Disquisizioni sulla fuffa

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Di tutti i coloratissimi mali contemporanei la fuffa, sapete, è uno dei peggiori. Un diffusissimo modo d’essere, di comunicare, di essere sociali (e non di socializzare) che subdolamente si è diffuso a macchia d’olio, come solo i virus leggeri e gradevolmente letali sanno fare; un’attitudine nata a discapito delle scomode, dispendiose signore chiamate “sostanza”, “profondità”, “competenza” e “argomentazione”; un’entità astratta e onnipresente dalla forma irregolare.

Perché la fuffa è sottile, appetibile, facile: invade territori in cui, in realtà, si potrebbe (e si può) lavorare con dello spessore — sminuendoli. Invade territori spesso legati all’innovazione e anzi alla novità, e per questo più vulnerabili, in cui i poveri (e pochi) che non hanno a che fare con la fuffa vengono irrimediabilmente e tragicamente associati alla fuffa stessa. Perché oggi, oggi che è tutto così amazing, oggi che è tutto così lovely, farsi valere costa doppio.

Perché la fuffa è una roba come giro, faccio cose, vedo gente, mi muovo.
È una roba come volevo parlarti di un evento in uno scantinato isolato d’ispirazione scandinava, magari ci vediamo lì; ho pure sentito di una residenza artistica in collina cui s’arriva solo a piedi passando per una strada incontaminata, magari becchiamo pure un designer guatemalteco davvero interessante, emergente, non so come si chiama perché non gli piace mica farsi (ri)conoscere, non è mica mainstream (OMG, la parola mainstream è così 2013). È uno valido, guardi le sue cose e sai che è lui, e se non lo capisci ti manca quella sensibilità lì.

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Quella sensibilità lì è una cosa che ce l’hai o non ce l’hai: e io ce l’ho, no? Così ho scoperto un brand fighissimo che fa borse — che non si chiamano più borse — con tele di juta, con un intreccio aritmetico pari-dispari in fila per tre col resto di due, studiato filo per filo, un brand che per fare le borse-non-borse usa pure sacchi dell’immondizia da buttare (è tutto metaforico, sai la storia del contenuto e del contenente, della sostanza e della forma?).

E poi ho beccato dei tipi che stampano case, anzi capanne in 3D, delle robe leggerissime, economicissime, abitabili praticamente da subito, ci si sta in 4 pure, comodi, pure con le bici di tutti e 4 dentro, una roba davvero del futuro. No sai io mi tengo aggiornato, cerco di rimanere sul pezzo, lavoro in un posto super cool che ha aperto in campagna, senza riscaldamento, e lì siamo tutti per una vocazione total eco, che rispetta l’energia dell’ambiente, non usiamo neanche deodorante perché siamo contro gli odori che coprono il sentimento della natura.

E poi sai, no, volevo parlarti perché in realtà ho un progetto, una situazione in ballo, una roba davvero innovativa, tipo un nuovo internet ma più figo di internet, butto giù un paio di dettagli e tra due settimane è tutto pronto, anzi faccio un evento, iscriviti su Eventbrite così ci beviamo una cosa, facciamo networking e capiamo come collaborare, tanto — mi pare di intuire — abbiamo una vision comune e anche tu sei abbastanza nel giro.

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Sì comunque in generale al momento non lavoro con nessuno, o meglio sì lavoro ma per conto mio, perché ho bisogno d’un sacco di autonomia, poi sai voglio andare a respirare aria nuova, un paio d’anni fa t’avrei detto Londra ma ora, con Hackney e Shoreditch che sono piene di italiani, meglio andare a New York perché qui in Italia — Dio — qui in Italia davvero c’è un provincialismo che non si digerisce e io con questa cultura ci faccio a cazzotti.

Sai comunque son tranquillo, ho un sacco di contatti, conosco un sacco di gente, perché — lo sai, no? — mi interesso di Social Innovation, di ICC, di ICT, di Smart Cities, roba di bandi europei — gran soldi in ballo. E anzi a dirla tutta, un po’ perché voglio darmi alle mie passioni, organizzo eventi, faccio PR, ma non PR tradizionali, roba davvero innovativa, anche perché in questo lavoro qui — alla fine — contano solo i contatti e comunque sono uno conosciuto.
Pensa che ora sono anche in mezzo ad un paio di serate, roba con cantautori in acustico, ma in realtà pure musica elettronica, videomapping di sfondo e passa la paura; becco gente brava, con un bel sound, sai io ho sempre avuto la passione della musica e modestamente c’ho pure orecchio, te lo ricordi no? Anzi ho un gruppo mio, stiamo cercando un’etichetta, ma in realtà ci hanno già contattati in 3-4, partiamo per un tour in Europa, qualche serata e poi vediamo, giuro che ci hanno già prospettato il doppio delle date ma noi forse non accettiamo perché comunque vogliamo dedicare più tempo ai nuovi progetti e non vogliamo venderci così.

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Ma sì a essere sinceri mi interessa relativamente, perché in realtà ho fatto un corso da graphic designer, e poi ho capito che volevo fare l’interior designer, ma che mi interessavano pure l’external design e il web design, che tanto poi ormai i siti li sanno far tutti, sto sviluppando un tema di WordPress, così — per tirar su due soldi. Vado giù di webinar e poi faccio quello che voglio, roba che sei connesso col mondo, ovunque, così tanto che mi sono quasi stancato.

Perché mi piace pure rimanere sulle cose fisiche, reali, perché questa cosa che col digital perdi i contatti con le persone non mi va a genio, sì insomma la bellezza è pure tutta intorno a noi, no? E per parlare d’architettura devi mica essere laureato in architettura, insomma sai adesso i temi del riuso consapevole, dei nuovi materiali, insomma sì pure la riconversione degli spazi, la riqualificazione, sono così di moda, c’è un patrimonio intorno e noi non lo sfruttiamo, periferie fighissime da scoprire, certa gente si sta muovendo, secondo me basta avere un’intuizione — e un po’ di senso estetico — il resto viene, lascia perdere la fisica e la matematica, roba da palazzine comunali.

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E poi con altri amici mi sono dato al food, che è davvero il business del futuro, ma già nel presente va di brutto, anzi mi sono dato al vegan food urbano con un’attenzione tutta nuova per il packaging, una cosa biodegradabile, ripiegabile, estensibile, riutilizzabile, commestibile, reversibile. Con dei tizi organizzo brunch, che non sono brunch perché i brunch fanno così old, così ‘cercodiesserefigomaormaipuretuanonnaparladibrunch’, insomma sì organizzo dei tipo brunch d’ispirazione belga ma comunque più qualitativi, c’è tutta un’attenzione particolare per le materie prime, e da noi un panino al prosciutto costa 8 euro perché il prosciutto c’ha il tuo nome scritto di fianco ed è una roba solo tua, tua per sempre, pure dopo che te lo sei mangiato.

E poi le cose cambiano così velocemente, tipo lo sapevi che Facebook è praticamente morto, che tanto lo sanno tutti che finisce come Myspace (pensa che eravamo in 3 ad avere Myspace, agli inizi inizi, quando siamo diventati 10 io smesso di starci dietro), che a Pinterest chi ci crede — tu sì? io no — e te lo dico io che da anni faccio il web editor, anzi il web content editor, ma pure il fotografo a tempo perso, da quando m’hanno regalato quella macchina lì, faccio due foto, poi è tutto un #tagforlikes e tiro su i numeri di Kendall Jenner e Morandi insieme.

Te lo dico io che mi occupo di COMUNICAZIONE, sul serio. Faccio ufficio stampa, scrivo i comunicati stampa, c’ho i contatti, lavoro nel fashion. Sì insomma te lo dico io che faccio social media marketing, io che sono un social media manager, roba che tanto basta che capisci i meccanismi. Che ci vuole?

Dedicato a tutti quegli amici che con cuore, passione e grandi sforzi lavorano su questi temi qua — ma per davvero.

Un messaggio

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