La strategia della sardina: pensieri e proposte per sopravvivere all’interno del Sistema Moda

La lettera di sfogo di F.D. – il suo j’accuse contro il castrante Sistema Moda italiano che sembra accanirsi contro i giovani fashion designers – ha scatenato una discussione dalle dimensioni tanto ampie (quando inaspettate) da convincermi ad approfondire la questione, dando spazio a quei punti di vista che hanno contribuito ad alzare il livello del dibattito, a formulare ipotesi e a cercare soluzioni che possano un domani permettere a chi intraprende questo mestiere di non affogare nell’oceano pieno di squali che è il mondo dei fornitori, dei produttori, degli showroom, dei negozi e dei media.
Dopo la sacrosanta pars destruens arriva il momento di rimboccarsi le maniche ed iniziare a proporre e costruire.
È con estremo entusiasmo, dunque, che lascio la parola a
Chiara Formenti, giovane imprenditrice che del settore ha già un’invidiabile esperienza. Chiara qualche idea su come non affogare o finire in pasto ai pesci più grossi ce l’ha.


E alla fine arrivarono le sardine.
E vissero tutti felici e contenti…

Le sardine sono pesci molto piccoli, gustosi e sani. Chi non conosce le sardine? Tutti sanno cosa sono.
Le sardine per difendersi e vivere si raggruppano in banchi enormi, migliaia di esseri disciplinati che seguono correnti e solcano il mare per chilometri.

Sono Chiara, sono una donna e una mamma, insieme alla mia socia Justine abbiamo aperto un piccolo blog e fondato un’altrettanto piccola agenzia di comunicazione ed ora vi spiego perché le sardine mi stanno simpatiche.
Nei giorni scorsi FrizziFrizzi ha pubblicato un articolo che in molti di voi avranno letto, uno sfogo, un’analisi lucida e graffiante di un giovane imprenditore e lo chiamerò così e non Fashion Designer, imprenditore è la definizione più giusta in quanto ha deciso di imprendere un’attività profittevole che ora profitto non genera, ma al contrario lo pone di fronte a situazioni a dir poco castranti.

Ho letto con passione quel pezzo perché ho rivissuto le stesse difficoltà e le stesse incomprensioni che quasi ogni giorno mi trovo, o mi sono trovata ad affrontare in prima persona o per vie traverse. Sono problemi pesanti soprattutto per chi ci mette il cuore, non solo il danaro e la competenza tecnica. Non c’è nulla di più frustrante nel non vedere il proprio lavoro riconosciuto e rispettato, ma al contrario bistrattato e posto in ombra, ostacolato per motivi ignoti, deriso quasi; in più c’è crisi, la crisi che erode ricchezza, ma che troppo spesso viene usata come ignobile scusa per deviare investimenti o rimandare pagamenti. Eppure è lavoro! Sarà poco, non farà i numeroni eppure è lavoro e mi par di ricordare che la nostra è una Repubblica che si fonda proprio su questo.

Diventando una sardina, muovendosi in banco, imparando a deviare i predatori e sfruttando le correnti per poter viaggiare più velocemente e lontano.

Muoversi in banco.
Deviare i predatori e sfruttare le correnti.

In questa Italia alla deriva, in questo Paese che non premia il suo Made in Italy eppur valica gli oceani per sbandierare illusioni tricolori, come potrà un imprenditore far partire la propria impresa realmente Made in Italy? Come potrà tirare uno schiaffo sonoro ai fornitori furbi ed ai media stanchi?
Diventando una sardina, muovendosi in banco, imparando a deviare i predatori e sfruttando le correnti per poter viaggiare più velocemente e lontano.
Io credo fermamente nel banco, traducendo questa parola in termini 2.0 otteniamo null’altro che network, un termine così in voga, abusato, mai ben capito.
I giovani (o meno giovani) imprenditori del Sistema Moda Italia non fanno sistema, non fanno networking, non si riuniscono in banco, non costituiscono una massa critica che realmente possa portare loro beneficio sotto moltissimi aspetti ad esempio:

Maggiore potere contrattuale con i fornitori.
Maggiori garanzie per accedere al credito.
Maggior possibilità di reperire consulenze vitali per l’impresa.
Maggior potenza mediatica.
Maggior rilevanza politica
Maggiori garanzie di qualità.

Questi sono, a mio parere solo alcuni dei vantaggi che si potrebbero ottenere dall’unione di più realtà in maniera organizzata e con una visione di lungo periodo, fattiva e concreta.
Unirsi per scambiarsi opinioni è bellissimo, sfogarsi e lanciare anatemi via social network è confortante, ma rimane sempre una situazione aleatoria.

Non è più pensabile lavorare sulle stagioni.
Non è più pensabile imporre un prodotto.
Non è più pensabile non essere sostenibili.
Non è più pensabile non usare la Rete in modo profittevole.

Una sardina deve sapere che:
sono cambiati i linguaggi e i consumatori.

In più c’è un’altra cosa che possono fare le nostre belle sardine e cioè escludere dalle proprie rotte i fornitori incapaci, i media recalcitranti e le banche sonnolente. Per fare questo c’è bisogno di una costante ricerca ed in questo modo si possono fissare degli standard, nuove regole perché di un nuovo sistema c’è bisogno. Serve maggiore consapevolezza del patrimonio di know how che possediamo in casa nostra, serve dare spazio a chi davvero sa lavorare su tutta la filiera e sfruttare al meglio i gap di produzione o comunicazione.

Non è più pensabile lavorare sulle stagioni.
Non è più pensabile imporre un prodotto
.
Non è più pensabile non essere sostenibili.
Non è più pensabile non usare la Rete in modo profittevole.

Sono cambiati i linguaggi, definitivamente. Sono cambiati anche i consumatori, io stessa sono consumatrice più consapevole dal cibo all’abbigliamento, dalle piccole cose ai grandi viaggi e con chi devono parlare le mie bene amate sardine? Col mondo intero, rimanendo con le radici salde nel proprio Know How territoriale e questo sapere va esaltato e salvato dai furbi.
Possiamo andare avanti a lamentarci delle tasse, dei vecchi leoni che non mollano gli scranni, delle fiere a numero chiuso, dei negozianti col Cayenne ed i conti in rosso, dell’artigiano schiavista ed inetto, del giovanotto pecorone che spende centinaia di euro per una maglietta con il logo.
Possiamo andare avanti a farci prendere in giro da tutti loro? Lo vogliamo davvero?

È necessaria dunque una seria presa di coscienza da parte di tutti, in primis sono i piccoli e nuovi imprenditori della moda che devono meditare su loro stessi e fare dei piani d’azione seri ed alternativi, nonché proporre dei prodotti o contenuti che rappresentino realmente qualcosa di nuovo sia i termini stilistici che intriseci. In secondo luogo sono le persone come me e tanti altri che devono trovare mezzi alternativi per passare sopra le orecchie dei più grandi, passin passetto, giorno dopo giorno come formichine fastidiosissime, mi ci metto in mezzo perché anch’io ho la mia fetta di responsabilità sulle spalle.

I risultati migliori sono quelli che si assaporano lentamente.
I contenuti migliori sono quelli che arrivano dall’esperienza condivisa.

Lo facciamo questo banco?
Le basi ci sono e a quanto pare siamo in tanti.

I social network non sono la panacea a tutti i mali.
Una comunicazione fatta bene non deve prescindere dalla perfetta conoscenza di contenuto e contenitore.
La visione e la missione devono essere pilastri portanti per qualsiasi azione, se non le avete lasciate perdere.
I risultati migliori sono quelli che si assaporano lentamente.
I contenuti migliori sono quelli che arrivano dall’esperienza condivisa.
Con la poesia non ci riempi il frigorifero.

E dunque? Unitevi, uniamoci, creiamo questo network, incontriamoci, discutiamo su come fare.
Formiamo un banco d’eccellenza che sia una valida alternativa allo status quo.
Diamo voce reale alle piccole realtà, non solo un brusio di sottofondo sconnesso e talvolta iroso.

Io conosco un’Italia bella, la conosco davvero al di là di tutto ciò che ho scritto sopra. Ho lavorato con delle persone che piuttosto che darti un divano (sì un divano) con la cucitura storta lo rifaceva daccapo, ed ora sto conoscendo delle realtà piccolissime e meravigliose capaci di creare con le mani e l’intelletto oggetti incredibili. Conosco donne che con forza e determinazione portano avanti imprese fondate su eticità e rispetto e uomini di buona volontà, come Simone, che si appassionano al proprio lavoro ogni giorno e sempre di più.

Le basi ci sono, che si fa? Partiamo? Vuoi vedere che ci salveranno le sardine?

co-fondatore e direttore
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  1. No, non ci salveranno le sardine.
    Penso che possa essere molto più utile coalizzarsi "verticalmente" tra disegnatori, produttori e negozianti (accomunati dalla giovane età, dal far parte della stessa generazione) piuttosto che "orizzontalmente" tra giovani designer (che, in linea teorica. dovrebbero essere in competizione tra loro, al di là dello spirito di condivisione intellettuale).

  2. Io ci sono, Chiara e non aspettavo altro. Uniti spacchiamo il mondo, ne sono certa! Questo è un post che ho scritto qualche tempo fa in un Blog e mi sembra che le miei idee ed esperienze siano in sintonia con le tue:

    “Quella che i materialisti-dipendenti chiamano crisi è in realtà la fine di un’era e l’inizio di una nuova: quella della civiltà dei valori, della consapevolezza.” Ervin Laszlo e Marco Roveda.

    Da qualche anno sta crescendo in me l’interesse per quello che sta succedendo nel mondo. Sono assetata di notizie che cerco per lo più in rete, soprattutto inerenti la ribellione alla status quo, alla scontata società consumistica considerata dai più come l’unica possibile, rivelatasi invece categoricamente fallimentare.

    L’idea di andare in giro per negozi, entrare nei Department Store, sfogliare riviste di moda le cui pagine sono per metà pubblicità dei soliti noti, vedere le ultime sfilate mi dà la nausea.

    C’è un piccolo problema però: sono stilista e dovrei cibarmi di tutto questo!

    Dovrei esaltarmi all’idea di prendere un aereo per Londra, per girarla in lungo e in largo in cerca di nuove idee.

    Invece mi esalta l’idea di fare una passeggiata nei boschi a pochi km da casa, di andare in Grecia nell’isoletta poco frequentata anche in agosto, di farmi una frittata con erbe selvatiche raccolte da mia madre e uova di galline che ho visto.

    All’inizio ho pensato: sono stressata, depressa, pazza, invece poi ho capito che tutto ciò che mi attrae è lo stile di vita futuro e devo privarmi di quello che non mi fa star bene.

    Con un socio, 4 anni fa, ho creato *****, un marchio di abbigliamento made in Italy, rispettoso delle persone e dell’ambiente, grazie a tessuti di ricerca naturali. Siamo sempre stati outsider del mondo della moda, non essendo attratti dalle sfilate tradizionali e da tutto ciò che ruota intorno al fashion system.

    E’ da 4 anni che lottiamo con le unghie e con i denti per vendere di più e aumentare la produzione in modo da riuscire ad ottenere prezzi più bassi e a non continuare a investire senza guadagnare, per diffondere Reale.

    Invece il sistema in cui siamo entrati ci impoverirà e rattristerà sempre di più, questa è stata l’illuminazione!

    Paghiamo interessi bancari alle stelle, paghiamo piccole produzioni alle stelle per soddisfare richieste di negozianti, alcuni dei quali con noncuranza annullano l’ordine a merce già prodotta o mandano indietro i capi perché faticano a venderli con la scusa che non sono di qualità.

    Il tempo dedicato da me alla ricerca di novità e allo stile è diventato pochissimo perché devo solo scervellarmi a risolvere problemi.

    Produttori e fornitori vari ancora dopo 4 anni ci trattano come un peso più che una risorsa economica viste le basse quantità.

    Fino a poco tempo fa ho pensato che questa situazione man mano che saremmo stati più conosciuti sarebbe migliorata ma non è così.

    Più aumenteranno gli ordini, più il rischio di “pacchi” a causa della crisi aumenterà.

    L’abbigliamento non è certo un bene primario.

    Cos’è però che non ci fa mollare tutto!?

    Il binario parallelo, il monomarca di Milano con cui siamo astutamente partiti. Lì senza alcun intermediario abbiamo a che fare con il cliente finale e riscontriamo che ci sono persone appassionate a Reale, che condividono la nostra filosofia, che vogliono vestirsi in modo diverso o semplicemente si sentono a proprio agio con i nostri abiti.

    Ci sono poi le artigiane che man mano che la produzione sarebbe cresciuta avremmo dovuto mollare. Errore: sono le uniche che hanno sempre espresso una passione grande per il proprio lavoro, non ci hanno stressato con i pagamenti e hanno fatto il tifo per noi.

    Alla fine stiamo tornando indietro, invece che crescere, decresciamo: allontaniamo inutili stress e persone legate al vecchio mondo anni ’80 e possiamo curare le cose come vogliamo noi in prima persona, solo per chi veramente apprezza.

    Sono io la prima a non essere più interessata all’acquisto di abiti a meno che non siano davvero unici, originali, con una storia, quindi sarò la prima che offre solo pochi capi particolari, frutto di ricerca e cuciti da persone che apprezzo.

    Intanto a mente più libera posso passeggiare, scegliere cibi buoni e naturali e impoverirmi di meno…

    1. "Alla fine stiamo tornando indietro, invece che crescere, decresciamo: allontaniamo inutili stress e persone legate al vecchio mondo anni ’80 e possiamo curare le cose come vogliamo noi in prima persona, solo per chi veramente apprezza."
      Un nuovo Sistema deve considerare il Downshifting….oh yes!
      Brava!

  3. fino ai 25 anni (ora ne ho 37) seguivo abbastanza la moda e ricordo bene che la "scuola" che peferivo era quella di Anversa…il mio stilista preferito era Dries VAn Noten che tra l'altro mi dicono che oggi sia tornato alla grande!…il sentimento europeista in me dominava…oggi invece sono piuttosto scettico a riguardo!…fatto sta che intravedevo/fantasticavo proprio un meltin pot di sinergie tra Anversa e Milano..consapevole , con orgoglio, della potenza della bellezza e dello stile di molti designers italiani!..ed invece???

    cmq…a proposito del contemporaneo, l'avete letto questo articolo del Il sole 24 ore ????
    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-07-11

  4. ‎"non è più pensabile lavorare sulle stagioni": sì è quello che ho detto anche io in un'intervista pubblicata poco tempo fa su https://www.facebook.com/BeautifulPeopleLiveArt, ed è già da tempo che lo affermo. Ho partecipato a 3 fiere importanti, 2 a Parigi e una a Milano, dove i costi degli stand improponibili e le spese per i campionari hanno prosciugato i miei risparmi, per poi vedere dei buyers che entrano in una stanza, fanno una piroetta per dimostrare che guardano cosa c'è e se ne escono tranquilli. Si dice che bisogna educare il pubblico che acquista…sec me bisogna rieducare anche i negozianti, che dovrebbero puntare sul made in Italy e non solo sul marchio famoso.
    ah dimenticavo: per Made in Italy intendo il totale Made in Italy, non come quei marchi che possono scriverlo sull'etichetta solo perchè hanno fatto cucire la tasca in un laboratorio italiano e tutto il resto per motivi fiscali ovviamente l'hanno fatto confezionare all'estero.

    In parte concordo con il commento di Khaa, in effetti non è così semplice penare ad una "cooperativa" di designers…il problema è proprio il sistema, credo sia anche molto complesso coalizzarsi con produttori e negozianti, proprio perchè sembra che siano loro a decidere chi sia degno di una vetrina o meno.
    La sensazione che ho provato durante le fiere alle quali ho partecipato era di essere sotto esame, come se i buyers, che hanno il potere, potessero giudicare senza conoscere il tuo progetto e decidere se potevi andare bene o no all'interno del loro negozio. Non importa se il tuo porgetto ha delle basi di ricerca (cinema, letture e vera passione), il grande loro obiettivo è VENDERE quindi sei come dire "nelle loro mani". Penso che il metodo più efficace sia quello di saltare questo passaggio, e vendere direttamente ai propri clienti, perchè solo chi crea il proprio lavoro può appassionare anche gli altri.

    1. Più che una cooperativa penso che si tratti di fare lobby. E comunque mi lascia perplesso, perchè non so che peso possa avere una lobby di giovani disegnatori e stilisti.
      Per esperienza personale posso dire che mi sono trovato bene o benissimo con negozi gestiti da under-35, in particolare Taboo a Perugia e Akitique a Milano, che hanno promosso i miei prodotti e sono sempre stati affidabili. Ed è a loro che penso quando scrivo di "allearsi" con negozianti giovani.

      1. Credo che a partire dalla proposta di Chiara si potrebbe – come da lei suggerito pure in un commento al "j'accuse" – sviluppare una piattaforma di confronto, preferibilmente "faccia-a-faccia" dove cercare di trovare una sintesi, invitando sì fashion designers ma appunto anche negozianti, produttori, laboratori ecc.
        Di interesse ne abbiamo ricevuto molto. Lo stesso per quanto riguarda segnalazioni di realtà "diverse", quindi da coinvolgere per iniziare a lavorare su un Nuovo Sistema.

      2. Non intendo una cooperativa, ma un organismo sociale e politico che fissi degli standard qualitativi, premi le realtà virtuose e sia in grado di contrastare i comportamenti iniqui ed al contempo sia di valido supporto ai giovani imprenditori. Un sistema vero e proprio. Se questo non è possibile nell'immediato, come è ovvio, chi sia affaccia al business della moda ha tutto il vantaggio nell'unirsi e discutere in primis sulla situazione vigente per sovralicare le problematiche varie ed eventuali tendendosi vicendevolmente la mano. Ovviamente in un libero mercato la concorrenza deve esistere, ma pensa alle aziende facenti parte di Confindustria…sono concorrenti tra loro giusto? Eppure proprio tramite Consindustria fanno scudo. Ora la situazione è talmente lacerata da non poter essere nemmeno considerata "alta frammentazione" . Ben venga anche un tipo di collaborazione verticale! Certamente è cosa buona e giusta, ma soprattutto vantaggiosa per tutti.

        1. Confindustria è una lobby fortissima. Le Sardine no. Avrebbero un forte potere intellettuale e culturale, capace magari di creare uno o più stili nuovi, ma scarso potere di pressione economico verso fornitori, produttori e (soprattutto) negozianti. Se le Sardine trovassero giovani produttori e negozianti con cui lavorare, allora potrebbero poi fare pressione su tutti gli altri (e forse pure sulla stampa). Sui fornitori la vedo dura, a meno che non ci sia una forte coesione locale (a livello provinciale, per intenderci). Purtroppo l'unica lingua che parlano molti è il profitto, e il ricatto economico diventa l'unica arma.

  5. ben vengano i giovani che hanno la possibilità di aprire un negozio "alternativo" ed intelligente…il problema è che aprire un negozio adesso, in questo periodo di grande crisi, è diventato impensabile. Nella mia piccola città chiudono in molti….
    Ci vogliono dei finanziamenti, degli aiuti da enti pubblici e privati, sostegno per le nuove imprese e agevolazioni fiscali. Non può andare avanti sempre e solo chi ha i soldi, e tutto è basato su questo.
    Puoi avere mille idee, iniziative, organizzare eventi, ma se no ti danno supporto non vai avanti. All'estero in alcuni paesi, tipo in Belgio, so che il governo offre incentivi agli "artisti", aiuti concreti, magari piccoli, ma è pur sempre qualcosa. E finchè anche chi organizza fiere campionarie chiede come minimo 6000 euro per uno stand, sia che tu sia emergente o meno, avranno sempre più opportunità di farsi conoscere quelli che hanno denaro in quantità.

  6. Mi piace lo spirito ottimista di Chiara.
    Purtroppo, il malcostume denunciato nell'articolo di partenza è diffuso a tutto il sistema moda, trasversalmente in tutti gli ambiti, dalla creazione del prodotto, alla commercializzazione alla comunicazione.

    La ragione è molto semplice: l'offerta (di giornalisti, stylist, creativi e quant'altro) super abbondamentemente la domanda.

    Risultato: giornali, negozi, showroom e aziende sono in una posizione di forza, che permette loro di imporre stipendi da fame, contratti farlocchi e tutto il resto. All'urlo di: Prendere o lasciare, ttanto abbiamo la fila davanti alla porta.

    1. Il punto è questo. Se ci fosse davvero una realtà super partes che alla base annullasse questi comportamenti? Esiste una sorta di "sindacato" delle piccolissime attività/liberi professionisti/ etc… no, non esiste alcun tipo di tutela e neppure uno standard qualitativo da rispettare pena l'esclusione dal mercato che sia in temini commerciali o di servizio.

  7. Ho rimuginato e riletto con calma nel week-end tutto il bailamme scatenato da Simone+FD. Ho cercato di di fare chiarezza sul da farsi, poi Chiara e Camilla hanno raccontato, meglio di come avrei saputo fare io, la direzione giusta da prendere. Sono una designer capitata a fare moda, con un piede nella creatività e l'altro nel mercato. Non mi soffermo a commentare quanto mi sia suonata familiare la saga raccontata nel primo pezzo di FD e del sistema moda italiano. Mi sembra che la strategia delle sardine sia l'unica possibile in verticale, orizzontale e anche di traverso. Approfitto solo per sottolineare un aspetto che mi sta a cuore: il Made in Italy, da sempre 'condicio sine qua non' di ogni nostro progetto e caratteristica distintiva del nostro marchio, così come di molte altre realtà più o meno piccole, più o meno affermate. Ci penso da un pezzo all'idea che tutti i piccoli-grandi brand realmente made in Italy, dovrebbero esigere un trattamento di rispetto, un riconoscimento, delel agevolazioni, un ambrogino, oppure creare un bollino di garanzia come il bollino blu delle banane o la Denominazione di origine controllata dei vini, non so, qualcosa che premi la scelta difficile, in un momento difficile (che dura da qualche annetto) di investire, lavorare, costruire, cercare collaboratori, e fare rete in Italia. Facendo piccoli numeri e grandi sforzi, pagando prezzi altissimi e ragionando in termini di qualità oltre che di profitto. Non so, già che è iniziato l'outing delle sardine, si potrebbe fare un pensiero anche su questo. Buon inizio settimana!

  8. è diventato un dibattito politico, perchè di politica si tratta.
    scardinare un sistema….ci sarà sempre chi te lo impedisce! mi dispiace ma io sono molto realista. fanno fatica ad andare avanti marchi già affermati!
    Mi piace molto l'idea del bollino di qualità inerente il Made in Italy, ma abbiamo idea di con chi abbiamo a che fare? Tutti quelli che lavorano nell'alta moda salvo eccezioni si ribellerebbero proprio come sardine…
    Credo si stia parlando di leggi, di grandi sistemi, è un business questo lavoro, che muove montagne.
    e cmq ci vuole qualcuno del sistema già esistente che accolga tutte queste proposte e che vada un pò contro-corrente…

  9. vi continuo a leggere.. replicare ancora porterebbe a sicura polemica…scrivo solo una cosa… il fashion bussiness mondiale…è fatto di tante persone… tanti profili… mooolto cambiati dal 1986..od oggi (anno in cui entrai in accademia…quella di costume e moda di roma… famosa per frida giannini..sicuramente ma per me + famosa per i professori che ebbi e per la spinta a lavorare e studiare… applicandosi…imparando/rubando con gli occhi come si faceva nei vecchi atelier e come imparai da mia nonna…)
    il mondo è cambiato i ritmi anche i target e la maniera di fare pensare realizzare…una nicchia è rimasta quella di sempre.. oppure quella che si è creata con gli anni e l'esperienza.. in italia europa ED ESTERO NEL MIO CASO.. FRA US MRESSICO BRASILE TURCHIA EGITTO E TUNISIA… e non solo…
    ma la moda non è sinonimo di designer emergente nuovi talenti etc etc… è un insieme di persone di molte età che vanno avanti…se non ci fosse l'esperienza/professionalità non si andrebbe da nessuna parte…ed i problemi che si hanno oggi erano gli stessi che si avevano ieri, cambia solo il pubblico.. ma al contrario dei tempi che furono…oggi c'è sovrabbondanza di tutto e tutti…per cui diventa sempre + difficile lavorare..e badate bene dico lavorare e non emergere.. dopotutto questo è un lavoro come tanti… ma in un mondo di immagine soldi potere… e come tanti diventa tutto molto troppo…pieno di luccichini e "zero serio"…scusate le parole scritte in ovvietà e poco ridondanti. Nulla è gratis… sopratutto qui. tutti vivono del proprio lavoro…ed in questo ambito.. c'è tanta confusione orami e poca praticità

    1. … è un insieme di persone di molte età che vanno avanti…se non ci fosse l'esperienza/professionalità non si andrebbe da nessuna parte…CONCORDO…..
      …….ed i problemi che si hanno oggi erano gli stessi che si avevano ieri….NON concordo per fortuna oggi a differenza di vent'anni fà esistono strumenti come internet che ti permettono di rimanere in contatto con il mondo e di gestire clienti/fornitori in modo totalmente nuovo.
      per il resto…… dopotutto questo è un lavoro come tanti..CONCORDO.

      1. problemi di logistica pagamenti e fiducia.. anzi potrei dire che.. ieri era meglio… assicuro….internet è un mezzo potentissimo… ma dipende sempre da come viene usato…e ricordiamo qui si parla di grande massa..e nn di nicchie.. perchè la moda è un bussiness lavoro… mentre molte persone scambiano questa cosa…come un hobby ne passione qui sta la differenza… nessuno guarda in faccia a nessuno…alla fine…

  10. Buonasera a tutti. Riesco solo ora a leggere come si deve questo post/contributo. Credo che ci siano molti spunti interessanti anche tra i commenti e devo ammettere che il mio parare è un mix di accordi e disaccordi.
    Condivido in toto l'atteggiamento ottimista e positivo di Chiara: forse in modo un po' romantico tendo a pensare che la positività ne porti con sè altra, anche se mi rendo conto che a volte diventa complesso poter rimanere concretamente su questa scia.
    La razionalità mi spinge anche a concordare con quanto detto da Khaa: fare gruppo, consorzio, chiamatelo come volete è basilare, aiuta tantissimo, ma non basta. Cio' non toglie che sia davvero importante.
    Sono per altro convinta che debba esistere per forza una sorta di selezione naturale, perchè ho come l'impressione che questo mondo sia davvero pienissimo di proposte e a quanto pare, scarso di domande. Ma credo che cio' che semplicemente molti vorrebbero raggiungere è il poter vivere della loro passione, del loro lavoro. Poterlo fare non significa necessariamente fare grandi numeri o arrivare ad emergere o esportare il proprio lavoro in lungo e in largo. L'idea di poter aprire una piccola bottega e di poter vivere di quella o di un mono marca appunto, e poterci vivere, credo sia un sogno di molti…il problema è riuscire ad arrivare anche a quello. Faccio un esempio pratico: nella mia città, Bologna, gli affitti dei locali sono altissimi e anche ora, di fronte al vuoto desolante lasciato da negozi e botteghe chiuse, i proprietari continuano a voler tenere i locali vuoti piuttosto che abbassare gli affitti. Molto spesso l'affitto di un locale a prezzi umani è raggiungibile solo in zone secondarie, seppur in centro, di scarso passaggio insomma. Il risultato? Con gli affitti alle stelle, le utenze oltre la via lattea, le tasse da pagare e i contributi minimi/massimi da cui non si puo' scappare…come si fa a vivere di vendita diretta se la gente non passa e quelli che passano non han soldi per acquistare futili accessori moda o abiti (seppur made in italy, seppur fatti a mano, seppur pezzi unici?). E' proprio una questione di logica. Io credo che il problema sia quindi ben piu' profondo e difficile da districare. Anche se in gruppo, anche se sono una sardina provetta. Io mi reputo fortunata perchè lavoro tanto e lavoro bene, anche se su piccoli numeri…ma riesco a vivere del mio lavoro, senza far stravizi ovviamente e questo mi è possibile perchè fin da subito son partita a piccoli passi, senza investire soldi che non avevo e che, oltre tutto, non avrei saputo come investire. Solo quest'anno ho iniziato a sentire la grande necessità di un mio spazio aperto al pubblico e ho potuto farlo perchè sono riuscita a condividerlo, a far gruppo appunto (coppia nel mio caso specifico visto che condivido il mio studio con un'amica). Io credo che si debba avere una pazienza immensa, molto piu' grande e contro tendenza rispetto a quanto il web ci ha abituati a credere. Il web gira veloce, le stagioni canoniche a cui il sistema moda ci ha inchiodato pure…e invece ora bisogna rallentare. Un po' sardine, un po' bradipi, un po' gamberi direi… .
    Ora bisogna ridimensionare l'attività, investire con oculatezza, scegliere cio' che è alla nostra portata e non cio' che puo' darci prestigio perchè al top, fare gruppo, lavorare anche quando la tradizione dice di non lavorare, aver pazienza, stringere i denti, resistere, avere tantissima auto critica…e spero di cuore che finito questo periodo difficile, chi abbia avuto la capacità di fare tutto cio' sia ancora qui, piu' grande e piu' contento. Questo certo è solo il mio parere, ma visto che di confronto si parla, magari una voce in piu' puo' far comodo. Giulia

  11. Io condivido in parte il commento di Khaa, le sardine non si salvano in questo modo e in natura infatti è proprio questo unirsi in branco che permette ai grandi predatori di fare grosse scorpacciate! La risoluzione e la salvezza del made in italy a mio avviso non sta solo nel networking … si la coalizzazione va ricercata verticalmente!

  12. Ringrazio davvero tutti per i contributi ed i commenti.
    Grazie davvero. Ovviamente la mia teoria è una provocazione, un imput e di certo non la soluzione.
    Voglio però pensare in positivo, in modo fattivo e reale alcuni di voi hanno scritto che unendosi sono stati in grado di costruire qualche cosa e far fronte comune alle problematiche è oggettivamente un primo passo per sovralicarle.
    Che questo network, consorzio, associazione, gruppo, branco o come vogliate definirlo sia orizzontale o trasversale o diagonale non importa, basta che esista e lavori per obiettivi comuni.
    Io qui rilancio la mia provocazione e ribadisco il concetto: Quando cominciamo? Perchè non cominciare ad analizzare le problematiche comuni, nonchè (e soprattutto) le opportunità sfruttabili? Istituiamo una lista di marchi, professionisti, consulenti, negozi, fornitori, editori, giornalisti, artigiani, buyer, distributori, finanziatori etc… interessati al tema.

    Mettiamoci la faccia e vediamo cosa accade.

    C

  13. Propongo di iniziare davvero a contarci. Così da iniziare almeno a discutere – magari faccia a faccia – non per TROVARE una soluzione ma per CERCARLA insieme, non per essere tutti d'accordo ma per fare uscire qualcosa di buono da critiche e proposte, con lo scopo di ritrovarci qui tra uno, due, tre anni e non lamentarci degli stessi problemi ma di altri! Se saranno altri, i problemi, significherà che qualcuno saremo riusciti a risolverlo.
    Noi ci siamo e crediamo che prima si comincia e meglio è.

  14. non ho capito se ono la 2 oppure la 3…. se posso scegliere preferisco il n°3. comunque ci sono anch'io!
    sono elisa, mi occupo di riscaldare la gente con nuvole di cashmere…

  15. Ciao, ho partecipato attivamente al dibattito nato grazie all'intervento di FD e condivido le idee di Chiara.
    Come avevo già detto di là, non sono una creativa, ma metto a disposizione le mie competenze organizzative, nel caso abbiate bisogno di una mano.

  16. Carissima Chiara,
    bellissimo il tuo concetto, adoro il gruppo, lo scambio di idee e l'interlocuzione….ma la tua idea è semplicemente U T O P I A. Le sardine sono tutte uguali, seguono tutte un medesimo istinto…in Italia siamo troppo individualisti, troppo tronisti e poco, pochissimo altruisti.
    Siamo stati educati al singolo, al primeggiare ad essere sopra gli altri e nell'intento di creare un ordine troverai solo caos, persone che millanteranno la chissà cosa, ciarlatani dalla parlantina facile e dalle poche capacità che si arricchiranno alle spalle di quelle bravissime donne artigiane che a loro volta saranno schiacciate da un sistema fiscale pressante ed opressivo, che le obbligheranno ad avere un bancomat per 50€ di spesa…
    Lo so che sono cinica e pessimista, ma sono sedici anni che lavoro nell'abbigliamento e sai quanti ragazzini ex commessi che solo perchè un giorno hanno dato un consiglio un pò particolare alla persona giusta sono diventati designer, ma siccome loro volevano fare i commessi, non gli interessa fare del proprio meglio per diventare un buon designer. Così per qualche anno danno delle buone idee, vengono pagati pochino, ma più di un commesso, poi quando sono stati prosciugati vengono lasciati a casa o nel negozio da cui erano partiti…Ma poi altre situazioni di figli di papà che pensano che fare il fashion designer sia essere alternativo e frequentare locali cool…insomma…le sardine non hanno tutte queste complessità…non girano con le scarpe di ultimo grido, non sono pettinati e truccati secondo l'ultima tendenza…per essere sardine dovremo togliere tutto quello che abbiamo, ma tutto…e condividere tutto quello che resta…
    Sarebbe bellissimo, ma non lo credo possibile, non qui, non adesso.
    Pochi giorni fa parlavo con un'imprenditrice mia amica e quasi tra le lacrime la sola constatazione a cui siamo giunte è che l'Italia è dei furbi non degli onesti…ricorda…c'è sempre un pesce più grande…il predatore più pericoloso? L'uomo.

    Spero di avere delle belle novità da parte tua, lo spero con il cuore…

  17. Bella discussione, magari un tantino pessimista nella sua coda, ma è davvero interessante. Mi ricorda in qualche maniera le discussioni che si sviluppano attorno al tema della pubblicazione del libro di un esordiente (dico questo perché ho avuto la fortuna di pubblicare un libro, anche se resto tutt'ora un esordiente). E' vero, il sistema è saturo di squali che pensano solo a guadagno e se ne fregano del lavoro che c'è dietro, è vero il commerciante si erge a giudice di un qualche cosa che non sarebbe in grado di produrre, è tutto vero e in effetti sarebbe anche assurdo fare finta di niente.
    Però penso che le sardine possano ugualmente dire la loro, possono scambiarsi informazioni, possono creare una piccola fiera, possono creare un marchio, possono creare un negozio online, possono fare un rivista online gratuita, possono fare qualunque cosa, spendendo il meno possibile e utilizzando i media che internet sta offrendo quasi gratuitamente, poi possono fare cultura, possono spiegare alla gente che in un prodotto c'è anche il cuore di chi lo ha creato, e poi possono far crescere la qualità di quello che fanno con sapienza, pazienza e speranza. Forse rimarranno sardine, e magari qualcuna rimarrà impigliata nella rete, ma se devo essere sincero, non ho mai invidiato gli squali. Se solo penso che per non morire soffocati devono nuotare anche quando dormono, mi vengono i brividi.

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