Aprire un post citando a sproposito “Tutto quella notte” (film dell’87 in cui una diciassettenne sognatrice improvvisata baby sitter, un po’ avventata ma animata dalle migliori intenzioni, guida un drappello di sbarbatelli brufolosi di provincia per le vie di una Chicago notturna popolata da personaggi della mitologia metropolitana che abbaiano ma non mordono fino a prova contraria) è uno dei modi più efficaci per assicurarsi un posto d’onore nelle liste di proscrizione di C&B.
Ma forse C&B è ancora troppo stufo dei recenti accadimenti su queste pagine e stavolta mi grazia, se gli spiego che questa ouverture è la piattaforma migliore per saldarci sopra il racconto della mia VFNO milanese e lo sciame di sensazioni che ho provato… mmmmh, qualunque cosa fossero queste sensazioni non vedevo l’ora di ritirarmi nel mio lettuccio caldo, anzi fresco viste le torride temperature da notte tropicale che proprio quella notte asfissiavano il Quadrilatero come aria viziata da un asciugacapelli surriscaldato .
In una notte “afrosa” (che viene da afa + afrore) come questa, da cerone , lacca, fragranze prepotenti e polveri sottili, ma anche da lampada last minute, tacco 15, plateau soppalcato e bustier con controsoffitto e travi a vista, “camaleontizzarsi” con lo sfondo è impegnativo…
Ad ogni modo, anche se io lo so che la divisa perfetta è nient’altro che la somma algebrica di pochi elementi reperibili con poco sfarzo, pardon volevo dire sforzo (un paio di calzature correttive + una plumbea o acida maxi bag in simil simil fintaecopelle di uno sdoganato Marc Jacobs; +/- una piastrina di identificazione al collo o al polso di altrettanto sdoganato brand del lusso o presunto tale; + un taglio di capelli realizzato con l’accetta…più per più uguale più, più per meno uguale meno, comunque la reflex te la danno più o meno in omaggio col taglio), mi sono ritrovata a fare la cosa peggiore che potessi fare: indossare anch’io i tacchi alti, inadatti all’acciottolato di Via delle Spiga e ai miei piedi, presto provati dall’infinito peregrinare a ritmo di processione.
Al Diesel Planet di Piazza San Babila, traboccante effluvi, persone, (s) fashion-icon e feromoni, anche io ho assaggiato l’ultima nata Diesel fragrance nella sfaccettata ampolla color ametista, ma per le sue caratteristiche tecniche (ed emozionali) vi rimando al post della collega Francesca.
Infatti, più che concentrarmi sul profumo e la sua musa, io ho parlato col patron di Diesel Renzo Rosso (non apprezzate il mio senso del dovere e la mia dedizione a voi lettori? Ho proprio deciso di incontrare tutta la famiglia Rosso e di presentarvela!) che con molta carineria si è lasciato importunare dalle mie domande guarda caso sui suoi esordi creativi e imprenditoriali e sulle dinamiche umane che lo guidano nella scelta dei collaboratori.
Mi dispiace, è il mio punto debole, io voglio sempre sapere come si entra e come si esce dalle aziende (idealmente in maniera non traumatica)… e se non vi va, non invitatemi più ad intervistare chicchessia!
Chi aspira ad entrare in Diesel e si accinge a sostenere un colloquio di selezione proprio con Renzo, sappia che lui non è tra quelli che apprezzano le presentazioni pretenziose o accademiche, ma le idee originali, le capacità argomentative e le motivazioni coinvolgenti, ma soprattutto onestà e correttezza, perché se appena appena subodora che abbiate sposato il suo brand per un matrimonio d’interesse, o solo per vantarne il nome nel curriculum… beh allora sono guai, ed io gli credo!