Fino all’avvento dell’industria chimica, l’unico modo per produrre i pigmenti era utilizzare piante, minerali, terre e composti organici.
C’è ancora chi lo fa — e negli anni, qui su Frizzifrizzi, abbiamo parlato di manuali, guide e progetti di questo tipo — ma la maggior parte dei colori a disposizione di chi dipinge, stampa o tinge tessuti e pelli è di origine sintetica.
Vista la crescente attenzione nei confronti dell’impatto ambientale, alcuni artisti e designer hanno però cominciato a coltivare un certo senso di colpa, ed è proprio lavorano con alcuni di loro che la designer Nicole Stjernswärd — di origine americana, svedese e finlandese ma di base a Londra — ha cominciato a sviluppare un sistema per trasformare in pigmenti delle materie prime a impatto ambientale zero e disponibili in grandi quantità: gli scarti vegetali.
Stjernswärd ha lavorato al suo progetto mentre frequentava il Royal College of Art di Londra e l’ha presentato lo scorso luglio al “graduate show” della scuola.
Battezzato Kaiku — che in finlandese significa eco — il sistema consiste nel bollire i resti per estrarre il colorante, che poi finisce in un serbatoio e qui, insieme a dell’aria calda pressurizzata viene convogliata, grazie a un ugello atomizzatore, in un’aspirapolvere di vetro, dove la nebbiolina che si produce evapora immediatamente e ciò che rimane è un sottile polvere colorata.
Come ha raccontato al sito Dezeen, quando ha cominciato a lavorare al progetto Stjernswärd ha intervistato diversi artisti e ha incontrato David Peggie, che lavora come chimico alla National Gallery, per farsi illustrare i colori utilizzati dai grandi artisti del passato e da quelli attuali.