Sparare sulla croce rossa: fashion bloggers, giornalisti e strategie di guerra

 

Ieri un articolo uscito su Affari & Finanza di Repubblica ha scatenato il putiferio tra bloggers, giornalisti e addetti ai lavori, tirando in questione – seppur senza citarne nome, pseudonimo o link, ma inequivocabilmente riferendosi a lei – La Bionda Regina della blogosfera (per acclamazione di stampa, questo appuntatelo da qualche parte e non dimenticarlo) e andando a scagliare l’ennesima, velenosa freccia contro il già pluribersagliato e sgangherato esercito delle fashion bloggers, categoria la cui definizione si è de-evoluta nel tempo passando dal racchiudere coloro che, spesso senza avere in tasca un tesserino da giornalista, parlavano di moda sul web utilizzando piattaforme pensate per il blogging (noterai che pure Frizzifrizzi…), per trasformarsi, negli ultimi due anni o giù di lì, in un’etichetta spesso infamante per identificare ragazzine che si fotografano in più o meno improbabili outfit da mostrare al mondo (ma più spesso alle sole amiche oppure, quando va grassa, ad uno stuolo di imitatrici che non vedono l’ora di scalzarle dal loro fragile trono) preferibilmente durante eventi esclusivi organizzati dalle aziende, direttamente o tramite uffici stampa o di comunicazione, per ingraziarsi i favori di sgallettate, a volte pure attempate – senza dunque l’attenuante della giovane età e dell’inesperienza – elette ad arbitri di stile dal voto popolare, nella forma di fan dispensatori di “mi piace” su facebook e commentatori (quasi sempre imitatrici ed imitatori che non vedono l’ora di riempire ogni post con uno strascico di commenti inutili seguiti da onnipresente e strategico link al proprio blog fotocopia, ché l’occasione, anzi la vetrina fa l’uomo spammer…).

 

Ed ecco allora la serata firmata [riempi con un marchio a caso] immortalata da 5 – 10 – 15 fashion bloggers, reflex in mano, intente a certificare la reciproca esistenza (secondo il noema della fotografia del buon vecchio Barthes) nonché informare i propri lettori dell’evento, solitamente riassunto in poche battute infarcite di aggettivi banali  – per le più colte pure qualche avverbio – passando poi alla minuziosa descrizione dell’outfit, inserendo così in un post fondamentalmente promozionale pure pubblicità ad altre aziende (optional, però, riservato solo alle fashion bloggers di successo, vestite di abiti ed accessori gentilmente offerti da). Come siano poi le collezioni presentate durante tali eventi, o i cibi assaggiati, o le camere dell’ipotetico nuovo hotel da reclamizzare a parte belle, buone, comode – in pratica tutto fantastico, grazie, ora dammi l’omaggio e arrivederci alla prossima – non è dato sapere.

Da qui l’orrore, l’orrore, l’orrore, il kurtziano orrore nel sentirsi definire fashion bloggers, in quell’epoca di passaggio nella quale definizione iniziale e finale andavano ad intersecarsi in un limbo senza confini definiti: il momento giusto per rinnegare le proprie origini e traslocare, valigia virtuale in mano, sotto l’etichetta di magazine online, webzine, new media e rifarsi una vita lontano dalla fanghiglia fashion bloggers, nel frattempo diventate bersaglio di un fuoco incrociato di commenti al vetriolo da esprimere pubblicamente, perlopiù sotto falso nome, su crudeli quanto divertenti (ma spesso pure banali, a volte patetici) gruppi facebook o privatamente nelle redazioni dei giornali, nelle mail tra colleghi, negli angoli bui dei press day e delle presentazioni.

Così abbiamo fatto noi, rifugiandoci (complice pure un nuovo layout “meno da blog”) dietro alla definizione magazine online per tornare poi, in un momento di nostalgia, a parlare di fashion blogging quando insieme ai nostri amici/colleghi di Bobos.it abbiamo avuto l’occasione di inventarci un corso di formazione che, nella nostra idea, avrebbe dovuto riportare il fashion blogging sui binari iniziali, plasmando la prossima generazione (e per “generazione” intendo con prospettive di riuscire a farlo diventare se non un lavoro, almeno un secondo lavoro nel giro di uno/due anni) di fashion bloggers a nostra immagine e somiglianza o comunque quanto di più lontano possibile dalle egocentriche presenziaste.

 

Al corso – a cui purtroppo ci toccherà cambiare nome visto che l’infamante etichetta finisce per oscurarne gli intenti ed i contenuti reali, attirandosi pure l’ironia di qualche guru troppo impegnato per approfondire la questione – si sono presentate quasi esclusivamente figure professionali che già operano nella moda – piccoli e grandi marchi, uffici stampa – più che altro per capire come comunicare con i blogs, ed ottenendo, in realtà, solo la chiave per interfacciarsi con quelli come noi, quelli che non ne possono più o non hanno mai sopportato aperitivi “esclusivi”, celebrities-trofeo, comunicati stampa pieni di cool, trend, new, veryqualcosa ma poverissimi di sostanza.

E visto che siamo in argomento non posso non citare un aneddoto che uso sempre come esempio (negativo), ovvero il giorno in cui io e la mia socia Francesca fummo invitati nella sede di una delle più celebri aziende mondiali nel campo della moda e del lusso per “raccontare” a tre addette stampa abituate a dialogare con le redazioni dei magazines tradizionali in che cosa consisteva il nascente fenomeno blog, chi eravamo noi, cosa facevamo e come potevamo intraprendere con loro una fruttuosa collaborazione; nel momento in cui le abbiamo invitate a non puntare, con noi, sui comunicati stampa, ché tanto di parlare dell’ultima collezione della celebre maison non avevamo la minima intenzione visto che la stessa avrebbe riempito le pagine di riviste on- e offline ma che saremmo stati felicissimi, saremmo davvero andati matti per dei contenuti speciali, come la storia, arricchita di materiali fotografici e video, interviste e aneddoti, dei loro pezzi icona, o esperienze sul campo, letteralmente, magari a raccogliere i fiori per l’essenza del loro profumo più famoso; nel momento in cui abbiamo spiegato tutto questo gli sguardi navigati delle tre si sono illuminati, riempiendo per un istante i nostri cuori – che all’epoca già si stavano annerendo di cinismo – di speranza; tornati a casa, l’indomani aprimmo la casella di posta e trovammo… il comunicato stampa, e dopo quello ne arrivarono altri e, come avessimo parlato al muro, di raccolte di fiori col cestino in mano, della possibilità di intervistare designers, fare ricerca negli archivi, neanche l’ombra; inutile dire che da quel giorno in poi le loro mail entrarono direttamente nella cartella spam, e con le loro quelle di molti altri, soprattutto giganti del settore, che poi ritrovavi a correr dietro alle galline posta-outfit, arrivando presto a renderti conto che le galline fanno quel che sanno fare, razzolare, e che la colpa dopotutto è di chi  le fa sentire uniche e importanti perché qualche stramba società di consulenza ha dispensato l’insano consiglio di accalappiare futuri consumatori, in rete, con poca fatica e grosso risultato, senza però rendersi conto – toc, toc, c’è nessuno? – che secondo la legge del contesto, promuovere un prodotto che cerchi di vendere come “di qualità” attraverso canali che come di qualità hanno ben poco, può produrre risultati a breve termine ma a lungo termine diventa poco saggio e sebbene viviamo in un paese che dimentica presto e volentieri la rete non si scorda niente: tiene traccia ed è lì per ricordartelo quando se ne presenta l’occasione.

 

Il vero problema, dunque, non sono poi tanto le fashion bloggers – specchio dei tempi, incarnazione del sogno (e in questo equivalenti digitali dei tronisti) di diventar famosi senza saper fare poco o niente – ma il fatto che i marchi e gli uffici stampa si accontentino del pressappochismo, della mancanza d’originalità, dei siti-fotocopia, dei copia/incolla (li vedo, io, i comunicati che arrivano e li ritrovo pari pari o giù di lì sui siti dei colleghi e sulle rubriche dei giornali) e che continuino a rincorrere – spesso, tra le quattro mura dei loro impeccabili uffici, prendendosene gioco – e mettendole di fatto in concorrenza con i giornalisti veri, quelli che prima si “sudano” il salario gridando al miracolo fashion-blogging, il nuovo, il meglio che ci sia, e con domande degne di un ragazzino delle medie cerca di rubare un po’ dell’entusiasmo naïf del blogger sprovveduto da sbattere su pagina (giusto qualche giorno fa, intervista telegrafica al sottoscritto, via telefono, con una giornalista dell’edizione locale de La Repubblica, intervista che a questo punto forse non uscirà mai: su richiesta di una foto della redazione gliene avevo mandata una che immortalava dei pupazzi di mia figlia, nella speranza che cogliesse l’ironia), quando non arrivano (storia vera) a chiederti via mail “i link a tutti i siti dove prendi le notizie, che a me per lavoro servirebbero”, o che su Facebook  si lanciano in richieste dell’ultimo minuto, tipo (altra storia vera) un’idea per un pezzo “fresco” che sì, sarebbe il loro mestiere, ma tu sei così “nuovo” e poi, quando il fenomeno dilaga, anche grazie all’estrema superficialità di tali professionisti, messi in concorrenza diretta con uno stuolo di nulla rivestito di abiti improbabili, s’accaniscono sulla preda col piglio di chi trova comunque un certo gusto a sparare sulla croce rossa.

 

Come vedi, caro lettore, puoi tranquillamente colpire nel mucchio, in questo mondo, con la relativa certezza di beccare qualcuno che se lo merita.
Quel che posso dire di Frizzifrizzi è che eravamo un fashion blog, forse non lo siamo più ma dentro, un po’, ci sentiamo fashion bloggers pure adesso e senza farci troppi problemi portiamo avanti una scommessa che abbiamo fatto con noi stessi da un paio d’anni o giù di lì: alzare la qualità, scrivere senza badare troppo al “capiranno o no” ma scrivere sempre al meglio, per quanto ci è possibile ovviamente, cercando di non offrire pappe pronte e facili da masticare, dando per scontato che dall’altra parte, se non tutti, qualcuno apprezzerà e per uno che se ne va verso lidi più rassicuranti ne arriverà, per passaparola, qualcun altro più interessante.
Senza grosse strategie di marketing (leggi: nessuna), pur se in mezzo a una spietata concorrenza, la scommessa la stiamo vincendo mese dopo mese e a dirla tutta non siamo mai andati così bene come nell’ultimo anno.
Senza sparare sulla Croce Rossa, senza esser dappertutto e, anzi, prendendoci pure il lusso di fare gli orsi e di rispondere con un bel “no” quando qualcosa non ci convince.
Non sarà quel briciolo di sincerità – che ci mettiamo noi e ci mettono tanti validi colleghi (vai alla sezione links e guarda sotto a friends) – la chiave di tutto?

co-fondatore e direttore
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  1. Caro Simone, se mai dovessero chiedermi chi è davvero un fashion blog, senza dover entrare nella discussione che oggi sia un termine dispregiativo o almeno considerato positivo, direi proprio frizzifrizzi. Voi per me parlate di moda nel senso più genuino del termine, partendo dal basso, facendo capolino in alto ma senza mai dimenticarsi le origini di tutto. Conoscendo come è nato frizzifrizzi prima ancora che andasse on line, io posso proprio dire che il vostro sito o blog come lo vogliamo chiamare non ha nessuna paura di chiamarsi fashion blog e quindi essere un fashion bloggers: alla fine (in italia ci vuole sempre più tempo che in tutto il resto del mondo) la qualità vincerà sempre. Non denigriamo neppure però i giornalisti, come in tutti i blog e come in tutti i quotidiani ci sono quelli bravi e quelli meno portati: c'è sempre da considerare comunque che dietro a quotidiani più o meno grandi ci sono anche dinamiche di redazione che spesso sfuggono al controllo del giornalista (a partire dal titolo).
    Secondo me la fashion bloggers (sempre che la vogliamo chiamare così) incriminata rappresenta un po' la nostra società: un blog generalista che ha successo ma che quanto a contenuti avrei da ridire, come ad esempio è successo con l'avvento delle televisioni Mediaset. Non so se è un paragone azzardato, ma lei stai sicuro che da crocerossina in mezzo a via della spiga non si fara mai fotografare, quindi armiamoci di fucili (in senso metaforico) e colpiamo.

    Giacomo.

    1. Grazie Giacomo, commosso, soprattutto perché detto da uno che con noi ha condiviso un pezzetto, importante, di vita virtuale.
      Sono d'accordo sul non denigrare i giornalisti, tranne quelli che, appunto, sparano sulla croce rossa da postazioni da cecchino, dopo averne tessuto le lodi o comunque averne scritto in pezzi dove la reale competenza sull'argomento era poca o nulla, l'occhio "libero" che con fredda scaltrezza cerca un'altra preda da abbattere.

  2. Ciao Simone ottimo articolo che analizza "lo stato dell'arte". Secondo me però c'è un errore di fondo in tutta l'argomentazione. Non si possono mettere sullo stesso piano blog/magazine come Frizzifrizzi e altri che creano contenuti originali e ricercati, con quelli in cui si trovano autoscatti, outfit, e reportage dalle sfilate. Si rivolgono a target completamente diversi.

    Ho la fortuna di conoscere, per lavoro, tanti ragazzi che gestiscono blog che io chiamo di "inspiration" perchè appunto postano materiale che mi dà molti stimoli, che mi aiuta a scoprire nuove cose, che siano generi musicali o forme d'arte non importa, e la percezione che ho è quella di un'enorme lavoro redazionale, che non ha nulla di meno di quello che potrebbe essere lo sforzo profuso nella creazione di un magazine cartaceo. Posso dire lo stesso di alcuni blog che parlano di moda e tendenze.

    Tra i primi faccio rientrare anche Frizzifrizzi, perchè riesco a seguirlo senza essere un appassionato di moda, mentre non posso dire lo stesso dei fashion blog, perchè semplicemente fanno parte di un mondo che non mi appartiene. La differenza all'interno della seconda categoria è che chi si limita ad outfit, marchette e giveaway, morirà presto, mentre chi sta già impostando il proprio lavoro in chiave "magazine/webzine" di qualità avrà lunga vita.

    Nel momento in cui anche le aziende si renderanno conto di questa grande differenza, sia a livello di contenuti, che di costo/contatto, (perchè non dimentichiamoci che i fashion blogger che sopravviveranno saranno quelli che ne avranno ricavato una professione e che più si andrà avanti più inizieranno a richiedere dalle aziende, come del resto fa già qualcuno) allora stai sicuro che ci penseranno due volte prima di riempire le sfilate di fashion bloggers e accontentarsi di qualche foto e commenti sparsi qua è là.

    La qualità vince sempre, è solo questione di tempo.

    1. Grazie Marco,
      però non sono io che li metto sullo stesso piano ma agenzie, marchi, ecc. ecc. che a differenza di te non sanno fare bene il loro lavoro.
      Sulla questione qualità… purtroppo non credo vinca sempre. Altrimenti non avremmo avuto vent'anni di Berlusconi seduto in parlamento e milioni di telespettatori davanti ai programmi delle sue tv (e quelle della concorrenza, quando si ostina a saltare tra i sacchi di letame dell'audience ad ogni costo).
      Le aziende, purtroppo, raramente hanno al loro interno figure professionali adeguatamente preparate sui new media e quando si affidano a terzi, capita che si imbattano in consulenti poi non così bravi o che si trovano a dover sottostare alle richieste assurde di qualche responsabile marketing con la ricetta per il successo facile nella tasca interna della giacca e non riescano ad "educarlo" a dovere, cosa che chiunque, in ogni settore, dovrebbe invece fare: un cliente educato e preparato sarà più soddisfatto e la qualità del lavoro sarà migliore per tutti.

  3. Leggere quest'articolo mi da conferma che la severa selezione di qualche mese tra i miei abbonamenti ai più svariati blogs è stata davvero saggia…Buon lavoro a tutti voi!

  4. L’ha detto tu…è un fragile trono che quando crollerà lascerà spazio ad un altro fenomeno temporaneo. La qualità ma soprattutto la serietà premiano sempre, se smettiamo di crederlo siamo finiti.

  5. Grazie a tutti.
    E un appunto: da più parti (fb, twitter, commenti ad altri post sull'argomento) leggo che c'è chi crede che pezzi come il mio non facciano altro che portare più visibilità a Ferragni&Inferriate.
    Non sono d'accordo. Se qualcuno, passando di qua, rimane folgorato dalla bionda si merita la bionda e non mi interessa averlo come lettore.
    Impariamo a distinguere il pubblico in genere da quello di qualità.

  6. bravissimo simone! parole sante. abbasso il pressapochismo e l'egoismo di queste persone (e di queste aziende…) siamo davvero in pochi a saper apprezzare i meriti e l'intelligenza degli altri.

  7. chi di spada ferisce, di spada perisce
    ovvero, faceva comodo usare gratuitamente i blogger facili…e adesso che la creatura si ribella cosa si fa??? l'arma è spuntata perchè non si è puntatop sui cavalli di qualità…

  8. Simone io mi sono sempre esposto criticando sia le fashion blogger che non scrivevano nulla, sia gli uffici stampa che prediligevano questo modo di portare avanti le cose. Ma ho continuato lungo la mia strada ed ho continuato a scrivere. A Venezia ho conosciuto la Francesca e la prima cosa che le ho detto: "Pensavo proprio a Voi ed a quanto siete vicino al mio modo di concepire la comunicazione".
    Io ho creato anche una apposita sezione del mio blog dedicata al trash delle fashion blogger: poison.
    Ho attirato tantissime antipatie, e non sai quanti mess. privati di odio. Alcune mie amiche mi avevo detto che parlarne serviva solo a renderle più importanti. Ma io ho continuato a parlarne, le ho anche nominate le Vajasse, ed ho scritto un articolo iniziando con una frase della Fallaci, e con questa frase ti saluto:"Vi sono momenti nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre".

  9. L' articolo a cui ti riferisci si commenta da solo per come è scritto e come fulgido esempio di giornalismo sinceramente non mi sembra superare il livello delle blogger che critica. Per il resto, e qui parlo da blogger generica visto che il fashion-blogging è fenomeno che mi è tranquillamente passato accanto senza sfiorarmi, a parte il mio guru del rossetto mat Spora, si, ci eravamo accorti dell' attuale ventata da baruffa chiozzotta che certi giornalisti riservano a certi blogger. Ci siamo accorti dall' episodio della piattaforma web che orrore, pubblica notizie senza essere iscritta all' albo, ma dai, veramente, e le notizie di qualità chi le pubblica più?
    Insomma, la vedo come l' ennesima ondata della diatriba giornalismo ' serio' VS blogging a tempo perso e come tutto nella vita, la rete giudica chi ci si è costruito una certa credibilità. Io per lo meno lavoro su quella e me la tengo con gioia, come voi del resto.

  10. amen..

    anche se ti ci vedrei su di un paio di tacchi a spillo davanti alle reflex, magari a braccio teso
    con quelle gambe lunghe!
    ;)

  11. Ciao Simone,
    ho apprezzato i contenuti e le riflessioni che hai espresso. L'unico commento che però sento proprio di fare è … ti prego, impara a usare la punteggiatura e i tuoi articoli, già piacevoli così come sono, acquisteranno valore aggiunto! Senza rancore …
    Un caro saluto
    Nicole

  12. Caro Simo, Firenze si è fatta la portavoce di tale eventi rinpinzati di bloggers con outfits improbabili (capito no?)… che onore!

    1. Caro Sancho, pensa che a quegli eventi a Firenze avevano invitato anche noi, nella persona della sottoscritta e si sono anche molto meravigliati quando ho "educatamente" declinato l'invito…dopo averne capito il "tenore" ;)

  13. Molto bene, con quest'articolo mi risparmiate la fatica di aprire un blog per scagliare anatemi più che leciti.
    Non sono una fashion blogger, bensì una costumista in erba e, quando non sono (ancora) in grado di realizzare qualcosa, mi affido ad artigiani/e locali più navigati che reinterpretino i miei design o idee, giusto per far girare l'economia (e le sinapsi).
    Evito di spulciare i lookbook e fashion blog blasonati a caccia d'ispirazione che puzza di stantio… ma un articolo come questo, un passo di un libro o uno scatto di Cheney Johnston possono fare molto, fate bene a promulgare questo genere di cose.

    Vengo al punto: questa gente non sa distinguere una fattura mediocre da una cucitura ben realizzata, sconosce la storia della moda e si fa abbindolare da cartellini luminescenti e qualche bicchiere con bollicine: che pretendete? Se la moda in matematica è "il fenomeno più comune" credetemi, questo non è un fashion blog, è automaticamente scevro dalla moda (matematica) delle poverette che photoshoppano la borsa per farla sembrare griffata e via discorrendo.

    Siate i Westwood di turno, il resto verrà da sè. :)

    Con affetto, -FD-

  14. A mio avviso l'articolo tratta delle cosidette EGO-blogger, che a mio avviso, non hanno nulla a che vedere con le fashion blogger. Dovremmo tutti chiamarle con la definizione adatta e smettere di bistrattare e schifare chi il fashion blogging cerca di farlo veramente e in modo serio. Grazie

    1. Vero, ma purtroppo "fashion blogger" è ormai l'accezione comune con cui vengono definite le galline con la reflex… E credo che questo trapeli anche dall'articolo

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