Come ho già avuto modo di scrivere più volte qui su Frizzifrizzi, la tipografia è una disciplina che esige precisione: il minimo dettaglio — lì dove i superstiziosi sostengono si nasconda il demonio — può fare la differenza tra leggibilità e illeggibilità, tra eleganza e sciatteria, tra armonia e “cacofonia” visiva.
Ma come si fa a essere eleganti, precisi e a mantenere la leggibilità quando hai a disposizione solo dei pixel grossi quasi quanto il cartone di una pizza? Bisognerebbe chiederlo a tutti quei programmatori che hanno progettato e sviluppato i videogiochi coi quali abbiamo giocato per decenni, creati e visualizzati su schermi dalla risoluzione ridicola, se paragonata agli standard odierni.
Pur con pochi pixel a disposizione, sono riusciti a disegnare alfabeti coloratissimi, pieni di personalità e assolutamente leggibili, visto che ci abbiamo speso sopra interi pomeriggi e gran parte delle nostre paghette.
Finora, però, non erano ancora usciti dei libri a celebrare l’abilità, l’inventiva e l’incredibile capacità di ottenere molto con poco.
La piccola casa editrice Read Only Memory, specializzata in curatissimi titoli che hanno a che fare con la storia dei videogiochi (ne ho già scritto in passato per altri volumi: Sensible Software 1986–1999, SEGA Mega Drive/Genesis: Collected Works), ha deciso di rimediare, pubblicando una monografia interamente dedicata alla tipografia dei videogame degli anni ’70, ’80 e inizio anni ’90.
Intitolato Arcade Game Typography, il libro è stato curato da un esperto come Toshi Omagari, type designer che lavora presso Monotype, e in quasi 300 pagine raccoglie 250 pixelosissimi alfabeti provenienti da giochi più o meno celebri, accompagnati da quattro brevi saggi sulla tipografia nei videogame.
Già uscito in formato paperback per l’editore Thames & Hudson (si può acquistare su Amazon), la versione con copertina cartonata in vendita sul sito di Read Only Memory è in edizione limitata di 1000 copie.