Noi occidentali, quando beviamo il tè, facciamo né più né meno che quello: bere il tè, appunto. Ma nelle culture orientali il tè non è soltanto la bevanda. È la pianta da cui proviene, la terra che l’ha donata, la mano che l’ha coltivata e raccolta, il sole che l’ha fatta crescere, la pioggia che l’ha bagnata, il vento che l’ha rinfrescata. Il tè è la preparazione del tè, l’acqua che si versa, la tazza vuota1, la teiera e tutto ciò che c’è attorno ad essa. Il tempo impiegato a bere il tè.
Ed è proprio a quel tutto ciò che c’è attorno che è dedicato il Journal du Thé, rivista indipendente nata nel 2018 dall’idea dell’artista francese Johanna Tagada, di base a Londra, e del designer e art director Tilmann S. Wendelstein, che vive tra Berlino e Tokyo.
«È l’insieme — lo spazio dentro e intorno — quello a cui sono più interessata. Questo è intrinseco al tè e alla cerimonia del tè. Essere insieme può anche significare stare insieme a se stessi, e quando le persone si riuniscono è anche l’inizio di qualcosa. Il tè (o l’atto di condividere il tè) riguarda anche il dare e il ricevere, l’ospitalità e la generosità, i gesti e i ritmi», ha spiegato Tagada in un’intervista a Apiece Apart, ed è questo lo spirito che pervade sia il primo numero del Journal du Thé, andato ormai esaurito, che il secondo, appena uscito.
Dalle composizioni botaniche al chiacchierare d’arte davanti a una tazza di té, dall’architettura a un saggio sull’acqua e sui giardini giapponesi del tè, dai manga alle piantagioni biologiche, dalle tea house alle ceramiche — le 112 pagine di Journal du Thé n.2 sono esse stesse la celebrazione del dare e del ricevere. Da sfogliare con calma, come prendendosi il proprio tempo, come in un rito.
In Italia la rivista si trova da Reading Room, a Milano.