Betterpress: non è facile trovarle, più difficile è venir via

Sono lontani i tempi in cui varcando la soglia di un laboratorio tipografico ci attendeva l’accoglienza di uno stampatore burbero e diffidente che, sporco d’inchiostro, rispondeva di malavoglia al visitatore continuando a lavorare. Una diffidenza operosa che veniva meno a poco a poco, fino al punto in cui il piacere di svelare i segreti del mestiere si faceva largo rubando un po’ di tempo al programma di lavoro della giornata.
Ecco, entrando al Betterpress Lab, succede esattamente il contrario. Giulia Nicolai e Francesca Colonia ti accolgono nel “laboratorio ideografico” con generosità e disponibilità, dimostrando quanto la condivisione faccia parte del loro modo di vivere la tipografia.

Francesca è laureata in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, la sua formazione ha seguito le strade dell’incisione e dei processi alternativi di stampa fotografica tra Budapest, Berlino e Firenze. Giulia è laureata in Filologia Classica, la sua formazione concerne lo studio delle lingue e letterature antiche e la storia della tradizione dei testi. Creatività e cultura classica che si fondono all’energia di entrambe utilizzata per ideare, progettare e realizzare stampe di ogni tipo, ma anche per «indagare le possibilità di dialogo tra la stampa a caratteri mobili e altre arti e tecniche espressive».

(foto dell’autore)
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Betterpress nasce a Roma nel 2014 «e non è un caso, lo abbiamo scelto — mi dicono Giulia e Francesca — perché il legame col territorio è fondamentale e perché ci piace confrontarci con l’arte: dove meglio che a Roma? Qui c’è tutto ma di difficile accesso: a maggior ragione è importante esserci, come possibilità resistente». Il 15 febbraio scorso Betterpress ha soffiato sulle prime sette candeline, festeggiando il compleanno per tutto il mese con workshop for lovers, un workshop di stampa per due persone al prezzo di una. Si autodefiniscono «puntigliose senza prenderci troppo sul serio» e interpretano il loro lavoro come «la riproposizione in chiave contemporanea di un metodo di stampa tradizionale».

Bisogna risalire al 2012 per individuare la scintilla che ha dato origine al progetto. Galeotto fu l’incontro di Francesca con Amos Kennedy jr., la molla per arricchire il suo progetto artistico di una nuova tecnica: la stampa tipografica.
«Ero andata a Firenze per fare una vacanza d’arte come faccio tutte le estati, sperimentando varie tecniche. Il workshop con Amos è stato esiziale. Dopo due giorni ho detto “io voglio aprire un laboratorio di letterpress”. La stampa tipografica è una cosa molto fisica, è contro la scissione. Corpo e mente diventano una cosa sola; ho torturato questo povero uomo per una settimana,  ho sentito un’energia fortissima che mi ha spinto fino a qui. Il caso ha voluto che in quei giorni mi chiamasse Giulia dopo dieci anni che non ci sentivamo. E mi ha aiutato a preparare l’intervento che ero stata chiamata a svolgere in occasione dell’incontro La cultura crea occupazione – editoria di pregio e stampa d’innovazione organizzato da Firenze Arti Visive e dall’assessorato alle politiche giovanili. Di fatto proprio lì abbiamo presentato il Betterpress Lab. Giulia ha lasciato il lavoro che aveva e abbiamo cominciato a salvare lettere e macchinari fino a renderci conto di detenere un tesoro che non era possibile utilizzare ad uso esclusivo e lo abbiamo messo a disposizione di tutti».

(foto dell’autore)
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Dopo la prima fase di ricerca e recupero del materiale dalle tipografie che chiudevano,  Giulia e Francesca hanno costruito il laboratorio che desideravano: «oggi ci svegliamo chiedendoci cosa ci possiamo fare con le cose che abbiamo. Il nostro motore è stampare e dare la possibilità ad altri di conoscere e utilizzare. Stampare qui da noi non è una tecnica, è un pretesto. Al primo posto non c’è stampare ma proporre un’immagine, un modo di resistere. Le persone che vengono ai nostri workshop non imparano in un giorno a stampare, vivono un’esperienza che mette in connessione le mani e la testa. È una qualità umana che si sta perdendo e in questo modo la recuperiamo. Al di là del risultato c’è voglia di stare con le persone, capacità che si sta estinguendo come la tipografia. C’è voglia di toccare, di stare insieme. È un momento particolare di questa epoca, la cosa più semplice e naturale».

Giulia e Francesca non fanno service: «Noi ci mettiamo a disposizione se hai un’idea e la vuoi realizzare. Devi venire qui, raccontarcela e troviamo il modo per stamparla».

(foto dell’autore)
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Nel Betterpress-pensiero la tecnica non deve imprigionare ma deve essere studiata a fondo per avere libertà espressiva. La tipografia è fatta di regole, che vanno conosciute e padroneggiate in profondità per poterle rompere e utilizzare in commistione con altre tecniche.

«La nostra forma di arte ora è legata al linguaggio verbale non imparato: la stampa a caratteri mobili è ritrovare le parole perse, trovare un modo migliore di dare senso, di dare un significato. Nasce sempre da un disagio: la sensazione di perdere dei valori umani veramente importanti che girano intorno alla comunicazione e girano intorno non a un bisogno, perché mangiare è un bisogno fare arte no. Per noi è vitale stampare. Mettere insieme bisogni e esigenze è importante. Non viviamo solo per la soddisfazione dei bisogni, capiamo la differenza e la gente lo sente. È una sfida e una forma di protesta contro l’andazzo di quest’epoca. L’arte e la politica vanno a braccetto per noi, chi entra qui dentro lo sente. Questo è di più di un lavoro. La differenza fra campare e vivere passa da qui. Però con la nostra produzione e i workshop facciamo la spesa».

Non è facile trovare Betterpress (anche il navigatore sbaglia!) ma più difficile è venire via. Giulia e Francesca ti trascinano nel loro mondo, fra le loro parole e i caratteri in piombo che sembrano trasformarsi in calamite. Qual è il segreto? 
«Betterpress è più uno stile di vita» — mi salutano sulla porta. «Chi viene al workshop abbiamo come l’impressione che sia gente che sente l’odore di una speranza, di qualsiasi tipo. Non vengono solo a stampare». Impressione corretta.

(foto dell’autore)
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