Quello che ho imparato dai clienti

Viene chiamato in molti modi, a seconda della professione a cui ci si riferisce: compratore, acquirente, habitué, utilizzatore finale. Io, (che sono un grafico, giusto per tranquillizzarvi) mi limito a chiamarlo “cliente”.

Da sempre vedo colleghi sull’orlo di una crisi di nervi che lamentano l’incapacità di riuscire ad avere un rapporto sereno con questa figura: ad essere incriminata non è solo la sua telefonata del venerdì sera per il lavoro da finire entro il lunedì mattina, sotto accusa è anche quella sua incapacità di decidere, quelle sue dannate email con allegate immagini a bassa risoluzione (“spero le vadano bene dentro un file di Word”), oppure frasi come “che ti ci vuole, tanto lo fai veloce con fotosciop!”. Per non parlare del ritardo dei pagamenti e di una miriade di altri situazioni che a volte possono anche finire per vie legali.

Durante la mia attività di grafico ho incontrato diverse tipologie di clienti: dagli amici, agli amici degli amici, fino agli amministratori delegati di aziende strutturate. Con ciascuno di loro ho imparato qualcosa che, credo, valga per la maggior parte delle professioni. Sintetizzando, ne sono venuti fuori 9 consigli e ½, (perchè il decimo, in realtà, non è un vero e proprio consiglio).

1. La prima esigenza del cliente è quella di essere tradotto

Ognuno di noi comunica tramite ciò che conosce, e se per me è facile comunicare per immagini, può darsi che per il cliente sia naturale esprimersi con un foglio Excel. Poiché non è dovere del cliente essere competente in comunicazione visiva e padroneggiare i termini del mestiere, il primo compito del progettista è un vero e proprio lavoro di paziente traduzione. Il rischio “lost in translation” esiste, poiché nella fase di interpretazione è possibile che qualcosa vada perso o resti ambiguo. In questa prima fase si gettano le basi dell’intero lavoro, perciò occorre ascoltare attentamente il cliente e domandare il più possibile senza il timore di apparire poco perspicaci.

2. I sintomi del malessere li conosce il cliente ma la cura viene trovata insieme

Chi commissiona un lavoro spesso tende a suggerire anche il modo di risolverlo, pretendendo quindi di conoscere la cura al suo problema. Ma non si chiama un medico se si conosce già la cura. È il progettista che, se necessario, deve essere capace anche a rivoluzionare la soluzione che il cliente stesso credeva di conoscere: mi è capitato di avere clienti che volevano rifare il proprio sito internet perché “ormai era vecchio”, mentre il problema era più ampio e riguardava tutta l’immagine aziendale. Discutendone si è arrivati a definire una nuova strategia e spesso il sito internet è rimasto sostanzialmente invariato.

3. Il cliente non è un amico

Intendiamoci, non è nemmeno un nemico, in fondo siamo alleati per ottenere i medesimi obiettivi, ma è indispensabile mantenere un rapporto professionale: i clienti più pericolosi e difficili sono i nostri amici o parenti, con i quali ogni decisione presa a fini professionali rischia di confondersi con la sfera personale, senza considerare la delicata questione retributiva, che può compromettere l’amicizia più solida. Di regola cerco di evitare i lavori per amici o parenti e do del “Lei” ai miei committenti, almeno che non vi sia una richiesta esplicita per il “tu”, cosa che a quel punto non si può rifiutare.

4. Il cliente ha il diritto di innamorarsi di una vostra idea, voi no

A me è successo spesso di abbandonare a malincuore progetti che ritenevo migliori per ripiegare su soluzioni meno brillanti ma che convincevano di più il committente. Se, dopo aver tentato il possibile per convincere il cliente, quest’ultimo resta dell’idea che quel lavoro debba essere scartato, dovrete accontentarlo, anche se questo dovesse causarvi fitte allo stomaco. Perciò, non innamoratevi troppo di un’idea, staccarsene sarà meno traumatico.

5. È importante firmare un contratto che garantisca entrambe le parti

Le tre cose importanti da chiarire sono tempi, costi e ruoli. È una cosa noiosa ma serve a stabilire ufficialmente l’inizio di un lavoro e i tempi di consegna. Chiarisce i costi monetari e di conseguenza il valore del progetto (che non è mai un mero calcolo di ore) e infine stabilisce i ruoli chiarendo chi realizza i testi, chi si occupa delle traduzioni, chi procura le immagini… ecc. Un contratto tutela tutti.

6. Verba volant scripta manent. Chiedere conferma via mail, sempre!

Questa abitudine mi ha salvato parecchie volte con clienti e stampatori ai quali ho potuto dimostrare la coerenza delle mie azioni con ciò che si era concordato in precedenza. Un saggio modus operandi è quello di imbastire con il cliente un denso scambio di mail che possono tornare utili per evitare successive recriminazioni. Non fidatevi delle richieste fatte a voce: chiedete un riepilogo via mail oppure scrivete voi stessi un riepilogo che il cliente dovrà controllare e confermare per iscritto. Eviterete fastidiosi “Ma io le avevo chiesto di..”, “Ma io intendevo..” o il temibile “Non la pago, perchè non ha fatto ciò che le avevo chiesto”.

7. Qualsiasi proposta consegnate può essere scelta, e spesso è quella peggiore

Mi è capitato più volte di voler “fare numero” aggiungendo ad una serie di proposte valide una decisamente più scadente, certo che il cliente non l’avrebbe mai scelta: ovviamente mi sbagliavo! Che io sappia non esistono studi scientifici sulla questione, ma sono certo che ci sia una legge cosmica per la quale il committente è attirato verso la proposta che il grafico detesta. Tutto quello che si consegna può essere scelto, quindi evitate la furbata di consegnare una sola proposta che vi convince in mezzo ad altre appositamente inguardabili: le leggi cosmiche sono più grandi di noi.

8. Combattete la paura

Può capitare di avere timore del cliente o del lavoro che si è chiamati a svolgere. Sarò adeguato? Sarà soddisfatto? Si aspetterà di più? Lavorare con la paura è come guidare un’automobile con il freno a mano tirato: rallenta, limita e inficia il risultato finale. Solo quando ti prendi dei rischi puoi costruire qualcosa di nuovo e interessante. Con l’esperienza ho capito che i veri ostacoli non sono dati dai clienti o dalla tipologia dei lavori che mi vengono affidati, ma casomai dalla mia mente che tende a complicare ciò che complicato in verità non è. La paura di sbagliare o di ricevere un rifiuto si può superare innanzitutto accettando l’imperfezione della vita e riuscendo a conviverci.

9. Il cliente ha bisogno di capire, e voi dovete aiutarlo

Se il committente non capisce una vostra scelta avrà paura, e molto probabilmente non l’accetterà. Se riuscite a far diventare quell’idea qualcosa di suo, ecco che tutto cambierà. Parlate chiaro e senza troppi tecnicismi, mettete il cliente nelle condizioni di capire tutto e di sentirsi a suo agio: il gergo tecnico molto spesso intimorisce e confonde, e anche quando si è costretti ad utilizzarlo è importante spiegare parola per parola, anche se fa fatica spiegare cos’è un “carattere con grazie”.

9½. A buon intenditor…

Ho vissuto molto tempo con la convinzione che per fare un buon lavoro bisogna essere un bravo professionista, ma non basta: per fare un buon lavoro c’è bisogno anche di un buon cliente. Un giorno, alla prima riunione, un cliente si lamentava di aver cambiato almeno una quarantina di grafici che lo avevano deluso durante la sua vita professionale: in seguito capii perché se ne erano tutti andati!

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