I borghi muoiono, i paesi vivono: l’intervento di CHEAP a Belmonte Calabro con La Rivoluzione delle Seppie

Da anni il marketing turistico ha abusato del termine “borgo”, presentando le piccole località di provincia come cartoline da visitare in 3D; come paradisi di bellezza e relax alla portata di cittadine e cittadini in cerca dell’esotico a pochi chilometri dalla metropoli; come opportunità per scappare dalla dimensione urbana e reinventarsi lavorativamente, creativamente, spiritualmente; come luminosa incarnazione di quella spinta a un ritorno alla lentezza, alle cose semplici, al “piccolo è bello” che in molte e molti sentono.
Tale narrazione — spesso cinica, interessata, stressata oltre il limite del ridicolo — convive con quella, parallela e colpevolizzante, del borgo come luogo che da una parte è abbandonato (sottintendendo, con questa parola, un torto) da giovani alla ricerca di prospettive, e dall’altra non ha saputo trattenere (altro torto) la fuga di chi ha fatto le valigie per la città.

Di questi temi si parla diffusamente in bel saggio uscito di recente, I paesi invisibili. Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia, scritto da Anna Rizzo e pubblicato da Il Saggiatore. Rizzo è un’antropologa culturale che ha alle spalle molti anni di studi e di esperienza sul campo nella rivitalizzazione dei paesi abbandonati. La sua è dunque una prospettiva assai informata e approfondita sulla situazione, e il ritratto che ne fa è impietoso e quasi senza speranza, ma si conclude con un invito: «Bisognerebbe lavorare sull’immaginario scaturito dallo studio delle aree interne e analizzare ciò che le nuove generazioni stanno mettendo in atto, ricostruendo lo spazio e il linguaggio della democrazia, dei saperi e dell’arte, perché è da quello che si può ripartire».
Nel libro, Rizzo presenta anche bei progetti, tra cui quello de La Rivoluzione delle Seppie, nato nel 2017, in Calabria, a partire da un’associazione formatasi l’anno prima da un gruppo di fuorisede che studiavano architettura alla London Metropolitan University.

(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)

Alla base dell’affascinante lavoro di quello che si autodefinisce “iper-collettivo” — essendo formato da varie realtà — c’è l’idea di operare «nei vuoti dei territori, sia fisici che virtuali, alla ricerca di gusci abbandonati, occupando lo spazio e assumendone la forma. Vogliamo creare un nuova comunità alimentandola attraverso l’interscambio di conoscenze per abitare un luogo temporaneamente ma in maniera costante. Siamo alla ricerca di un nuovo modello di vivere e lavorare collettivamente, in contrapposizione a una cultura del lavoro iperspecializzata e competitiva». Idea che trova la sua massima espressione in Crossing, un’iniziativa che da cinque anni trasforma il paesino di Belmonte Calabro, in provincia di Cosenza, in BelMondo, luogo immaginario che si sovrappone alla geografia di quello reale, coinvolgendo tre comunità: «quella di chi cerca una casa, quella di chi ne costruisce una nuova e quella di chi vuole vederla in modo diverso» spiegano le Seppie, che durante Crossing, per una settimana, mettono insieme abitanti del posto, ricercatrici e ricercatori, studentesse e studenti, professioniste e professionisti di tutto il mondo, che lavorano e partecipano a laboratori, incontri, dibattiti, e performance.

Pochi giorni fa, il 24 luglio, si è chiusa la quinta edizione del progetto, cui ha partecipato anche CHEAP, collettivo di arte pubblica bolognese che conosciamo bene, e che a Belmonte/BelMondo ha lavorato a un laboratorio partecipativo, durante il quale ha realizzato un intervento sui muri del paese — intervento che, appunto, va a trattare i temi del borgo e della comunità.

(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)

Si intitola I borghi muoiono, i paesi vivono e Rita Elvira e Francesca Bova de La Rivoluzione delle Seppie lo descrivono così: «Non crediamo che la narrativa che si è creata negli ultimi tempi sul concetto dei “borghi” sia adatta e rappresentativa a raccontare la complessità del sistema paese, l’insieme di luoghi e di relazioni connessi con questo. E pertanto andava declinata con un messaggio forte che volevamo condividere con la comunità, anche provocandola».

Le ragazze di CHEAP hanno dunque pensato di occupare quegli spazi solitamente riservati alla comunicazione politica per innescare una conversazione: «È un intervento che parla di un’idea di comunità su cui CHEAP e La Rivoluzione delle Seppie sono particolarmente allineate» spiega Sara Manfredi, co-fondatrice di CHEAP. «Ci siamo confrontate con un’idea di comunità che consente di andare e soprattutto di tornare, anche se non in maniera stanziale. Questo avviene all’interno di una visione che non contrappone il paese alla città ma che vede questi due spazi “diversamente pubblici” in connessione, è una visione di comunità che consente il ritorno, una dialettica tra lo spazio urbano e lo spazio del paese».

(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)
(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)
(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)
(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)
(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)
(foto: Giulia Rosco | courtesy: La Rivoluzione delle Seppie)


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