Per decenni, nel mondo del graphic design, ricevere l’incarico di disegnare un francobollo equivaleva a una vera e propria consacrazione ufficiale: le istituzioni, quell’apparato spesso lento e polveroso e inutilmente complicato, dimostravano di accorgersi di te e del tuo lavoro e, cosa ancor più importante, ti davano la possibilità di diventare immortale attraverso la stampa di un minuscolo pezzettino di carta dal valore legale e capace di portare un qualsiasi messaggio fino all’altra parte del mondo.
Fior di grafici e type designer hanno avuto l’onore di progettare francobolli — Saul Bass, Wim Crouwel, Milton Glaser, Eric Gill, Louise Fili… — e nonostante la progressiva dematerializzazione della corrispondenza, oggi affidata perlopiù all’email (nonché, quella privata, ai social network), anche se il francobollo ha perso gran parte della sua importanza e del suo fascino, il “fattore-consacrazione” rimane, perlomeno nella percezione del pubblico e degli addetti ai lavori (due esempi recenti: Marco Ventura e Andy Rementer).
E se forse oggi nessuno usa più il vecchio trucchetto del “ti mostro la mia collezione di francobolli” per invitare l’ingenua ragazza di turno a casa propria (dicono che ora funzioni meglio un più razionalista “vieni a vedere la mia collezione di ceramiche della DDR” o la tipofila-hipsterica “collezione di caratteri mobili”) c’è chi la propria raccolta di francobolli decide di metterla direttamente online, magari su Instagram, come Graphilately.
Gestito da Blair Thomson, direttore creativo dell’agenzia inglese Believe In, Graphilately pubblica a cadenza quasi quotidiana pezzi della storia della filatelia che rivestono una certa importanza anche nell’ambito del graphic design, accompagnando ciascuno con una didascalia che ne spiega nome, anno e paese di emissione e — quando è noto — pure il designer che l’ha progettato.