GTAV, Death Tourism Selfies

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Ogni anno i quotidiani dedicano più o meno spazio alle new entry dei dizionari, quelle parole che entrano a far parte dell’italiano ufficiale, sdoganate dal linguaggio colloquiale o importate pari pari da altre lingue (là dove non esiste una traduzione semplice ed efficace anche se per fortuna le ibride aberrazioni tipo downloadare per ora rimangono “cittadine illegali” del nostro idioma).
La lingua si aggiorna. O meglio si adegua. Talvolta “cala le braghe” e quelli che fino a qualche anno fa venivano considerati errori pian piano, con l’uso, conquistano dignità. Ma soprattutto la lingua prova a star dietro alla tecnologia, che se riesce a modificare persino la gestualità figuriamoci il vocabolario.

Giusto quest’anno, in uno degli ultimi aggiornamenti dell’Oxford Dictionary, il più prestigioso vocabolario del mondo anglofono, tra i nuovi lemmi compare, per ora solo nella sua versione online (meno autorevole e conservatrice rispetto al suo equivalente cartaceo) selfie, cioè la pratica ormai tipica dei possessori di smartphone di scattarsi un autoritratto.
Non che gli autoritratti siano stati inventati da Apple! Ma l’estetica del selfie—braccio allungato per tenere la fotocamera davanti a sé—e soprattutto la sua pervasività, amplificata a dismisura dai social network, ne fanno un fenomeno che ormai va ben oltre la tecnologia ed abbraccia la moda, il costume, persino l’arte, tanto che il selfie è finito pure al MoMA di New York (ce l’ha portato un artista dal nome perfettamente in tema con l’argomento: Patrick Specchio).

Ma c’è un’altra artista che propone un bel cortocircuito tra la moda dell’autoscatto, la morbosità dei media nella società contemporanea e lo sdoppiamento di personalità che permettono i videogame (in maniera ancora più evidente rispetto ai social network). Quest’artista si chiama Georgie Roxby Smith, è australiana, e lavora principalmente sul confine tra virtuale e reale, utilizzando soprattutto i videogames.
Nelle sue opere ha messo Lara Croft in uno scantinato a lavare i panni circondata dai rumori di battaglia, ha fatto un “mash-up” tra Call of Duty e il mondo reale, ha rappresentato il ruolo femminile nella società sottoponendo un avatar-donna a infinite e violente cadute tra le rocce dentro alla PS3 e realizzato la parodia del cyberporno (occhio! Contenuti molto espliciti) dentro a un gioco tipo Sim City.

Tra le sue ultimissime opere c’è GTAV, Death Tourism Selfies, dove uno dei personaggi del celeberrimo Grand Theft Auto—tra i videogame più stigmatizzati da genitori preoccupati, associazioni perbeniste e stampa morbosa—si aggira per il crudo mondo fatto di pixel del videogioco scattandosi autoritratti accanto ai corpi senza vita delle vittime, più o meno quel che capita davvero oggi quando i fatti di cronaca diventano puro e semplice spettacolo e il sangue, mostrato o sapientemente censurato per amplificarne l’impatto ossessivo, l’ingrediente principale della nostra cultura di massa.

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