uno sarà prodotto.
    Poi sono arrivate altre richieste per altri pezzi, ma li ho cominciato a pretendere un minimo di riconoscimento economico… SONO SETTIMANE CHE NON SI FANNO PIù VIVI, e probabilmente la prossima stagione ci sarà un paio di scarpe in vendita a 1000 euro disegnate da me, di cui non vedrò un centesimo e nemmeno la soddisfazione di vederci il mio nome!

  73. GRAZIE.
    Grazie per quello che avete fatto in questi giorni.

    Sono FD e oggi ho deciso di scrivere anche io.
    In realtà mi ero promesso di aspettare un po' di commenti prima di continuare con la mia "critica" ma sinceramente oggi non vedo un po' di commenti ma TANTI COMMENTI e sono davvero felice.
    Per questo la prima parola che leggete è un mio GRAZIE… grazie di essere intervenuti, grazie di averci messo la faccia, grazie essermi vicino e grazie di aver criticato.

    Questo mio commento in teoria dovrebbe contenere risposte dirette a molti di voi ma sinceramente trovo molto difficile poterlo fare per cui continuo con il approccio lavorando per MACRO AREE.

    BLOG
    Vorrei subito chiarire che non abbiamo fatto di tutta un'erba un fascio ma ben si ho espressamente scritto
    "Sia ben chiaro non tutti i blog operano in questo modo".
    Sinceramente non dico che io voglio esser pagato ma non voglio pagare il lavoro altrui!
    Penso che sia fondamentale dare un valore ad ogni lavoro ma appunto se io ti invio tutto il mio materiale e ti permetto di fare un post anche solo facendo copia/incolla e uplodando qualche immagine il tuo ritorno come il mio sta nella visibilità. Entrambi ne ricaviamo beneficio senza dover parlare di denaro.
    Inoltre io sono anche favorevole ai blog "indossati" perchè riflettendoci le ragazze che si mettono in gioco e ci mettono la faccia indossando capi di una collezione possono dare un'immagine diversa da quella che si vede in un lookbook ovvero un immagine più reale. L'importante per questi tipi di blog è sapere il loro ruolo senza mai definirsi "giornalisti"

    Showroom
    Ne ho visti davvero tanti sia con il mio brand che mentre lavoravo per altri.
    Io non vedo differenza tra showroom piccolo o grande… hanno la facoltà di non venderti.
    Ovviamente dietro tutto bisogna farsi un analisi di coscienza e capire anche i propri errori ma io di venditori che raccontano bene il tuo mood e descrivono giustamente ogni singolo capo non ne ho mai visti.
    Il mio spassionato consiglio: andate a vendere nei negozi porta a porta metteteci la faccia e dopo aver raggiunto un buon pacchetto negozi allora e solo allora affidatevi ad uno showroom.

    Produttori
    Vero non bisogna dire che i cinesi per forza cuciono storto.
    Come detto tutto è riferito alla mia esperienza e sono sicuro che se "cuciono storto" è perchè fanno lavori con orari inumani e sottopagati… e sinceramente non voglio alimentare questo business.
    Anche qui non tutti i produttori sono delle chimere ora da qualche mese ho trovato finalmente delle persone meravigliose e ho sistemato tutto e la dove non riesce a sostenermi lui già ci siamo attivati con l’autoproduzione.

Boutique / Concept Store
Sinceramente loro sono attualmente il vero grande problema… soprattutto mi ritrovo nella critica di Giada dove una delle scuse più usate è “perdonami ma prima di pagare te ho da pagare le grandi griffe…”
Per inciso le grandi Griffe impongo dei minimi d’ordine e stiamo sempre sopra i 5.000euro,
    il mio brand non ha minimi e concede l’esclusiva nelle piccole città.

    Fiere
Di questo non ne ho parlato perchè volevo vedere se usciva fuori… e così è stato.
    Noi abbiamo fatto fiere sia in italia che all’estero…
In Italia è una vera e propria tragedia… all’estero bisogna solo esser bravi con i tempi d’iscrizione ma i risultati si vedono ed è tutto un’altro approccio.
Un mio grande desiderio è che venga rivista il sistema fieristico di Milano… non può minimamente competere con Parigi!

Tasse + Governo Italiano
No ragazzi questo non ne parlo perchè cioè qui arriviamo proprio alla depressione.
Comunque sappiamo tutti come è la situazione e che per nostra grande fortuna (sarcasmo a galloni) gli anni del “berlusconismo” non sono finiti!


    
Detto questo ci tengo a precisare che non era mio intento fare un post di soli lamenti, ma a dire il vero volevo un confronto, vivo ardente pieno di svariati punti di vista positivi o negativi, a favore o contrari, di altri designer o delle parti chiamate in causa.
Tutto questo per arrivare a trovare una soluzione insieme…

    Ovviamente non ci siamo ancora ma, io ho lanciato il segnale e vedo con grande soddisfazione che persone come Chiara Formenti ha recepito benissimo creando questo nuovo post: https://www.frizzifrizzi.it/2012/07/23/la-strategi

    CHIARA GRAZIE SEI IL PRIMO STEP!
    VEDIAMO DI CAMBIARE QUESTO SISTEMA PERCHE’
    
“NOI SARDINE CE LI MANGIAMO A COLAZIONE GLI SQUALI”.

    1. Caro F.D.
      anche io ho una piccola azienda e capisco bene ciò che scrivi, mi ritrovo in tutti e cinque i tuoi punti! E credo che questo sia il momento per tirare fuori le unghie, benvengano proposte come quelle di Chiara ma tutti questi ostacoli saranno la tua forza se continuerai. Se ti può essere di conforto in qualche modo posso dirti che io in 3 anni di azienda ne ho viste di tutti i colori, le stesse di cui parli e mooolto peggio! Siamo stati truffati più volte perchè spesso in fiera se vedono che sei giovane capiscono che sei anche più facile da raggirare, insoluti di parecchie decine di migliaglia di euro, e non ti dico le esperienze con i faconisti, non ce ne è stata che è andata a buon fine, con grave perdita di soldi e grande scoraggiamento. Abbiamo aperto un piccolo laboratorio, acquistiamo le materie prime e le diamo in lavorazione adesso, il lavoro è parecchio di più, non ci fermiamo mai, ma alla fine costa meno e riesci a tenere sotto controllo prodotto e tempo, i clienti sono superselezionati (anche se l'incasso è ancora un problema!) ma dopo 3 anni finalmente e nonostante le perdite di cui sopra i risultati si cominciano a vedere,se mi fossi scoraggiata (e ti assicuro che avevo tutti i motivi per farlo) avrei rinunciato ad un sogno che invece si è avverato. Dobbiamo sognare concretamente ed anche parlare di più tra di noi, trovare il modo per aiutarsi a vicenda, visto che da quello che vedo le problematiche sono le stesse sicuramente se ci potessimo confrontare sulle problematiche reali di questo lavoro quelli che cominciano dopo eviterebbero di scottarsi e sopratutto di perdere l'entusiasmo.
      Ti abbraccio
      Benedetta

    2. Ciao FD
      mi farebbe piacere conoscerti.
      In fondo al post c'è anche il mio commento.
      Comunque per il problema produzione di qualità ed anche di piccole quantità, forse potrei aiutarti.
      Parliamone in privato se vuoi.
      [email protected]

  74. Ciao a tutti,
    ho letto lo sfogo e condivido tutto, ci sono passata e certe difficoltà le affronto ancora quotidianamente.
    Purtroppo è esattamente così, una GAVETTA snervante, deprimente, scoraggiante.
    Per noi piccoli brand TUTTO E' PIU' DIFFICILE, anche solo farsi vendere una partita di pelle è un problema a volte!
    Grazie al cielo ho trovato un produttore che mi dà credito, che non mi dà minimi folli, negozi che mi pagano, gestiti da persone serie di cui sono in alcuni casi diventata amica, che spingono il mio prodotto e soprattutto lo amano; qualche mese fa ho incontrato una persona veterana del settore MODA che crede nel mio lavoro e mi aiuta con lo style/i colori senza chiedere compenso, che mi dà consigli, che se cerco un materiale mi dice dove trovarlo (risparmiandomi mesi di ricerche per poi sentirmi dire "non la conosco, non glielo do"!). ..oggi ho chiesto "Perchè lo fai?", risposta: "Perchè ci credo". E' un aiuto importante, in questo momento INDISPENSABILE.
    SHOWROOM non ne conosco molti, alcuni mi hanno contattata ma poi non ne è seguito nulla….mah…
    BLOG: sono letteralmente subissata di blogger che mi chiedono una borsa così scrivono un post…ma io dico, mica posso distribuire borse a destra e manca alle blogger!!!!!
    1 POST = 1 BORSA è un assioma oramai….le/i blog che ci hanno pubblicato sono pochi (a nessuno ho fatto regalie – tranne a chi mi andava di farlo, ovviamente, per simpatia, per amicizia…ma questa è un'altra storia).
    Sulle fiere è VERO purtroppo…qlle italiane snobbano i giovani italiani e prediligono gli stranieri xke credono faccia più fico…mah…e il prodotto dev'essere scrauso, trash, snobbish-chic perchè molti di quelli che selezionano il buon gusto non ce l'hanno: arrivasse Chanel sarebbe scartata!!!!
    TASSE, lasciamo perdere…
    Che dire??!! E' deprimente a volte, entusiasmante altre…venerdì abbiamo avuto la proposta di una collaborazione importante per noi, con il progetto di una capsule…wow…
    Noi siamo un brand di accessori SPEETWAY BAGS, credo che 1000 sardine possano fare più casino di 10 squali quindi cosa aspettiamo..??? UNIAMOCI…!!!!

    1. Ho letto il tuo commento, hai pienamente ragione, soprattutto per quanto riguarda le fiere ed il fatto che se sei straniero e fai una schifezza di linea subito vieni accolto senza problemi e con tanto di accoglienza a special guest! Io sono una sardina che ha voglia di unirsi alle altre!

  75. + che un problema dei giovani ed emergenti fashion designer si tratta dei problemi quotidiani che qualsiasi imprenditore, artigiano, lavoratore in proprio è costretto ad affrontare oggi. Idraulici, elettricisti, e carrozzieri sono nella vostra stessa barca e a loro va pure peggio visto dove tengono le mani tutto il giorno.

    Putroppo in un settore ultra saturo e ampiamente spremuto a tutti i livelli, avere buon gusto, un fornitore discreto e un amico fotografo non basta +. Se vuoi farcela oggi o hai buone capacità imprenditoriali, analitiche ed economiche o sei morto.
    E ovviamente devi avere un prodotto DAVVERO nuovo o interessante.

    Solo 10/15 anni fa, avere buon gusto, una produzione discreta e buone capacità comunicative era sufficiente per mette insieme un brand che "poteva farcela".
    Oggi che abbiamo + designer che antennisti e per ogni un brand che emerge ce ne sono centinaia che per questioni di spazi, sono costretti a sprofondare sotto di lui.

    Sta cosa dell'anonimato mi sembra una bella intuizione editoriale ma poco altro, sento dal mio birraio di fiducia gli stessi medesimi argomenti, con qualche bestemmia in più, ma nessuno credo lo ha mai aspettato sotto casa.

    Verissimo il discorso sulle difficoltà con il mondo retail e sistema showroom italiano.

    Mi chiedo una cosa però. come fanno i brand stranieri a lavorare con l'italia e farcela meglio di noi, a casa nostra?

  76. continuo a leggervi…e se nel frattempo avete problematiche pratiche da risolvere, del tipo cercare filati tessuti accessori o realizzare capsule collection od altro, potete contattarmi e venire in studio.
    ricevo il mart merc e giov anche fino alle 22 per i romani notturni.
    saluto infoòfdnfashion.com 067212883 zona satab cinematografici di conecittà

  77. Faccio parte della schiera dei "rifiutati" di Frizzifrizzi, in illo tempore non avevo ancora compreso bene talune dinamiche, che Simone ha illustrato con chiarezza nella sua risposta a Nick, con un'analisi che condivido appieno. Mi permetto di raccontarvi anche la mia esperienza, ora che quel periodo è solo un ricordo lontano e che, per l'appunto, i "no" mi hanno aiutata a crescere e migliorare: a tre anni di distanza ho un marchio registrato, vivo del mio lavoro, vendo le mie collezioni in Italia ed in Europa, recentemente ho avuto necessità di un distributore per gli USA per far fronte ad un primo rivenditore statunitense che non si è arreso neanche dinanzi alle tasse e controtasse che ha dovuto pagare per avere i miei prodotti in negozio. Ho avuto alcune pubblicazioni a mio avviso "importanti" senza averle assolutamente cercate, tra cui quella su Vogue.it, che non mi hanno sorpresa nè lusingata perchè semplicemente premiavano il mio impegno e la mia tenacia, oltre che la buona manifattura delle mie creazioni.
    Ho conosciuto persone fantastiche come Giulia Boccafogli, Elena Massari e tante altre, le quali mi danno fiducia e forza per andare avanti nei momenti bui, che sono tanti…perchè ho una mia famiglia, per la quale il mio contributo economico è fondamentale (nessun aiuto economico da parte di genitori ed affini), vivo da sola dall'età di ventun anni e mi sono sempre mantenuta con il mio lavoro (creazione di gioielli e successivamente di bijoux) per svolgere il quale ho studiato (mentre lavoravo).
    Tutto quello che il nostro designer misterioso ha messo in luce mi è più che noto, avevo scritto qualcosa di simile (e alcuni dei commentatori di questo post lo ricorderanno) sul blog di Arti.Sani: http://artisani.blogspot.it/2012/05/i-conti-in-ta
    Le difficoltà e le problematiche relative ai creativi emergenti sono un po'le stesse in tutti i settori lavorativi (chiaro che per conoscerle bisogna vivere nel mondo reale): file di giovani e meno giovani in cerca di lavoro, sindacati che stanno lì tanto per fare numero (e temo farebbe numero anche un ipotetico sindacato dei giovani designers), pressione fiscale mostruosa. Il tutto mentre la gente "normale" come me ha il frigorifero mezzo vuoto e le bollette arretrate saldate all'ultimo minuto.
    E' chiaro che in questo contesto essere uniti e solidali, muoversi "in branco" potrebbe essere una strategia efficace (nacque da queste considerazioni il gruppo Arti.Sani); ma resto un po'dubbiosa riguardo alla capacità dei più di mettere da parte i propri obiettivi personali in nome di una collaborazione basata sulla solidarietà ed in parte sull'altruismo. Almeno nel nostro "paese".

  78. Non conoscevo FrrizziFrizzi ci sono capitato per caso….ho inviato anch'io un email di presentazione….e ovviamente nessun riscontro…quindi faccio parte anch'io di quelli non considerati….non voglio ASSOLUTAMENTE però dirlo in tono polemico; faccio parte del mondo della moda MOLTO border line e quindi credo che gli spazi che parlano di moda non siano pronti a parlare di moda diversa non dico migliore o più bella o più innovativa dico solamente diversa….ovviamente un sito o blog come dice il titolare di questo spazio deve anche vivere e quindi non mi permetto di criticare le sue scelte editoriali….ognuno a casa propria è libero di fare quello che vuole….che dire ho percorso all'inizio della mia carriera gli stessi spazi e posti come tutti poi mi sono "rifugiato" in internet e da allora non mi sono più fermato….per quanto riguarda la produzione all'inizio è stata non dura durissima…ma se fai un prodotto che ha un minimo di senso poi riesci anche a venderlo e a prendere dei soldini che mi permettono ora di pagare tutti subito alla consegna e quindi di venire riverito e considerato dai laboratori terzisti….

    1. Ciao Pier Giorgio, in realtà abbiamo già messo la “bandierina verde” alla tua mail. Il che significa che è stata velocissimamente letta e messa tra quelle alle quali rispondere.
      I tempi – ricevendo decine e decine di mail al giorno (al solo info@ ed altrettanto sulle altre) che diventano centinaia nei periodi “caldi” – si allungano quindi bisogna avere pazienza. Purtroppo l’immediatezza del web dà spesso l’illusione che dall’altra parte ci sia una sorta di intelligenza onnisciente che non deve combattere con il fattore tempo ma purtroppo per noi non è così.
      D’altra parte è anche impossibile rispondere a tutti. La nostra politica è rispondere quando siamo interessati ad un prodotto, progetto ecc… oppure quando vediamo che ci sono potenzialità ma qualcosa secondo noi non va. In mezzo c’è poi tutta una serie di segnalazioni da parti di marchi grandi o piccoli che fanno prodotti-fotocopia, di uffici stampa che ti riempiono di foto di celebrities e prodotti che non valgono niente, di gente che non ha la più pallida idea di come presentarsi (e qua ci sarebbe da aprire una lunga, lunghissima parentesi: da quelli che ti scrivono in inglese nonostante siano italiani e nonostante sia evidentissimo che lo siamo pure noi, a chi ti perseguita con mail quotidiane chiedendo di trovargli un perché nella vita, a chi ti assale con 5000 battute in cui spiega la filosofia che c’è dietro ad una t-shirt che ancora è soltanto un’idea, a chi mette un link e non si degna di scrivere un nome-e-cognome) ecc.

      1. Ciao Simone…bhè mi consola visto che di media NESSUNO del rutilante mondo della moda ci/mi considera…ahahah…(da cui anch'io provvengo un era geologica fà)…VOLUTAMENTE non ho inserito il link……hai PERFETTAMENTE ragione sul fatto che dietro ad un computer ci sono delle persone…. i miei clienti fanno lo stesso :))….

  79. ….discorso diverso dai fornitori di materie prime le quali sono gestite da aziende che come massimo strumento tecnologico concepiscono il fax e quindi quando gli chiedi qualcosa di particolare non ci saltano fuori….ho visitato a inizio mese pitti uomo non ci ero mai stato quindi sono ritornato molto frastornato e con pochissime idee….segno che o sono io che sono "tardo" e non le recepisco o sono gli espositori che non hanno saputo trasmetterle e siccome il rutilante mondo della moda è tutto ricco e sfavillante preferisco pensare alla prima ipotesi….ahahah….

  80. Ciao ho appena letto la testimoninaza di FD e comprendo perfettamente come si possa sentire, pure io ho avuto una situazione simile, con la conseguenza che io ho chiuso tutto, è iniziato tutto con una richiesta di progettare e realizzare dei pezzi per bimbi molto semplici ma efficaci.
    Progetto e realizzo i campioni, tanti complimenti, ben realizzati, materiali di qualità e relaizzati artigianlmente, mi chiedono i costi, sembra che possano andare se non fosse che io non ho la partita iva aperta, dico loro che esiste il contovendita, che si fattura con il codice fiscale anzicchè con la partita iva, che è legale, ma non si fidano e finisce in fumo.
    Ma io non avevo intenzione di tenermi quei pezzi nell’armadio volevo capire se realmente quello che avevo progettato potesse andare sul mercato, penso di andare da un altro negoziante, fosse stato mai, peggio del primo.
    Presento la collezione con listino prezzi, mi fa l’ordine dei pezzi da realizzare, mi metto al lavoro mi apro partita iva registro il marchio, e comincio a realizzare i capi.
    Primo ordine consegnato alla scadenza, al secondo ordine la “Signora” se così la posso definire, mi dice, da precisare me lo dice il giorno della consegna e non prima, la seconda consegna è avvenuta dopo un mese esatto dalla prima, mi dice che i capi non vanno bene che sono difettati e che non possono essere indossati da nessuno, che i prezzi sono troppo alti, ecc.
    Volete sapere come è finita? lei i pezzi li avrebbe voluti solo se io gli abbassavo i prezzi, perchè non c’era rapporto qualità prezzo, io quei capi li ho fatti visionare a persone esperte, responsabili qualità di grosse aziende italiane e mi è stato detto che sono confezionati e realizzati alla perfezione.
    Ho cercato allora di aprirmi un negozietto tutto mio, ma non è stato possibile trovare un buco da affittare, a causa di persone poco serie che mi hanno lasciata appesa ad un filo per mesi per una risposta, erano indecisi se affitarmi il locale, con tutto che gli avevo detto che gli lasciavo la caparra per bloccare il locale, “Mi spiace la sua attività non andrebbe bene in questo luogo lavorerebbe solo per 6 mesi” .
    Alla fine stanca e delusa di tutto, della non conoscenza e forte ignoranza da parte delle persone verso il mio mestiere, che adoro per cui ho rinunciato a molte cose pur fare quello che amo più di ogni altra cosa, ho chiuso partita iva e marchio.
    Adesso sono alla ricerca di lavoro presso qualche azienda speriamo almeno quello possa andare bene, perchè tanto io non mi fermo continuerò lo stesso a realizzare capi, anche per me stessa se io non cucio non penso a progettare a tagliare o toccare tessuti non mi sentirei utile, viva.

  81. Mi spiace che sia così, anche per la cosa ei blog… Non sarebbe fighissimo scovare un nuovo brand, fargli pubblicità spinta, vederlo diventare importante e poter dire: caxxo io lo sapevo e l’ho spinto anche quando nessuno se lo filava ancora! Che poi, se fai una cosa del genere, un bravo manager o chi per esso, un regalo te lo fa… Si avrebbero comunque in regalo cose con la soddisfazione di averci creduto prima degli altri… Io la vedo e la vivo così nel mondo della mia passione, i profumi… E le volte che succede è una soddisfazione!!! Soprattuto perchè, se nessuno mi paga o mi fa regali, posso sentirmi libera di dire che non mi piace una cosa o di non parlare dell’ultima uscita di pinco o pallo! Però sai come mi sentirei fortunata se i brand nuovi o meno arrivassero a me mandandomi loro stessi la notizia delle loro uscite??? Al massimo se poi non mi ispirano non ne parlo!
    Quando queste cose diventano un lavoro però si perde la poesia e succedono cose orribili come queste!

  82. Un caro saluto a Simone ed a FD.
    Non appena mi è balzato davanti agli occhi il post ne sono stata subito incuriosita, ovviamente.
    Sono anche io una giovane fashion designer e, purtroppo, nulla di quanto scritto e della maggior parte dei commenti mi risulta nuovo.

    Condivido a pieno lo sfogo di FD e ne potrei raccontare anche io.
    Nel marasma quotidiano di “felici” esperienze, aggiungerei volentieri qualcosa.
    La burocrazia italiana che agevola di certo, personalmente ho dovuto imparare a consultare nuove leggi e decreti, a non preoccuparmi di porre 200 domande a costo di sembrare rompiscatole.
    I concorsi per giovani designer…parliamone. Per carità qualcuno, locale, interregionale, l’ho pure vinto ma quando erano ancora “puliti” ed “emergenti” anche loro.
    Attenzione ragazzi…i concorsi seri NON si pagano.
    I vari “venditori” di visibilità che mi/ci bombardano. Eventi con grandi nomi, grandi promesse e anche…grandi costi! All’inizio ho ceduto/creduto a qualcuno con la conseguente delusione. Dopo alcuni anni ed un po’ di esperienza in più…perchè per fortuna, stupida non sono, ho capito come funziona, tanto che…ho iniziato ad organizzare da sola i miei “eventi”.
    Un consiglio? Cercate sempre la “fregatura” in ciò che di bello ed entusiasmante vi propongono, rari i casi in cui non c’è.
    E vorrei aggiungere un’altra cosa molto importante…non so il sesso di FD ma posso dirvi che, se sei giovane e donna, pensano di poterti imbambolare e raggirare come vogliono!
    Peccato che si sbagliano!
    Un detto dice che quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba. Altro che acerba…diversa gente mi ha avvicinata, proponendomi di tutto, collaborazioni, sostegno, aiuto…ma quando dico NO, magicamente si trasformano in porte chiuse, bastoni tra le ruote ed, il mio curriculum, vanta pure un paio di minacce belle chiare chiare. Amo il mio lavoro e continuo a lottare, senza scendere a compromessi di alcun genere, e se mai dovrò rinunciarvi, preferirò tornare a fare la cameriera come ai tempi da studente ma…con dignità!

    Conclusione? Faccio tutto da sola (come molti altri ho letto) e questo triplica i problemi.

    Ora non voglio aumentare la lista dei lamenti ma sono quella delle denunce, sperando mettere in guardia chi verrà dopo di noi dai suddetti squali.

    Detto ciò…concordo anche sul doverci unire…uniamoci e creiamo una forza!
    Anche io sto cercando di “svoltare” sul web…se avete suggerimenti utili di siti seri anche stranieri ve ne sarei grata!!!

  83. Aaaahh siamo tutti sulla stessa barca! (e vorremmo disincagliarci dall'isola del giglio…)
    io posso, oltre ad essere non d'accordo ma di più ancora con il mio amico di sventure FD e tutti gli altri amici, portare la mia esperienza e anche quella di una mia amica. Io sono per certi versi una fortunatissima figlia di papà, che lavora nel maglificio di famiglia (piccola, il babbo è artigiano). Dicevo, l'attività parte negli anni 90 ed ora gurdando i numeri anche se erano piccoli, ci sembrano comunque un miraggio. Babbo fa il contoterzista, io inizio a studiare moda, così mamma decide di fare una nostra piccola collezione, con l'intento di privilegiare un giorno, la produzione del marchio eliminando il contoterzi. Risultato: x fortuna c'è rimasto il contoterzi che papà nn ha mai voluto mollare _dovendo pagare mutui, leasing…_ Io finisco la scuola, mi invento uno spaccio aziendale, piccolo, ma a costo 0. il primo anno va bene il secondo un po' meglio, adesso son passati 8 anni, e forse a settembre non lo riapro. Mi do alla vendita online, ma faccio le miserie, spero che parta,con un po' di accorgimenti e molto impegno poi non mi resta che pregare. decido allora di prendermi uno spazio x una collezione mia di capi che non sono proprio standard (e ci sto ancora lavorando) sfrutto i buchi tra una produzione e un campionario per far girare le macchine del babbo con i miei modelli, utilizzando filo avanzato, e x la confezione…. supplicando, arrangiandomi x tutto il resto, finissaggio spedizioni…. insomma devo venderli. punto ai marketplace online estero ma chiedono delle percentuali fuori di testa. ci riprova, sto facendo un sito online solo x la mia private collection, ma sarà un salto nel buio…
    La mia amica invece si è data alle cose che le piacciono di più le borse. Dopo tre stagioni, si è presa una stagione sabbatica, per decidere se ne valga davvero la pena. ufff…
    Spezzo una lancia in favore dei cinesi (aspettate a mangiarmi!!!). Quelli in regola, stanno ESATTAMENTE come noi. non ci stanno dentro con i costi. e poi, pensiamoci bene, non abbiamo più manodopera, tutti i laboratori della mia zona (lombardia) se non hanno ancora chiuso sono tirati all'osso. Stiamo perdendo la nostra cultura manifatturiera. I cinesi la stanno imparando alcuni anche abbastanza bene.
    L'unica cosa che possiamo fare è davvero unirci, per far sentire le nostre voci, le nostre ragioni e soprattutto per aiutarci… in qualunque modo si possa!
    oggi non voglio perdere la speranza!!!!

  84. Ciao a tutti, ho letto con molto interesse tutti i vostri commenti e ho deciso di intervenire perchè anche io come voi mi sono sentita in passato impotente, tanta voglia di fare e tanta fiducia in me stessa che pian piano sono sparite..Io producevo da sola una linea di gioielli, vendevo online e le cose non andavano neanche tanto male, solo che non potevano andare meglio in quanto le mie mani sono due, le ore del giorno sono quelle, e gli occhi dopo un pò non ce la fanno più..insomma quel poco non mi bastava per vivere.

    Allora sono andata all'università, mi sono laureata in design, e mentre tutti i miei colleghi preparavano il portfolio da spedire chissà dove, io cercavo fondi per realizzare il progetto che ho sempre avuto in mente, aiutare tutti i piccoli designer che hanno bisogno di una vetrina e che troppo spesso vengono ignorati perchè "troppo piccoli".

    Alla fine ce l'ho fatta, ho fondato Nosheepshop.com, dopo mesi di lavoro (durante i quali ho dovuto pagare tasse varie senza aver guadagnato ancora nulla) abbiamo lanciato il sito qualche giorno fa. Sull'onda di tutti i siti dedicati all'apertura di temporary shop, come Fab.com e Monoqi.com, noi abbiamo cercato di modificare il meccanismo per venire in contro ai designer che non hanno ancora una produzione così grande (per vendere in quei siti infatti vengono richiesti un alto numero di pezzi e alte percentuali sulle vendite). Abbiamo scelto il rischio zero (se non vendi non paghi nulla, tanto vale provare) e il designer è libero di scegliere per quanto aprire, il prezzo di vendita, se vuole applicare uno sconto, lui spedisce e la percentuale sulle vendite si abbassa notevolmente. Ma non mi dilungo..

    Non vorrei sembrare la paladina dei designer, non mi sento affatto così, io sono una ragazza normale, con le sue crisi di pianto e le sue gioie legate a un progetto. Vorrei dare solo una speranza in più a tutti coloro che ancora ci credono, perchè questo è sempre stato il mio scopo. Se ci uniamo tutti insieme saremo più facili da trovare.
    Non perdiamo la speranza ragazzi, siamo i più forti!!

  85. Ciao a tutti, ho letto tutti i vostri commenti ed opinioni e concordo al 100 %. Dopo anni passati a fare la "dipendente" nel settore moda ho deciso di lanciarmi e creare il mio brand donna.

    Vivo nel nord est, qui di fornitori e laboratori ce ne sono tanti ma quelli che ho trovato io mi hanno reso certe giornate impossibili: ritardi di consegna, pretese di pagamento anticipato, problemi con la fatturazione, lavori fatti male, ecc.

    La cosa che più mi ha infastidita è stata quando per un paio di volte ho chiesto qualche suggerimento a persone di mia conoscenza ed esperte nel settore moda che, nonostante la reciproca conoscenza, mi hanno sbattuto la porta in faccia…

    Mi piacerebbe sapere come avete fatto per farvi conoscere all'inizio: a chi vi siete rivolti, se avete partecipato a fiere di settore per riuscire a vendere, ecc. Ovviamente chi scrive di aprire un negozio proprio reale o virtuale è già numerosi steps successivi alla fase di start up.

  86. Ho letto l’articolo e tutti i commenti e ho voglia di aggiungere la mia personale “lamentela”.
    Sono una dei fortunati brand che frizzifrizzi ha pubblicato e vedere sul mio blog preferito di moda pubblicati i miei capi è stata una soddisfazione immensa e bellissima.
    Mi presento brevemente. Dopo anni passati a lavorare nel settore produttivo della moda, ho anche lavorato per uno dei tanto vituperati terzisti (e poveretti anche loro non sono messi bene perchè produrre un capo è un lavoro lungo e con tanti imprevisti), ho voluto provare a creare un marchio mio che usasse solo tessuti biologici e realizzasse ogni fase al 100% in Italia. Ho incontrato tutti problemi descritti nell’articolo nonostante avessi tantissime conoscenze a livello produttivo e di fornitori. Dopo due anni e numerose soddisfazioni ho deciso di abbandonare il progetto. Premetto che non mi considero la nuova Karl Lagerfeld o il nuovo Brunello Cucinelli, e ammetto che se non sono riuscita a far funzionare la cosa probabilmente è perchè non ho tutte le capacità adatte, inutile negarlo ma da questa esperienza ho capito diverse cose e vorrei condividerle con voi.
    Condivido la considerazione che una volta un rappresentante di tessuti mi ha detto “noi italiani siamo dei bravissimi produttori, bravissimi artigiani ma non siamo dei bravi commercianti”. Ed è verissimo. Abbiamo tessutai bravissimi, produttori di bottoni che fanno veri e propri gioielli, sartine che sanno trasformare un semplice pezzo di stoffa in un capo di alta moda ma non sappiamo vendere il nostro lavoro, la nostra capacità perchè vendere non significa solo esporre un capo in un negozio, significa spiegarlo, far apprezzare a chi non sa niente del mondo dell’abbigliamento e della moda tutto il lavoro che c’è dietro, i pianti, le delusioni, il sudore di chi in ogni fase ha lavorato ad ogni singolo componente. Significa far capire quanta differenza c’è tra un capo realizzato dall’altra parte del mondo copiando o imitando le incredibili capacità artigiane che abbiamo e che non si possono nè esportare facilmente nè replicare perchè sono frutto di centinaia di anni di storia e di educazione alla bellezza e all’arte.
    Quello che più mi è mancato non è stato un aiuto finanziario ed economico, non ho grandi possibilità ma trovo giusto che se credo nel mio progetto ci metta anche i soldi e il rischio, quello che più mi è mancato è stata una guida. Qualcuno che con esperienza, forte dei propri successi, potesse consigliarmi le strade da percorrere a livello di promozione, qualcuno che mi desse un’opinione su come promuovere bene il mio marchio, su come contattare i negozi ed evitare le trappole, su quali fiere realizzare e quali invece evitare, su quali canali prediligere.
    All’estero non è tutto rose e fiori ma ci sono istuzioni, scuole, organizzazioni in cui chi ce l’ha fatta condivide un po’ del proprio sapere e delle proprie esperienze con chi è alle prime armi. E lo fa non per generosità pura ma perchè un paese, un settore, può crescere solo così, se le informazioni circolano senza paura di venire copiati o defraudati.
    Mi sono rivolta alla confartigianato, alla CNA ma ho trovato solo burocrati, gente che non sa niente di moda, di dinamiche del mercato, che non ha mai lavorato specificatamente nel settore e che sono capaci solo ad organizzare convegni senza senso, perchè le chiacchiere sono importanti ma è anche importante concretizzare e dare un senso economico a quello che si fa.
    Ho voluto vendere direttamente ma anche quella strada non è facile perchè certe nicchie e noi brand emergenti lo siamo indipendentemente dal prodotto che fai non sono facili da raggiungere e da scovare.
    Il mio progetto si è chiuso ma sono disponibile a condividere la mia esperienza con chiunque volesse perchè se magari io non ci sono riuscita, qualcun’altro con quello che ho imparato potrebbe costruire un castello!

  87. In Italia ora è tutto difficile. non esiste il made in Italy per come dovrebbe essere inteso. Cittadino: tu compra italiano che aiuti l'economia, io intanto sposto la mia fabbrica all'estero. e non do la colpa agli imprenditori, ma ad uno Stato che sembra mettere pali tra le ruote a tutti: a chi ha la volontà ed il coraggio di mettersi in gioco come imprenditore, a chi vorrebbe comperare, a chi desidera una famiglia, a chi vuole una casa, a chi soffre per una misera pensione e spera di non ammalarsi, a chi lavora sapendo che a 80 anni circa sarà ancora lì a lavorare, a chi vorrebbe fare solo la mamma ma l'affitto e le spese non lo permettono. e via di questo passo. pessimo cammino che abbiamo noi Italiani. E la buona volontà, il coraggio, l'orgoglio ed il talento se ne vanno in fumo.

  88. Ti meravigli che il fasonista ti faccia fare i 50 o 60 pezzi ai Cinesi ??? Guarda, sei già fortunato se accetta di farteli. Io sono fasonista, figlio di fasonisti che si fanno il culo dall'alba al tramonto 6 giorni su 7 per rimanere a galla, produciamo da 20 anni borse per il piu' importante marchio del lusso italiano. I tuoi 50 o 100 pezzi o quello che sono, qui in Italia, te li possono fare solo i Cinesi. Io ti parlo di borse, ma è la stessa cosa anche nelle confezioni, già non riusciamo a starci dentro con le firme per cui lavoriamo, per via delle produzioni spezzettate e dei prezzi risicati, figurati i campionari di brand emergenti!!! Nello stesso tempo che ci metterei a industrializzare e a realizzare i tuoi 50 capi o borse, ne producerei 200 già industrializzati del mio cliente storico.
    E' triste….. lo so' pero' DO NOT ALWAYS BLAME THE FASONISTA :))) Noi siamo quelli piu' scassati di tutti, fidati.

  89. Trovo giusta ogni singola parola…specialmente dove si parla di blogger che ti chiedono in cambio merce(che poi non nutrono nemmeno tanta notorietà) e chi lo fa….GRATIS,fa un copia e incolla delle cose che hai scritto,è difficile emergere….ma continuerò la mia immensa battaglia!

  90. Leggendo attentamente le tue righe sono sempre piu' convinto che ormai il lavoro di qualita' in Italia non è piu' possibile….avendo un'esperienza di moltissimi anni a tutti i livelli nel mio settore posso dirti che molti dei grandi marchi ormai fanno piccoli campionari in italia ma il grosso lo comprano da agenzie di moda che per loro conto producono all'estero tutto ….con il risultato di avere prodotti realizzati fuori magari con made in italy attaccato sopra….potrei continuare a raccontarti tanto altro ma ci vorrebbe un giorno intero percio' ti faccio un in bocca al lupo e se passi dalle mie parti vienimi a trovare. Un saluto D. (www.cassandroatelier.it)

  91. Leggendo attentamente le tue righe sono sempre piu' convinto che ormai il lavoro di qualita' in Italia non è piu' possibile….avendo un'esperienza di moltissimi anni a tutti i livelli nel mio settore posso dirti che molti dei grandi marchi ormai fanno piccoli campionari in italia ma il grosso lo comprano da agenzie di moda che per loro conto producono all'estero tutto ….con il risultato di avere prodotti realizzati fuori magari con made in italy attaccato sopra….potrei continuare a raccontarti tanto altro ma ci vorrebbe un giorno intero percio' ti faccio un in bocca al lupo e se passi dalle mie parti vienimi a trovare. Un saluto D. (www.cassandroatelier.it)

  92. Caro piccolo collega brand, noi di Pitsart siamo un micro-brand, anzi un brand composto da 1 mac-mini ed una linea adsl. Dotazione di tutto rispetto :) – Il nostro (anzi mio, visto che sono solo) brand ha attraversato quasi tutto questo, dico quasi perché per fortuna ho trovato gente in gamba nella produzione, cordialissimi amici con negozi top che hanno esposto e venduto il mio marchio mettendolo nella giusta considerazione. Superati questi che per te sono stati problemi ma che non mi hanno riguardato nel mio piccolo, andiamo a vedere quali sono i Grandi problemi. E' uno solo, si chiama visibilità. Questa costa e senza grossi capitali non si fa nulla. Ho allora ridotto al minimo le spese e puntato solo ed esclusivamente sull' e-commerce in estremo oriente. E' difficile entrare, ma se fai buona qualità segnatamente Made in Italy, ti apprezzano, anche perché, dal momento che la roba scadente per il mercato occidentale sono proprio loro a produrla, sanno subito distinguere il buono dal cattivo ed il bello dal brutto. Con grande sorpresa, sul più importante sito di moda di lusso cinese ho visto comparire il mio brand tra nomi che fanno tremare il mouse solo a pronunciarli. Qual è il problema che sto invece sperimentando, non riesco a trovare giovani che siano interessati ad entrare in partnership come modelle, fotografi, video maker, gestori dei social e tutto quanto è necessario per una visibilità 2.0. E' un vero peccato perché, alla faccia della puzza sotto il naso di tanti blogger italiani, il vero mercato estero che tira, quello cinese, in Italia è tutto morto, ha dato interessanti riscontri di visibilità per il mio piccolissimo Pitsart foulard d'arte. MORALE. Lascia perdere la distribuzione convenzionale, che ti schiaccia economicamente e muoviti verso il mondo 2.0. Un carissimo in bocca al lupo, Maurizio Biscontini amm.unico Pitsart s.r.l.

  93. Sarebbe meglio che i blogger che se la tirano,se la tirassero di meno dato che campano sul lavoro altrui e non hanno neanche lontanamente certe capacità creative….quando ce vò…..

  94. Sono Mario Innocente, CEO di What's More Alive Than You, che Simone Sbarbati conosce bene. Realizziamo le nostre collezioni di calzature e borse coinvolgendo designer in oltre 60 paesi e realizzandole poi completamente in Italia. E qui arriva il bello. Condivido, purtroppo, la lunga e giusta considerazione riguardo alla trafila dei piccoli brand, come anche il nostro. Dalla produzione, primo grosso ostacolo del processo, e ancor prima lo sviluppo del campionario, che ti fanno pagare un occhio della testa, spesso di più di quanto fanno pagare ad una griffe affermata. E questo è anche """logico""" se pensiamo che la griffe affermata porta una gran quantità di produzione. Produzione tale da poter trattare sul campionario, fino a farselo sviluppare praticamente a costo zero. E poi lo showroom, che spesso, come anche nel nostro caso, si gonfia la bocca con il brand EMERGENTE per dare un tono alla propria vetrina di altri marchi. E poi vendere solo gli altri marchi. E non dimentichiamoci anche dei negozianti. Che tanto spesso dicono di cercare novità, tendenze, stilisti emergenti, cosa che ripetono anche alla loro clientela. Ma di fatto, ti stanno a vedere per stagioni e se non muori ti acquistano. Solo pochi sono illuminati, e soprattutto all'estero. Ma questo cari miei è purtroppo normale. Ho passato la gran parte della mia vita nel marketing e vi assicuro che le dinamiche sono le stesse per molti settori. E la cosa è davvero irreale, se ci pensiamo. E' come se volessimo crescere nostro figlio senza dargli da mangiare, senza istruirlo, senza sorreggerlo. D'altronde un bimbo piccolo mangia "pappette" non ha bisogno della costata di manzo come le grandi aziende!
    Grazie!
    Mario

  95. Ciao a tutti il mio nome è George Stephine da Stati Uniti, voglio usare questo tempo meraviglioso mia per apprezzare e raccontare al mondo ciò DR Ovia di [email protected] hanno fatto per me, ero in un rapporto di tre anni felici con il mio compagno poche settimane per il nostro matrimonio mi ha lasciato e se ne andò dopo l'altra donna che non è mai venuto di nuovo a me, ho pianto tutto il giorno in cerca di aiuto ho contattato tanti magia mago ma nessun risultato così ho perso la speranza di riaverlo. Così un giorno, mentre stavo su internet quando mi sono imbattuto in una testimonianza su come DR Ovia aiutato qualcuno per ottenere il suo amante indietro, quindi ero confuso e paura di contattarlo perché avevo paura di essere truffati di nuovo, ma in seguito, a causa di il modo in cui mi mancava il mio compagno, ho deciso che gli ha dato una prova e alla mia grande sorpresa, ha effettivamente aiutato e farlo funzionare per me e in sole 24 ore, come mi ha detto, il mio compagno che è stato così a lungo mi ha mandato e il testo scuse e addirittura mi ha chiamato. Sono così felice di avere il mio compagno torna alla mia auto ancora grazie ancora una volta DR Ovia per avermi aiutato a portare indietro il mio partner. se si passa attraverso lo stesso problema o qualsiasi tipo di situazione a tutti e pensate che ogni speranza è persa mio caro prova DR Ovia e credo che può anche farlo per voi. Contatta DR Ovia oggi sulla sua e-mail: [email protected] ma si può anche contattarlo attraverso il suo sito web su
    http://droviasolutioncenter.webs.com/

  96. leggendo questo articolo mi sono avvilita perchè di tutte queste cose citate non ci capisco molto…sono una creatrice di modelli da donna….disegno con passione dimenticandomi di tutto….mi perdo nei colori,nelle matite e nei cartoncini.Ultimamente avendo su fb un amico che a sua volta ha un amico stilista ho pensato di scrivergli solo per vedere i miei disegni.Sono stata molto carina facendogli entusiasmanti complimenti ma nonostante due messaggi non ho ricevuto nemmeno un grazie.E' proprio vero che ci si dimentica di quando queste persone non erano famose….e poi chi non ha i soldi per investire ma ha amore per quello che fà e tantissima determinazione rimane solo a guardare i propri disegni e a pensare "che peccato che nessuno li veda.Sperando che qualcuno abbia almeno la curosità di guardare solo quello che disegno sarei già felice.Un saluto a tutti !!!!!!!!!

  97. Salve, ho letto per caso l''articolo e condivido in quanto lavoro nel settore della moda da quasi 7 anni. Ho iniziato come distributore per diversi marchi e da 2011 ho deciso di creare la mia linea di abbigliamento donna, producendo in Italia. Per fortuna sono riuscita ad andare avanti e farmi conoscere sul mercato ma cambiando sempre le strategie di marketing, pronta a vedere con 6 occhi Premetto che non dormo più, sono peggio dei cinesi :–))).
    Mi alzo la mattina e parto senza paura di quello che potrei incontrare strada facendo. Non voglio entrare nei dettagli perché dovrei scrivere 2 romanzi non 1, e vi assicuro che ne ho passate di tutte e di più. Devi credere in quello che fai, e mano a mano che passano i giorni le soddisfazioni arrivano! Io personalmente faccio tutto da sola. Creare, studio stile, produzione, vendita. E vero, non ho più vita privata, ma ringraziando alla mia famiglia che mi sostiene moralmente riesco.
    Nello stesso tempo condivido anche le parole di Domenico Cassandro che i grandi marchi non hanno più un studio stile, i costi sono troppo alti per averlo e quindi preferiscono "rubare" i modelli dei altri piccoli come noi, che hanno ancora fantasia, e che succede?! Il cliente viene a contestare che tu hai copiato il modello da loro… e cosi via. Il mio consiglio e che se oggi trovi un ostacolo, nello stesso giorno cerca di trovare la soluzione di eliminarlo solo cosi riesci a combattere con il mondo di oggi. Oggi faccio la maggior parte della produzione in Romania, nel paese di provenienza e vendo in Italia e altri paesi.Un saluto a tutti! A.E

  98. Ciao F.D ho letto attentamente il tuo post e lo trovo molto realista , io ho un azienda in tunisia dove produco capispalla e sarei felice di conoscerti per valutare insieme se le nostre competenze possano esserti d'aiuto per sviluppare le tue collezioni e produzioni , siamo forniti di un ufficio modelleria con lectra system e cerchiamo nuovi creatori da accompagnare nella loro crescita e consolidare la nostra esperienza . puoi contattarmi su FB Gabriele Gritti

  99. Ciao. Purtroppo questa situazione identica passo per passo sta succedendo a me. Ho fondato un anno e mezzo fa un marchio di abbigliamento registrato in tutta europa per cercare di tutelare il mio marchio, ho fatto creare un sito web per la vendita on line, ho creato un blog, ho comprato l'atrezzatura fotografica, insomma ho fatto di tutto, ma purtroppo la strada è lunga e tortuosa. A volte mi dico che ho sbagliato tutto, che non ci capisco nulla, che vivo nel regno dei sogni, considerando che io provengo da una famiglia di commercianti nel settore dell'abbigliamento e sono un ottimo venditore e fashion designer, ma nulla di positivo fino ad ora e le spese vanno avanti. Adesso sto pensando di smettere e chiudere tutto. Non ho intenzione che il bagno di sangue prosegue. Dico solo una cosa. Chi si deve buttare in questo settore imprenditoriale, deve usare i soldi di qualche finanziatore. Punto!! In bocca al lupo a tutti voi, e anche a me stesso che ne ho molto bisogno!! Ciao!!

  100. sono del settore da tanti anni,si vive di alti e bassi in continuo,ma chi c'e dentro è come una droga,non molla se non è finito del tutto.
    se vi capita di andare su,è il momento di mollare,salvo che non abbiate tanti soldi auguri

  101. Ho letto con attenzione quello che scrivi. Quasi tutto molto vero. Nella moda non ci sono barriere all'ingresso e la selezione e' naturale. Sono un ex-titolare d'azienda di un marchio piuttosto conosciuto che di recente ho venduto. Conosco parecchi laboratori , italia ed estero , bravi . Soprattutto donna e bambino. Se posso esserti utile 335 283032 anche whatsupp. In bocca al lupo!

  102. anche io come te mi sono buttata in tempo di crisi in un attività di abbigliamento e purtroppo ad oggi non riesco a trovare una linea giovane che veste anche la taglia comoda, sono proprio in crisi

  103. buon giorno cerco brand emergenti da inserire nel mio negozio di abbigliamento donna
    per iniziare vorrei proporre un conto vendita, non so lei lei conosce qualcuno, le lascio il mio recapito tel 328 3412543

  104. Salve, normale amministrazione.Con il tempo troverà le ditte giuste , le persone giuste, ma i problemi sono infiniti e le persone giuste sono poche, ma alla fine con un po di mestiere si risolve.per esempio un ritardo di tizio o caio ci sarà sempre,basta calcolarlo.
    In bocca al lupo….

  105. ITALIA VS MONDO

    Ho visto che questo articolo è stato pubblicato nel 2012, e ho letto anche tutti i commenti, non mi auspico che abbia un richiamo ma confermo che ancora nel 2017 esistono gli stessi identici problemi. E Mentre ascolto Anna e Marco di Lucio Dalla provo a spiegare il mio punto di vista.

    Le persone provenienti dall’estero, la maggior parte utilizza il sistema “Sardina”, cioè chiedono spiccioli a destra e manca o hanno famiglie grandi alle spalle, e disponibilità finanziaria perchè anche solo organizzare hotel a Milano, spostamenti e quant’altro, costa tanto. Però in un modo o nell’altro realizzano prodotti che hanno un basso prezzo per il retailer. Quindi le botteghe (non boutique) italiane, rivendono il prodotto straniero con la “formula novità” e lo rivendono ad alto prezzo relativo che il cliente italiano acquista comunque.
    Es: il designer asiatico, dopo un anno di marangoni vede un po cosa c’è in giro o cosa sta producendo la fabbrica che sta di fianco casa. Fa realizzare un po di modifiche su dei pezzi che stanno già in produzione (per esempio una stampa particolare, o un taglio un po differente) poi chiede la realizzazione di un lotto di prodotti e li smercia a basso prezzo. Senza alzare nemmeno una matita. Si reca in Italia, Inghilterra, America o Francia, paga un ufficio stampa, un buying office e uno showroom e questi si organizzano per quanto concerne produzione, comunicazione e la distribuzione. E’ in questa maniera che il marchio straniero attecchisce sul territorio italiano. Quindi succede che il sistema Italia, che ha cambiato formamentis non ascolta il designer italiano che molto spesso, al contrario del nuovo stilista dell’anno, disegna, crea il cartamodello e cuce fino allo sdifettamento.
    In italia è stato inventato il pret-a-porter ed è fatto assodato, noi in realtà sappiamo fare tutto. Dalle etichette, alla lavorazione di qualsiasi materia naturale, alla cucitura alla produzione. Ma questo non serve più perchè si son sviluppate talmente tante attività competitive attorno che il prezzo del prodotto finale è chiaramente più basso rispetto al nostro.

    Siccome il mondo si è globalizzato, la gara dei prezzi non si limiterà mai, al contrario andrà sempre più forte e il made in Italy (inteso come filiera produttiva non creativa) è destinato a scomparire o a implodere proprio a causa di queste attività, che hanno cambiato strategia per attirare i soldi dall’estero, visto che in Italia non ce ne son più !!!
    Camera della moda per esempio vuole 15.000 € solo per sfilare, soldi che l’italiano stilista medio non può avere, quindi non rappresenta nessuna garanzia di guadagno per nessuno, non viene calcolato minimamente, e son d’accordo sul fatto che gli enti italiani dovrebbero sponsorizzare gli italiani in primis e facilitare, ma loro non sono obbligati ne moralmente ne in termini di legge, perchè si tratta di associazioni private create da persone private che hanno un idea di business chiara e precisa non sono enti NO PROFIT che tutelano il giovane designer. (idea di attività da sviluppare ;) ) e non è l’artigiano con 10 operai che ha quei due clienti (fortunatamente) che gli permettono di campare tutto l’anno ma non ha tempo di creare la capsule collection del giovane designer. Quindi il sistema non è reso accessibile da nessun punto di vista.
    Ed è così che magari il laboratorio che dal 1910 faceva ricami strepitosi per le sorelle fontana, e poi per Versace negli anni ’80, e poi per chissà chi, è stato chiuso. E con lui moltissime attività.
    Quindi, alla lunga non varrà la pena competere con sistemi che mancano in Italia e che l’italia non crea E che gli italiani stessi (fornitori, laboratori, blogger, showroom, rivenditori, giornalisti, ) non assecondano, perché tutti vogliono guadagnare e STOP.
    Il senso stretto moda, ormai è un concetto talmente usurpato che chiunque si inventa qualsiasi attività di ricamo (es: agenzie nate dal nulla che servono per trovare IL GIUSTO RIVENDITORE PER IL TUO BRAND, o SHOWROOM DIGITALI, o sindacati privati, o associazioni a cui bisogna essere iscritti per forza, o enti tipo CNA, Confartigianato, federmoda etc etc etc pur di avere un patrocinio). Insomma ci devono mangiare tutti in questo settore.

    L’uniche facoltà su cui possiamo puntare noi sardine sono LA CREATIVITA VERA, questo appartiene al nostro DNA imprescindibile, e per creatività non parlo delle crocs con le zeppe (anche un bambino saprebbe disegnarle). Parlo di una nuova chiave di lettura del saper fare italiano, senza rivenderlo con stessa formula ( prodotto artigianale made in Italy) bisogna studiare molto bene la storia dell’italia, la storia dei ricami, dei tessuti, delle forme, la storia dei disegni, la storia di qualsiasi cosa sia avvenuta in passato e riproporre con tecniche che solo noi abbiamo ma che son state superate. Bisogna riaprire i cassetti e aprire bene la testa.
    Questo è l’unica maniera di far sopravvivere il made in italy, così il prezzo alto sarà davvero giustificato e di buono c’è che le tasse saranno comunque le stesse e i problemi gli stessi che conosciamo, ma puntiamo davvero sul prodotto senza far affidamento sul press office che ormai chiedono solo soldi per fare feste. Una volta che si ha una grande quantità di prodotti che raccontano davvero, qualcuno si interesserà e il sistema cambierà nuovamente o meglio ancora si svilupperà una nicchia di mercato che aderisce a cosa viene proposto sotto questo aspetto.

    Tutto dipende dalla filiera distributiva, quindi dovrebbe partire dalla comunicazione di un prodotto, deve essere precisa e mirata: se un brand produce stracci di latex ma li mette addosso a Kim Kardashan (perchè viene pagata per questo), è ovvio che il cliente si vestirà di stracci che costano tantissimo, e il prodotto di qualità che non viene indossato da lei finirà al massimo in un centro commerciale a fare le gare al ribasso. Se molti brand marciano su questo aspetto, noi dovremmo puntare soltanto sulla qualità vera se si vuole fare luxury, soltanto sulla parte tecnica se si fa sportivo, o over size, o bambino bisogna sviluppare l’utilità del prodotto se si vuole comunicare qualcosa da mettere sul mercato e non cercare di confondere le idee. L’identità è questa cosa qui. Viene comunicata male ed è resa piatta con la standardizzazione negli schermi. Ho letto le storie di tanti brand emergenti, e dicono tutti la stessa cosa: prodotto di qualità, il made in Italy è dato per scontato, e sono raccontati solo i dettagli senza spiegare davvero cosa vuole raccontare quel prodotto. Le vecchie case di moda raccontano la loro storia perchè davvero hanno una storia, e quindi (beati loro) possono vivere di rendita a grandi linee, perché son nati con la storia moderna.
    Ma un nuovo brand…. Per quale caspita di motivo è nato? Se manca questo elemento qui è ovvio che il cliente non riesce a identificarlo. Se poi viene messo addosso a manichini viventi del fashion BIz è ovvio che non lo sanno raccontare perché mancano gli elementi. Quindi sarebbe opportuno realizzare anche poche cose, ma fatte davvero bene. Tanto il sistema è in deficit quindi tanto vale sperimentare, ci sono aziende nate anche solo con una t-shirt, ma hanno comunicato un concetto, un valore, una cosa da trasmettere.
    Partendo dal bozzetto. Una volta che si ha un identità e una storia, si sviluppa tutta una serie di cose. Quindi bisogna anche saper lavorare. Ma oltre questo bisogna puntare sui nostri valori, andati via ormai con le anime dei nostri nonni. Non si può creare valore senza una base di valori e senza un concept forte.

    Il mercato non ci ascolterà mai se non comunichiamo cose reali cose che “potrebbero far identificare” almeno un tipo di cliente, e se non possiamo permetterci di vestire Kim Kardashan almeno abbiamo una storia reale da raccontare, un aneddoto.
    Le persone che comprano dai marchi storici comprano a prescindere perchè loro rivendono il concetto moda fine a se stesso. Ed è una cosa che non si può fare adesso coi brand emergenti che spesso non sono geniali, non sono forti economicamente, ne culturalmente. Quindi sarebbe inutile anche includere la dicitura made in Italy. Che ormai compete col made in France, col made in US, made in UK. Tanto vale dire che vuoi un brand per fare i soldi. Per non parlare della competizione altissima dei brand che comprano tutto. Se compro tutte le pagine di vogue, se occupo tutti i locali di Milano per la fashion week, se do le mazzette ai venditori degli showroom, è ovvio che in negozio finisce quello che voglio. Mi son preparato il sistema. Non ho lavorato, ho speso soldi per guadagnarne il doppio, ho investito. Quindi per poter competere con queste cose qui bisognerebbe informare di piu la gente, le persone dovrebbero essere informate su cosa è qualità o meno. Su cosa sia un immagine artefatta o meno, su quanto costa vestire un icona instagram. E creare un canale contrario dove si non si compra niente e nessuno è venduto e vestito sotto pagamento.

    per fare questo bisogna creare prodotti con una storia. Devono avercela davvero una storia. Creare un concetto reale e intangibile, legato magari alla storia di un territorio, alla storia di un ricamo alla storia di un tessuto o di una famiglia etc etc..

    Quindi una volta che si ha il concetto, la storia, e il prodotto. si dovrebbe sviluppare una catena di addetti alla comunicazione come blogger laureati che abbiano la capacità di comunicare davvero qualcosa, artigiani di settore che si specializzino per fare soltanto una cosa, distributori capaci di vendere ghiaccioli in Alaska (che ormai non esistono più) e negozi che assumano persone che amino davvero questo tipo di prodotti. Che amino raccontare le storie e che sappiano trasmettere a livello empatico.
    A mio avviso l’unico modo di sviluppare il nuovo made in Italy è questo. Ed è una cosa davvero realizzabile col sistema “sardina” perché piuttosto che appoggiare un sistema che non ci accoglie il quale non da garanzie e racconta cazzate vere per assecondare una vecchia scuola che ormai è in decadenza tanto vale spendere meno soldi e ricominciare dal poco ma fatto bene, con la condivisone. Al mondo ci son 7 miliardi e mezzo d persone. Una nicchia di mercato, se non esiste si crea! come se la sono creata gi stilisti del passato e che molte case di moda hanno saputo mantenere ma anche perdere. Bisogna aver voglia di lavorare davvero e tenere bene a mente che fin quando ci appoggiamo agli showroom perche vogliamo essere fighi, ai blogger per essere famosi, ai negozi di alta classe perchè vogliamo sentirci parte di un sistema, fin quando cerchiamo una persona che ci dice che abbiamo fatto un bel lavoro, una persona che ci presti soldi, una persona che assecondi la nostra attività… la MODA NON CAMBIA.
    La moda si crea! non si asseconda.

    Es pratico: Siamo una ventina di private Label, e tutti produciamo pochi pezzi con forti storie. Ci quotiamo e troviamo un posto per poter vendere ( dopo svariate riunioni e magari anche qualche sbornia) riusciamo a trovare un salotto che richiede 200 € al mese a persona.
    Ognuno con le proprie forze e il proprio lavoro si prepara il proprio stand.
    Abbiamo già un punto di riferimento. Siamo in tanti ci potrebbe essere competizione ma siccome ognuno ha la propria storia forte abbiamo prodotti diversi.
    Troviamo N… persone appena laureate in beni culturali che lavorano gratis con noi (piuttosto che fare uno stage dove non viene pagato).
    N…. persone appena laureate che si occupano di comunicazione con gli stessi presupposti.
    Fotografi, modelle, aspiranti giornalisti, web digital qualcosa, e ogni figura che possa sposare la nostra causa e che possa permettersi almeno 6 mesi a Milano, come se li può permettere facendo uno stage gratis per curare la pagina facebook di una grande azienda.

    Così si crea un concetto nuovo, moderno, fresco e PULITO. In futuro si vedrà però si costituirebbe già un punto di partenza.

    Il concetto Sardina è una cosa bellissima, il quale io ho sempre preso in considerazione ma non l’ ho mai visto realizzarsi. E lo farei davvero se qualcuno sposasse la causa. Piano Piano si farebbero grandi cose. Ma bisogna iniziare perché da soli non si va da nessuna parte.

    Una volta che si ha una piattaforma, si parte… dove ci sono gli errori si aggiustano… dove ci sono le difficoltà si cerca di affrontarle e non di piangere ogni azienda nasce così. Quando si fa e non si cerca, si crea. Bisogna creare e credere avere fede in quello che si fa e difenderlo coi denti e con le unghie.

    In una ipotetica realtà come questa appena descritta. SI CRESCE INSIEME e si CREA UN SISTEMA ECONOMICO (e volendo anche di valori differenti).

    voi direte,ma questo è pazzo ! però è una cosa che potrebbe funzionare davvero e fare eco. E siccome stiamo prendendo in considerazione i sogni, come quello della moda, dico che è possibile realizzarli.

    Mi metto a disposizione a Milano, per chiunque sia interessato faremo grandi riunioni. :)

    [email protected]

  106. quanti anni sono passati da questo articolo forse lo avevo anche commentato e ci sono ricapitata per caso
    dopo anni di esperienza, alla fine di questo strano e tragico 2020, posso dire che in Italia bene far produrre, bene tessuti, artigiani ecc.
    male il pubblico, la comunicazione, i modi, la gente in generale, le raccomandazioni ecc.
    producete in Italia e poi buttatevi sull’estero dove la meritocrazia esiste e dove la gente comprende molto di più il valore di un prodotto come si deve
    a presto

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