Quel gran antropologo di Marc Augé — oltre a parlare di nonluoghi, di surmodernità, di archeologia industriale e dell’isolamento dell’uomo nell’era digitale — è anche un ciclista. E alle due ruote ha pure dedicato un libello imperdibile dal titolo Il bello della bicicletta, edito da Bollati Boringhieri nel 2009 ma che nelle librerie continua a rispuntar fuori in primo piano tra gli scaffali, segno che i librai più furbi cavalcano l’onda di questo nuovo umanesimo dei ciclisti, come lo chiama lo stesso Augé.
Ecco, un volumetto come questo consiglio di leggerlo la sera, sul divano o sulla poltrona, magari sotto a un poster come The Evolution of Bicycles, realizzato da Pop Chart Lab, piccola azienda di Brooklyn che va matta per grafiche, grafici e infografiche — tipo quella sui cocktail dei film e dei libri che ho segnalato appena qualche mese fa.
Ché poi tra le utopie ciclistiche dell’antropologo francese e un’occhiata al poster di tanto in tanto, di sicuro ti metti a sognare lunghe passeggiate in città svuotate dalle auto.
Concludo di nuovo con Augé, tanto per chiarire che questo è post è un invito alla lettura neanche troppo tra le righe: «non è la stessa cosa attraversare la città con un mezzo pubblico, in macchina o in bicicletta: in tutti i casi si va più veloci che a piedi, ma con la bicicletta si ricreano degli itinerari diversi, ovvero si reinventano i propri percorsi… su questo piano c’è un parallelismo possibile tra il ciclismo e la scrittura ed è molto importante di questi tempi di riscoperta delle grandi dimensioni simboliche di spazio e tempo che cambia».