Giusto durante i pochi giorni di ponte attorno al Primo Maggio, mi è capitato di passare del tempo in quel di Cagliari. Città che, devo dire la verità, ritengo ampiamente sottovalutata: ha una spiaggia sabbia di diversi chilometri e profonda un centinaio di metri, si mangiano strepitose fritture di pesce a pochi euro, ci sono colonie di fenicotteri rosa e l’ospitalità non ha nulla da invidiare a certi altri splendidi posti affacciati sul Mediterraneo.
A Cagliari, dopo il corteo/processione/sfilata/figata in onore di Sant’Efisio, Santo Patrono a cui la Sardegna tutta rende omaggio da centinaia di anni, ogni anno, per ricordare dell’avvenuta liberazione dalla peste, ho potuto visitare la Villa di Tigellio. Visita istruttiva, e breve compendio di una particolarità tutta italiana che forse siamo stufi di dover incontrare ad ogni angolo di Bel Paese.
1. La villa è bella, solo che non è una villa e non è di Tigellio: il nome fu dato apposta per attrarre visitatori, e finanziatori, sugli scavi. Erano i tempi in cui se facevi il nome di uno importante, bluffavi, la sparavi più in alto possibile, allora il cash arrivava più in fretta.
2. Dopo che entri nel sito e scopri che si tratta di un agglomerato di case e non di una villa, vieni subito colpito dal fatto che c’è una Casa degli Stucchi, colorata migliaia di anni fa in un bel rosso pompeiano. Di cui però hanno goduto solo quando l’hanno scavata per la prima volta, dato che ora, ciò che sottoterra si era conservato per centinaia e centinaia di anni, è andato a disperdersi in poche decine all’aria e all’acqua del capoluogo sardo.
3. Erbacce e alberi a rendere illeggibile la trama delle costruzioni, il loro significato, la propria forma originaria. Tutto nascosto.
4. Un ragazzo bravissimo a sforzarsi di spiegarci tutto, felice di avere una cosa tanto bella da mostrare, ma evidentemente afflitto dall’incuria in cui è costretto a lavorare e di cui viene costretto a vergognarsi in prima persona.
E allora, ci ho pensato: non è che l’Italia, esattamente come la Casa degli Stucchi di cui sopra, stia perdendo, assieme al proprio tempo, anche il proprio decoro?
Da questo è da molto altro è nato questo bisticcio, che è andato in dono ad un nuovo amico, nonché grande artista e collega, che del decoro ha fatto uno stile di vita: lo sghe.