Stretch the edge: un simposio sulla riattivazione delle piccole città fortificate attraverso il design

Cinte murarie, rocche, ampi fossati, altipiani, ripide pendenze naturali, alti picchi, torrenti impetuosi: fino al secondo conflitto mondiale, coi suoi bombardamenti aerei sulle città e la guerra totale, le barriere naturali e quelle artificiali erano garanzia di sicurezza e protezione dagli attacchi esterni. Architetti e strateghi militari lavoravano fianco a fianco per rendere impenetrabili e ben difendibili le aree urbane, ma — come scrive il docente e studioso del territorio e delle identità locali Rossano Pazzagli in uno dei saggi raccolti in Contro i borghi, volume pubblicato da Donzelli, a cura di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi — «le mura e le porte che dal medioevo hanno cinto gli antichi castelli hanno certo rappresentato uno stacco, una demarcazione tra urbano e rurale, un primario segno urbanistico; ma non sono mai state confine invalicabile, né una frattura territoriale. Le mura non sono “un muro” e quelle porte hanno svolto per secoli la funzione di valvole cardiache, cuore pulsante di sistemi territoriali che riflettevano la dimensione locale del rapporto città-campagna. La cinta muraria stabiliva un dialogo, uno scambio più che una contrapposizione».

Oggi che le campagne spesso non sono più luogo di comunità, e in molti casi hanno lasciato il posto ad aree industriali, anch’esse andate in crisi e a forte rischio di abbandono, tali confini — che nelle grandi città e nei comuni costieri sono “esplosi” parallelamente all’incontrollata cementificazione del territorio — hanno di fatto contribuito a isolare le cittadine dell’interno, spopolandole, emarginandole, tagliandole fuori dal discorso pubblico (o inserendole unicamente all’interno di «una narrazione retorica e fuorviante che allude al borgo come contenitore, quasi una scatola di cartone che può essere spostata a piacere, deterritorializzata, senza più comunità» per citare nuovamente Pazzagli).

(courtesy: Università di San Marino)
(courtesy: Università di San Marino)

Negli ultimissimi decenni, tuttavia, c’è molto fermento attorno ai concetti di “riattivazione” e “rigenerazione” delle aree urbane marginali — concetti che spesso appaiono come vuote parole chiave al servizio di narrazioni che nascondono operazioni di puro e semplice sfruttamento turistico dei territori, ma che in alcuni casi sono supportati da nuovi modelli di sviluppo e da approcci multidisciplinari che si dimostrano efficaci nel ricostruire non “scatole di cartone” ma luoghi reali, vivi, dinamici.
Di questo si parlerà il 22 e 23 giugno prossimi a San Marino (che per caratteristiche fisiche, architettoniche e geopolitche è l’apoteosi della città “confinata”) nel corso del simposio internazionale simposio internazionale Stretch the Edge – Design Driven Processes for Reactivating Small Walled Towns and Inland Areas, organizzato da Università di San Marino, Università di Bologna e Beijing City University.

«L’evento» spiega il comunicato «intende indagare come la disciplina del design può essere uno strumento utile per la riattivazione di quei territori collocati in aree interne, racchiusi da barriere naturali o fortificazioni artificiali. Territori che, per dimensioni, morfologia, caratteristiche ambientali o antropiche presentano talvolta notevoli criticità, ma che, proprio per la loro caratterizzazione, a volte unica, si differenziano l’uno dall’altro grazie ad una forte identità che li rende socialmente, economicamente e ambientalmente attraenti. I valori di unicità e identità rappresentano opportunità concrete per lo sviluppo naturale, urbano e rurale e come tali devono essere migliorati, rivalutati, rielaborati e sistematizzati nei futuri processi di ripopolamento e insediamento comunitario, proprio con l’obiettivo di contribuire a rendere gli stessi territori ecosistemi multi-specie e interspecie, luoghi tangibili di vita sostenibile».
Suddiviso in tre sessioni — coordinate e moderate da Raffaella Fagnoni, professore ordinario presso l’Università Iuav di Venezia, Daniele Fanzini, professore ordinario presso il Politecnico di Milano e Claudio Gambardella, professore ordinario presso Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli — l’incontro vedrà la partecipazione di ricercatrici e ricercatori, artiste e artisti, amministratori locali, architette, manager culturali, che presenteranno 16 casi studio internazionali che vedono il design come elemento centrale nell’opera di riattivazione.

Durante il simposio, inoltre, sarà presentata una mappatura — frutto di una ricerca iniziata nel 2022 — di 150 casi studio nazionali e internazionali.
L’evento si terrà presso la sede dei Corsi di laurea in Design dell’Università della Repubblica di San Marino, nell’Antico Monastero Santa Chiara, Contrada Omerelli 20.
La partecipazione è gratuita ma occorre registrarsi qui (entro oggi, 15 giugno).
L’intero programma è online.

P.S. La grafica e l’identità del progetto sono opera dello studio Taller di Rimini.

(courtesy: Università di San Marino)
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