Atlas of everyday objects: gli oggetti dell’isolamento

Con i negozi chiusi, le lunghe file ai supermercati, gli acquisti online con tempistiche bibliche, durante la quarantena abbiamo imparato a fare a meno del superfluo e — in pochi giorni — a tutti è apparso evidente quali fossero i reali “beni di prima necessità”, sui quali si è fatta anche tanta ironia, tra post e commenti online: farina, lievito, uova (mia nonna, secondo cui più uova di quante se ne riescano a mangiare prima della naturale scadenza non sono comunque abbastanza, è andata in crisi durante la quarantena), e poi saponi, surgelati, e ovviamente alcolici (col rischio, però, di diventare, acquistandoli, vittime dello stigma sociale — «ma questo occupa allunga la coda per 10 bottiglie di birra?» e degli onnipresenti, patetici delatori).

Oltre al “corredo base” per la sopravvivenza, tuttavia, ciascuno ha rimodulato i propri comportamenti di consumatore/utente anche nel non necessario. L’antropologo che si fosse messo a studiare gli usi e i costumi di casa Sbarbati, ad esempio, avrebbe appuntato sul taccuino gessetti e bolle di sapone (per le mie figlie), telecomando della Apple Tv (per videogiochi, cartoni animati, serie tv), bastone telescopico, filtro per tisane, guanti usa-e-getta, vasi e terriccio, cuffie e cuffiette, caricabatterie — tutti quanti utilizzati in maniera molto maggiore più rispetto a prima del lockdown, e tutti quanti indice dei rinnovati modi di vivere la quotidianità: più pause, più necessità di isolarsi ma anche più momenti “sociali” domestici, più apparecchi utilizzati, e più a lungo, le attività ludiche nel piccolo cortile condominiale.

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«Guardatevi attorno. Quali oggetti hanno assunto un nuovo significato dall’inizio dell’isolamento?» ha chiesto lo scorso 3 aprile Pascal Glissmann — ricercatore presso l’Observational Practices Lab, laboratorio della Parsons School of Design di New York che si occupa di osservare e ripensare oggetti, sistemi e mezzi di comunicazione —, invitando, attraverso i social media, a fotografare i più significativi e a postarli utilizzando una griglia 3×3.
Da allora sono arrivate centinaia di immagini, provenienti da tutto il mondo, che sono andate a costituire l’Atlas of Everyday Objects In the Age of Global Social Isolation.

«Speriamo che questa raccolta di oggetti di uso comune fornisca una registrazione del cambiamento percettivo nell’ambiente quotidiano nel momento in cui si sta verificando. Il nostro isolamento a casa modellerà effettivamente un nuovo tipo di memoria collettiva? In che modo le future valutazioni su questa pandemia saranno inscritte negli oggetti quotidiani che ci circondano?», ha spiegato Glissmann alla rivista online It’s Nice That.

Sbirciare tra gli oggetti altrui è piuttosto interessante, non solo per immaginare le abitudini di “altri da sé” nelle medesime condizioni, ma anche per notare meglio i cambiamenti che la pandemia ha apportato nel proprio modo di vivere.

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