Sessant’anni di Reber, dai trasferibili agli strumenti digitali

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All’inizio degli anni ’60, una piccola grande rivoluzione investì il panorama della grafica e della tipografia. Si trattò di una “rivoluzione democratica”, che permise davvero a chiunque, con pochissima spesa, di utilizzare — per lavoro, passione o divertimento — caratteri tipografici di qualità senza dover ricorrere a complessi macchinari e costose tecnologie.
Sto parlando dei trasferibili, spesso chiamati trasferelli. Grazie al cosiddetto “trasferimento a secco”, permettevano, appunto, di trasferire su carta (o altri supporti) i glifi o le immagini contenute in speciali foglietti che si potevano acquistare, per pochi spiccioli, in qualsiasi negozio di materiale grafico, non di rado anche nelle normalissime cartolerie e persino in edicola.
In breve tempo si affermarono sia a livello professionale sia in ambito dilettantesco e ludico (soprattutto quando al lettering si aggiunsero illustrazioni di oggetti, paesaggi, piante, animali e persone, tra cui personaggi dei fumetti).

Gli espositori per i trasferibili Reber R41
(immagine d’archivio | courtesy: Reber)

Tra le aziende che riuscirono a ritagliarsi un ruolo di primissimo piano all’interno di tale rivoluzione ci fu anche una realtà tutta italiana: Reber, fondata nel 1960 a Spresiano, in provincia di Treviso, dall’imprenditore di origini veronesi Renato Bernardi (la denominazione della ditta è una fusione delle prime lettere del suo nome e del suo cognome).
Uomo dotato di ingegno notevole, Bernardi riuscì a perfezionare il sistema di trasferimento a secco, rendendo in poco tempo Reber una delle principali società del settore, conosciuta in tutto il mondo, e continuando a puntare sull’innovazione, non solo per quanto riguardava il prodotto e le tecnologie di fabbrica, ma anche a livello di marketing. Tra i molti progetti che portano la firma dello stesso Bernardi figurano infatti, nei primi anni ’60, un espositore girevole, che venne anche brevettato, e poi, alla fine dello stesso decennio, un armadio espositore.

Negli anni Reber lanciò diverse linee di trasferibili, la più conosciuta delle quali fu sicuramente R41 (anche in questo caso il nome è un auto-omaggio del fondatore: R come Renato e 41 come l’età che aveva quando firmò l’atto costitutivo di Reber), che nel 1969 si arricchì dei caratteri della storica fonderia tipografica Nebiolo di Torino. Era il periodo in cui la direzione artistica della Nebiolo era affidata al grande Aldo Novarese, niente meno che uno dei più grandi type designer che la storia abbia mai conosciuto.

La classificazione di Novarese. Si tratta di suoi disegni a mano realizzato come studio per l’impaginazione di alcune “tavole da appendere al muro” pensate per aiutare grafici ed artisti nell’abbinamento dei caratteri
(immagine d’archivio | courtesy: Reber)
Tra gli anni ’60 e ’70, Novarese realizzò due libri per l’insegnamento del disegno dell’alfabeto nelle scuole di grafica: Alfa-Beta (1964) e Il Segno Alfabetico (1971).
Qui sopra una copia di quest’ultimo, con dedica di Novarese “all’amico Bernardi”
(foto d’archivio | courtesy: Reber)

Entrato a lavorare nello studio artistico della fonderia ad appena 16 anni, Novarese ne assunse la direzione nel 1952, disegnando decine di famiglie di caratteri. Alcuni di essi — a partire dal 1969, quando iniziò la collaborazione tra Nebiolo e Reber — entrarono a far parte della gamma di alfabeti disponibili in versione trasferibile: Recta, Estro, Eurostile, Bodoni, Magister, Élite, Egizio, Stop, Forma, Dattilo, Metropol, solo per citarne alcuni.
Reber, inoltre, adottò la classificazione dei caratteri introdotta proprio da Novarese (che identificò dieci tipologie per le lettere latine, in base ai loro tratti terminali — lapidari, scritti, medioevali, ornati, veneziani, egiziani, transizionali, lineari, bodoniani e fantasie), ed ebbe il merito di farla conoscere al grande pubblico attraverso i suoi prodotti.

Una pubblicità firmata da Aldo Novarese per Reber nei primi anni ’70
(immagine d’archivio | courtesy: Reber)

Anche dopo la fine del rapporto tra Nebiolo e Novarese, quest’ultimo proseguì la collaborazione con Bernardi, progettando cataloghi, marchi, pubblicità e ovviamente caratteri tipografici, come Divulga, Stadio, Center, Equator e Orbital.
Nel frattempo Reber aveva consolidato la propria presenza sul mercato, grazie alla grande qualità dei prodotti, ai suoi innovativi espositori, alle molte linee disponibili (tra cui Transit, pensata per le scuole, e Very, ideata proprio da Novarese per il mondo della pubblicità) e ad altri strumenti legati ai trasferibili, come T3, una linea di fogli acetati adesivi, le pellicole adesive colorate Coloreber, le trame autoadesive Adexplan e gli accessori.

La linea Transit, pensata per le scuole, nel 1974 inizia a proporre anche le grafiche
(foto d’archivio | courtesy: Reber)

Quando, con l’arrivo degli anni ’90 e la sempre maggiore diffusione della computer grafica, l’intero settore iniziò a scricchiolare, l’azienda di Spresiano continuò a investire su Novarese (che in quel periodo disegnò una decina di caratteri, molti dei quali ancora inediti) e su altri designer, tra cui James Clough, rilanciando anche il succitato marchio Very, ripensato per un uso nell’ambito del fai-da-te.

Oggi l’epoca dei trasferibili è definitivamente tramontata (ma c’è ancora chi li usa per piccoli, preziosi progetti, come il nostro Federico Dermatini e i suoi Bisticci): viviamo nell’era del digitale, e Reber ha avuto il merito di continuare a reinventarsi.
In questi ultimi anni l’azienda, in mano alla terza generazione della famiglia Bernardi, ha avviato, con il contributo della Regione Veneto, un piano di riconversione digitale della propria, enorme collezione di caratteri, andando a lavorare sui disegni originali (l’account Instagram è pieno di tesori d’archivio) e nel 2020 ha lanciato una linea — in continua espansione — di strumenti digitali per le piattaforme Adobe e Procreate, oltre a un piccolo negozio online con trasferibili, poster, borse e t-shirt (ecco un posto per fare acquisti che verranno sicuramente apprezzati da amiche e amici che si occupano di grafica).
«È con grande emozione ed orgoglio che, attraverso la digitalizzazione, vogliamo assicurare questo patrimonio originale italiano, giunto ad oggi, nelle mani dei creativi di domani» spiega la famiglia Bernardi: «la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio grafico è oggi tra i nostri principali obiettivi aziendali».

Uno dei magazzini della sede storica di Reber, nel 1970
(foto d’archivio | courtesy: Reber)
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