“The Diamond Sutra”, 868 (© British Library | fonte: bl.uk)

Il più grande furto di libri della storia

Questa è una storia davvero poco nota. Quando pensiamo ai libri stampati ci viene sempre in mente la Bibbia di Gutenberg o — proprio per i più esperti — a estratti di stampa a caratteri mobili realizzati dal cinese Bi Sheng.

Il libro stampato più vecchio del mondo è stato rubato. Anno Mille, più o meno. Via della Seta, Cina Settentrionale. Le tribù barbariche sono alle porte della città di Dunhuang, letteralmente “faro scintillante”. È uno degli incroci più importanti del mondo, crocevia di culture e genti. Ultima oasi per i viaggiatori diretti verso Occidente. Ultimo baluardo prima del deserto di Taklamakan. È la fine della muraglia cinese.

Le grotte di Mogai
(foto: Tom Thai | fonte: flickr.com)

La porta di Giada già traballa per i passi inferociti dei cavalli barbari. Sono tutti in fermento, sanno che tra poco sarà l’inferno. Dunhuang è famosa in tutta il mondo per le Grotte di Mogao, oltre 492 templi scavati nella roccia in una rupe di 1600 metri.
Si dice che un monaco buddhista, un certo Lezun, nel 366 ebbe una visione: mille Buddha. Convinse un ricco pellegrino a fondare un primo tempio in onore di Buddha, poi ne convinse un altro ancora, e ancora un altro. Fino a quando i templi diventarono mille, fino a quando le grotte, diventarono cappelle votive, ricoveri e repositori di testi sacri. Gli affreschi delle grotte coprivano una superficie di 42000 metri quadri.

I barbari sono vicinissimi, così i monaci decidono di murare le grotte con all’interno testi sacri e migliaia di rotoli in carta e seta. Immaginate questi monaci che, affannati, murano stanze per proteggere storie, preghiere, canti. Rischiano la vita per la carta. Quando i barbari superano la Porta di Giada è l’inizio della fine. I muri eretti dai monaci resistono alle spade dei barbari, a quelle degli invasori islamici, ai cinesi che odiano i buddisti. Resistono fino al 1900, quando un taoista cinese di nome Wang Yuanlu si auto-nomina guardiano dei templi.

Le grotte di Mogao
(foto: Aurel Stein | fonte: commons.wikimedia.org)

Wang inizia a custodire, proteggere, valorizzare il sito delle Grotte di Magao. Dietro ad un muro scopre un corridoio che porta ad una piccola caverna. All’interno ci sono migliaia di antichi manoscritti, risalenti tra il 406 e il 1002. Rotoli cinesi, tibetani, su seta, canapa e carta. Wang custodisce il segreto silenziosamente.

Dall’altra parte del mondo, a Budapest, un ebreo inizia a studiare a tutta forza. Il suo nome è Marc Aurel Stein. Vienna, Lipsia e poi Londra fino ad Oxford: le migliori scuole d’Europa forgiano il suo intelletto. Stein inizia a collaborare col British Museum. Viaggia più volte verso Oriente, in particolar modo si ferma più volte in India, dove conosce il papà del celebre scrittore Kipling, che all’epoca è direttore del museo d’arte indiana.

Sir Aurel Stein, 1909
(foto: Thompson, The Grosvenor Studios | fonte: wellcomecollection.org)

Tra il 1906 e il 1908, dopo aver viaggiato in Tibet e lungo la via della Seta, arriva fino a Dunhuang. Insieme a lui giungono in Cina spedizioni di francesi, giapponesi e russi. Stein riesce a mettersi in contatto con Wang. Prova in tutti i modi a convincerlo di mostrargli le stanze murate, prova anche a vantare un’amicizia con Xuánzàng, uno dei più grandi esploratori e viaggiatori cinesi, tanto da essere paragonato a Marco Polo. Alla fine Stein raggiunge il suo obiettivo. Queste le sue parole quando vede la stanza: «La vista che offriva la piccola stanza era tale da farmi spalancare gli occhi. Alla luce fioca della lampada del monaco, mi apparve una massa compatta di fasci di manoscritti, ammucchiati a strati ma senza alcun ordine; essa raggiungeva l’altezza di quasi tre metri e occupava, come dimostrarono poi le misurazioni, uno spazio di cinque metri cubi».

Ora ci sono due correnti di pensiero: quella europea, che ritiene che Stein abbia pagato cospicuamente per portarsi nel Vecchio Continente casse di manoscritti, e quella cinese, che definisce Stein un ladro che si è arricchito con reperti storici rubati. Non sapremo mai come sono andate le cose, fatto sta che Stein porta a Londra ventiquattro casse di rotoli scritti in cinese, sanscrito, sogdiano, turki runico e uiguro. Settemila rotoli rimasti intatti per nove secoli dietro un muro, grazie all’aria secca del deserto e all’ottima qualità delle carte di allora, altro che libri ingialliti di oggi.

“The Diamond Sutra”, 868
(© British Library | fonte: bl.uk)

Sulla via del ritorno, Stein passa per Kucha, Aksu e Leh, dove si fa amputare le dita congelate di un piede. Tra i rotoli arriva a Londra il celebre Sutra del Diamante, oggi esposto alla British Library, il più antico testo stampato e integro al mondo, pubblicato nell’868, attraverso la tecnica della xilografia, che permette stampa di testo e immagini contemporaneamente.
Il frontespizio dell’opera contiene l’illustrazione della scena in cui si svolge il dialogo del sūtra stesso. La copia riporta il nome del committente, Wang Jie (altrimenti ignoto), e la data di stampa: il Quindicesimo giorno del Quarto mese del Nono anno del periodo Xiantong del sovrano Tang Yìzōng, corrispondente all’11 maggio 868.

Il Sutra del Diamante ha preceduto la stampa della Bibbia di Gutenberg di ben 587 anni.
La piccola cittadina cinese, nel cuore della Via della Seta, dovrebbe essere conosciuta da tutto il mondo dell’editoria e invece è sconosciuta ai più. Dovrebbe essere meta di pellegrinaggio per scrittori ed editori, quantomeno per rendere omaggio ai quei monaci che poco prima di morire utilizzarono gli ultimi istanti della loro vita per proteggere storie e carta di alta qualità. Un muro che non ha diviso, come spesso accade, ma ha protetto una biblioteca multiculturale e multilingua, in una città interraziale, per nove secoli.

[Una precedente versione di questo articolo è uscita originariamente sul blog Piazza di Spaccio di Libri]

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