Ode al bastone telescopico

Le cose migliori della vita le trovi dopo una lunga ricerca. O del tutto casualmente. Il mio bastone telescopico l’ho trovato per caso. Ricordo esattamente il giorno. Una giornata di fine primavera, in centro, a Bologna. Cercavo un semplicissimo bastone per una scopa. La spazzola, la parte con le setole che nel gergo degli scopai (scopatori, scopisti?) viene chiamata “bustino”, in casa ce l’avevamo già. Anzi ne avevamo due. E a una mancava appunto il bastone. L’avevamo già cercato nei supermercati vicino casa ma lì ce n’erano solo “di marca”, quelli con l’attacco speciale, che va bene solo col bustino abbinato. Quello che cercavo io, invece, era un bastone normale. Open source! Quindi andai in un fornitissimo negozio di casalinghi in via Marconi, vicino al vecchio appartamento. Uno di quei negozi dove trovi di tutto, dalle stampelle per i vestiti ai tappi per le bottiglie, dai taglia-uova alle brocche da osteria, quelle da «mi porti un quartino di vino della casa».

Il negozio non è niente di che. Anzi è un brutto negozio ma dentro, grazie a un accorto sistema di esposizione a labirinto, sembra starci—e in effetti ci sta—molto di più di quanto riusciresti a immaginare se potessi vedere le nude pareti. Una volta dentro sei obbligato a procedere lungo un percorso a budello che ruota attorno all’intero negozio e si avvolge su sé stesso. Difficile da spiegare a parole senza qualche nozione di quadrimensionalità.

Ad ogni modo una volta dentro sei praticamente costretto ad andare sempre avanti. A meno che tu non sia solo. Ma capita raramente. Nel suo piccolo è un negozio famoso. E i corridoi sono stretti. Quando sei nel flusso ti tocca procedere pure piuttosto speditamente e se per caso incroci qualche ribelle che ha preso il giro nel senso opposto devi pregare che non sia un ribelle sovrappeso altrimenti non c’è speranza di riuscire a strusciare l’uno sull’altro, schiena contro schiena e proseguire ciascuno per il proprio tour nel budello.

Le signore grasse sono un incubo e quello è un negozio pieno di signore grasse. Se incroci una signora grassa devi solo sperare che uno dei due sia abbastanza vicino alla stanzetta delle scale, una sorta di piazzola di smistamento traffico del budello mascherata da esposizione di scale a libretto, stendini per la biancheria e portavasi. Altrimenti è questione di sguardi e magnetismo animale. Quella comunicazione non verbale che porta entrambi a un accordo che a parole si potrebbe tradurre con: «passo io. A lei toccherà seguirmi fino in fondo, fermandosi ogni volta che mi fermo a io. E sono una/o che si ferma a leggere tutti i prezzi».

Negli anni ho capito che sbirciare tra gli scaffali per capire, prima di entrare, che tipo di traffico c’è dentro al negozio è essenziale per non finire bloccato tra due o più signore grasse che hanno troppo tempo da perdere e amano controllare i prezzi.

Il giorno del bastone della scopa feci esattamente così: sbirciai tra gli scaffali, vidi che il traffico nel budello era piuttosto scorrevole e mi ci buttai dentro. Passai davanti a mega-rotoli di tovaglie di plastica, cucce e lettiere per gatti, orci per le olive, cestini di vimini di ogni dimensione, brocche e quartini, saliere, oliere, pepiere, insalatiere, sbuccia-patate, sbuccia-cipolle, sbuccia-zucchine e schiaccia-aglio, puntando dritto e spedito verso la piazzola smistamento traffico-barra-stanzetta delle scale. Le scope erano lì.

E fu a quel punto che lo vidi. Poggiato agli scaffali, di un arancione saturo, con l’attacco open source e un adesivo appiccicato su che prometteva meraviglie. Kolor, così si chiamava. Allungabile. 3mt. 4,99€. E c’erano pure le istruzioni!

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Ethel, una volta che fossi tornato a casa, mi avrebbe sicuramente derideso per l’ennesimo acquisto impulsivo di un oggetto potenzialmente inutile, un acquisto tipicamente “da Simone” quindi. Ma il pensiero non mi sfiorò neppure. O meglio mi attraversò il cervello come un lampo per andare a scaricarsi sul parafulmine del «te l’avevo detto», uno dei miei classici «te l’avevo detto», da tirar fuori ogni qual volta l’acquisto impulsivo del momento alla fine si rivela utile (ad esempio c’è un accendino a forma di sciacquone, nel cassetto, che aspetta solo il suo momento di gloria).

Preso il bastone mi avviai verso la fine del budello, diretto alla cassa, una sorta di teatrino pieno di ammennicoli da pochi spiccioli (la trappola più pericolosa per gli impulsivi dotati di portafogli) dentro al quale vive semi-nascosto il padrone del negozio. Pagai i miei 4,99€. Non chiesi la busta. Che te ne fai di una busta quando hai un bastone telescopico? Tanto più che quello è uno dei pochi negozi dove provano proprio a non dartela la busta. Anche perché non ne hanno di personalizzate. Solo buste di plastica normalissime e anonime. Comprate, immagino, in stock da 100.000 pezzi vent’anni prima. Che se fanno delle buste sponsorizzate, loro? Non hanno certo bisogno di pubblicità. Hanno me. E le signore grasse.

Bastone in mano mi infilai sull’autobus, guardato con invidia da tutta una fauna umana, sia maschile che femminile, per motivazioni che tuttora mi sono oscure. Ethel, come previsto, mi derise. Il bastone lo attaccammo alla scopa e finì nel buco nero dietro all’armadio. Là dove vivono gli oggetti che ti dimentichi di avere e continui a comprare e ricomprare andando a popolare di bastoni di scopa, carta da pacchi e barattoli di colla vinilica chissà quale altro universo parallelo.

Fu solo qualche tempo dopo che scoprii il vero potete del bastone telescopico.

Chi l’ha inventato il bastone telescopico? Come tutti gli oggetti davvero utili le informazioni si perdono indietro nel tempo. Progettista anonimo. Idea semplice: unire il sistema telescopico al bastone per scopa. Design perfetto: la forma corrisponde esattamente alla funzione.

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All’epoca del bastone abitavamo da poco nella nuova casa. Agli angoli del soffitto del salotto, a 4,50m da terra, non c’erano ancora ragnatele. E né io né Ethel avevamo minimamente pensato al fatto che prima o poi le ragnatele sarebbero arrivate. Né al da farsi nel caso in cui.

Ma un giorno le ragnatele arrivarono. E lì il bastone telescopico entrò in azione per la prima volta. Tlac, lunghezza massima, 3m più me col braccio alzato. E via le ragnatele, mentre un «te l’avevo detto» volava discreto ma inequivocabile nell’aria insieme alla polvere.

Da lì in poi, per il mio caro bastone arancione, fu un escalation di protagonismo.

Prima venne la vicina di casa sbadata e le cose da recuperare sul tetto del garage dei vicini. Una delle finestre del nostro salotto dà su una scuola elementare e sul tettuccio del garage di una casetta lì vicino. Volendo, scavalcando la finestra, potrei portarmi una sdraio e mettermi a bere una birra, la sera, comodamente seduto sul tettuccio. Ma il dubbio che non regga e il rispetto per la proprietà altrui (anche perché si tratta di due simpatici vecchietti) aveva fatto sì, fino a quel momento, che mi avventurassi di nascosto su quella sorta di cripto-terrazza solo in caso di estremo bisogno, ad esempio per raccogliere la lunga serie di robe cadute di sotto alla vicina del piano superiore: tappetini, mollette, i pantaloni dei bambini, una volta persino una scarpa. L’arrivo del bastone telescopico rivoluzionò la fase di recupero. Niente più bisogno di aspettare la notte per saltare sul tetto del garage a prendere roba magari zuppa di pioggia.

Poi ci fu la grande nevicata del 2011, quando mezza Bologna restò bloccata e i tetti, le grondaie e i terrazzi delle case si riempirono di lunghe e pericolosissime stalattiti di ghiaccio. Portare mia figlia a scuola significava fare un percorso di guerra, il naso all’insù per vedere se qualche ghiacciolone era lì lì per decapitarci. Un paio di signore, in quei giorni, rimasero davvero ferite. E tra le pensionate del vicinato si diffuse l’allarme.

Il nostro terrazzino era diventato una lastra di ghiaccio e, soprattutto, quando tornò il sole, una serie di lunghe stalattiti sgocciolanti pendevano dai terrazzi del palazzo. Chiunque passava nel cortile comune era a rischio. E quindi… Bastone telescopico, tlac, e addio stalattiti.

Forse però la vera svolta fu quella delle banane.

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A un certo punto, con l’inizio dell’estate, iniziammo a ritrovarci delle bucce di banana sul già citato tettuccio, giusto davanti alla nostra finestra. Inizialmente pensavamo si trattasse di un caso. Una buccia finita giù per sbaglio alla solita vicina, magari. O un rarissimo caso di rifiuto caduto da un aereo in volo. Ma notte dopo notte le bucce si moltiplicavano. Ogni mattina, quando aprivamo gli scuri, ne trovavano una nuova e in pochi giorni sul tettuccio ce n’erano decine, in vari gradi di decomposizione. Mistero.

Decisi di passare all’azione. Bastone telescopico alla mano le tolsi una a una ma il giorno dopo, colpo di scena: altra banana. Tanto più che il bananomane iniziò addirittura a fare il doppio turno. Di notte e nel primissimo pomeriggio, dopo pranzo. E al fastidio si univa pure la beffa: pur lavorando a casa non mi capitò mai di assistere in diretta al lancio. Quindi non potevo neppure basarmi sulla traiettoria per capire da dove arrivavano le bucce.

Un giorno decisi di tagliare la testa al toro—intanto le banane aumentavano, si annerivano, attiravano insetti e uccellini e lucertole e mi toccava aspettare che se ne accumulassero un po’ prima di passare all’azione col bastone—quindi decisi di piazzare una videocamera sulla finestra, giusto per riprendere in flagrante il lancio.

Dopo qualche ora di girato, finalmente, plaf!. Eccola là. Da qualche parte nel mio iPad ho ancora il video, che ho riguardato per giorni, pure a rallentatore: visuale dalla finestra, dalla sinistra arriva una macchia gialla che si splaffa sul tettuccio. Trovato il responsabile. Un anziano vicino matto che quando arrivammo nella nuova casa ci tirò delle mollette sulla finestra apostrofandoci come «talebani».

Il problema delle banane si risolse presto. Perché avevo il bastone, certo. Ma soprattutto perché l’anziano vicino morì improvvisamente giusto quell’estate.

Povero lui (per la cronaca: non siamo stati noi) ma viva il bastone telescopico, che va bene per single e per padri e madri di famiglia, per spilungoni e bassotti, nonché per vecchietti che riescono ancora ad alzare le braccia.
Giusto qualche giorno fa, per recuperare un tronchesino da bonsai caduto alla solita vicina, ho appiccicato un magnete alla punta del bastone. Neanche a dirlo, si è aperto l’ennesimo nuovo mondo di usi e «te l’avevo detto».

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