C&B Homeworks | Diaz + Black Block

Diaz
di Daniele Vicari
Italia 2012

Molti – tutti – i cineblogger o i blogger o i critici in generale, ma anche gli amici che sono già andati a vederlo, vi diranno che Diaz è un film oscuro, un film necessario, un film crudo, un viaggio infernale (e reale) nella violenza di quel 2001 genovese.
In definitiva ripeteranno quello che le tre righe che campeggiano sopra il titolo in locandina già dicono con concisa chiarezza: “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”.
Tutti loro (Amnesty International, Vicari, i critici, i cineblogger, i blogger, gli amici che l’hanno già visto) dicono il vero.

Diaz è un film incredibilmente bello, incredibilmente pesante, scarno di tutte quelle fastidiose sicurezze a cui ci ha abituato il cinema italiano (anche quello di denuncia): l’attore famoso in quanto attore famoso che interpreta più o meno bene “qualcuno” (l’ultimo esempio in ordine di tempo è Romanzo di una strage) e una rappresentazione quanto più di parte si possa scrivere (ma senza dimenticare di regalare anche un po’ di “umanità” alla controparte (controparte politica, controparte umana, controparte sentimentale) ed ecco pronto il film degno di essere chiamato “film serio”; per intenderci, di questi “film seri” ne escono una decina l’anno, che fanno da contraltare alle circa 150 film commedie all’itagliana che riempiono le sale ogni settimana.

Diaz, invece, driblla – attenzione, non con furbizia, ma proprio con lucida volontà – i facili stilemi del cinema italiano d’impegno sociale.
Sì, gli attori del “nuovo cinema italiano” ci sono, Germano e Santamaria, ma non sono “Germano” e “Santamaria”. Aiutati anche da un cast internazionale sconosciuto e perfetto, fanno quello che ogni attore dovrebbe fare, essere qualcun’altro, non il proprio cognome.

Non mi va di parlare del perché io sia arrivato alla fine del film con la nausea e le lacrime – non è una cosa incredibile, anzi, preparatevi perché succederà anche a voi (o vi è già successo). Non mi va di parlare del fatto che Diaz mi abbia fatto vergognare del mio essere così svogliato riguardo alla politica, alla socialità, al mio rapporto con l'”altro”. Non mi va di fare una disanima sanguigna e riot della figura del poliziotto o più in generale dello Stato (e dei suoi tanti Crimini impuniti) perché, come appena detto, sono così maleducato nella mia Educazione Civica, che mi vergognerei, direi frasi fatte, sentite da chi a Genova ci è stato davvero.
Io non c’ero a Genova, ma ricordo che spedii una mail ad una ex-ragazza che non mi parlava più (a ragione) solo perché sapevo che sarebbe partita per Genova il giorno dopo (questo mi ha fatto pensare che era una cronaca di una morte e di un massacro e di una follia annuciati, visto che aveva colpito così tanto anche me, così distratto, la pantomima mediatica che era stata montata nei giorni precedenti al G8. Non sono io quello che può parlare di ciò che racconta Diaz, ma forse posso parlare di come lo racconta.

Diaz è uno schiaffo in faccia, violento e impudico, coraggioso e necessario, a chi crede che in Italia non si possa fare Cinema. Il Cinema in Italia si può fare. Non è vero che solo perché le commedie con i grossi titoli in rosso le vanno a vedere tutti allora i film fatti bene non se li incula nessuno e quindi che li facciamo a fare che saranno un bagno di sangue – e Diaz va oltre il “fatto bene”, Diaz è uno dei migliori film italiani degli ultimi dieci anni, e non solo perché racconta una pagina di storia recente scritta col sangue e firmata in calce con il timbro della Polizia, il corpo statale preposto per proteggerci, che invece nel film assume una dimensione quasi fantascientifica, milizie armate e senza volto, come se i caschi fossero elmetti spaziali che celano il viso sconvolto dalla violenza, senza volto pure quella.
Ci sono scene in Diaz che pareggiano i conti con tutto il Cinema di Genere (horror, fantascientifico) che non è stato più fatto in Italia dagli anni Settanta ad oggi. Sono scene horror. Sono scene fantascientifiche. Il fatto che siano praticamente documentaristiche è ancora più atroce.

Diaz dimostra che un Film è un Film; Italiano, Francese, Americano, Bulgaro, non conta.
Andate a vedere Diaz perché oltre a quanto vi hanno già detto tutti i critici, i cineblogger, i blogger o gli amici che l’hanno già visto, e io, e cioè che racconta in maniera oscura e orrorifica una notte in cui vennero meno i concetti fondamentali di Giustizia, no, è più esatto dire il concetto di Umanità, è anche un Film imperdibile per quello che può (o potrebbe… e purtroppo non sarà) rappresentare per il Cinema Italiano: la dimostrazione che anche qui possiamo fare Cinema.

Di seguito, lo special che fece Lucarelli su Blu Notte.

* * *

Black Block
di Carlo A. Bachschmidt
Italia 2011

Il documentario Black Block, prodotto dalla Fandango di Procacci, non è un vero e proprio documentario, ma più una raccolta di testimonianze dei veri protagonisti dei fatti della Diaz. A tutti gli effetti uno “studio preparatorio” per il film. E diventa automaticamente una visione indispensabile per chi – come me – ha sentito il film nel profondo, pur magari non avendo partecipato attivamente alle proteste (né quelle di Genova né altre… serve anche a questo il Cinema no? A farti sentire discretamente una merda…)
Di nuovo quel senso di inadeguatezza di fronte a questi “black block” (il titolo si rivela più che azzeccato: ci si aspetta un doc sui “black block”, e a fine film ci si ritrova a rileggere nel titolo anche la sua parte mancante che è: “e questi sarebbero i terribili, violenti, disumani” BLACK BLOCK “?”). E questa volta la nausea e la tragica empatia sono se possibile ancora più forti visto che sono loro, sono veri, sono proprio gli stessi che abbiamo visto nella finzione cinematografica del film (per quanto cruda e realistica fosse).
Ci sono la ragazza coi dreadlocks e il ragazzo dell’estintore, il tipo che riesce ad evitare Bolzaneto per pura fortuna e la ragazza che invece ha vissuto davvero quell’inferno.

E la domanda che di nuovo riempie ogni singolo pensiero è “come è possibile che sia successo?”. Davvero, per tutto il tempo vengono in mento solo e soltanto i Nazisti. A memoria d’uomo, dal Dopoguerra a oggi, solo Pinochet così, solo i Generali in Argentina, uno Stato che manda i proprio poliziotti a pestare, praticamente a morte (e davvero è un miracolo che non ci sia scappato il secondo, terzo, dicianovvesimo, morto di quei giorni), e poi insabbia tutto.
Ci si è lamentati sul fatto che Diaz non faccia i nomi dei diretti interessati. In Black Block ci sono i nomi. Prima di tutto i più importanti, quelli delle vittime, ragazzi che, tragicamente e con una facilità dolorosa a dirsi, hanno visto la loro psiche distrutta nel giro di una notte: da allora incubi, sfiducia nell’istituzione, attacchi di panico, psicoterapie a vita.

Lo so che può sembrare una domanda scema, ma io mi sono chiesto anche: ma i poliziotti, quelli che in cuor loro sanno di essere stati quella notte alla Diaz a massacrare di botte gente che “stava lì”, come si sentono oggi? Voi direte “Eh come vuoi che si sentono, bene si sentono, pensano di aver fatto il loro dovere e magari pure poco”. Ma un briciolo di umanità, uno, ci sarà anche in un poliziotto che smessa la divisa legge con occhi meno “strafatti” di potere il “fattaccio”… dite di no eh? Di nuovo mi “defilo” con lo sguardo un po’ basso e non sollevo questioni puramente politiche, ma davvero, umanamente, i poliziotti, come si sentono oggi? Voi mi direte “ma che cazzo gliene frega ai poliziotti sottoacculturati che magari è gente che un giorno era criminale il giorno dopo stava in polizia per poter menare le mani con il placido accordo della Legge, quelli lo rifarebbero domani”.
Vero, l’avevo detto che era una domanda scema. Ecco, il punto è proprio questo, lo rifarebbero domani. Perché non c’è giustizia nell’animo umano, non esiste un “corpo di polizia” se poi quel corpo è umano. Tempo due righe già mi avvito su concetti difficili da esprimere, ma a volte credo che la mia colpevole pigrizia di fronte alle ingiustizie sociali e umane (cioè il fatto che sostanzialmente non faccio nulla per combatterle e me ne sto nel mio eremo protetto da una supponenza isolazionista) derivi da una sorta di lucida (auto-indotta, presuppongo) consapevolezza che nessuno può cambiare nessuno, perché è nella natura umana quella di prevalere, di violentare, di uccidere, di cercare il privilegio, di affondare il debole.
Le piramidi non le hanno costruite con la giustizia sociale. E ora tutti turisti a dire “che belle le piramidi”.
Lo so, il qualunquismo arranca anche in queste parole. Meglio stare zitti. Anzi no, meglio ammirare chi ha il coraggio vero – come ce l’hanno i ragazzi intervistati in Black Block – di far valere i loro diritti di singoli, sapendo che singolo+singolo+singolo+singolo…
Mi fermo.
Guardatevi pure questo.

http://www.youtube.com/watch?v=0qzQAEXUXKc

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