#Fotosociality | Slowd

Ci può essere un Km Zero per il design? E se sì, che significa? Lo chiedo a Sebastiano Longaretti, uno dei fondatori—insieme ad Andrea Cattabriga—di Slowd, una start-up che si è costituita da pochissimo, a marzo 2013, ma che ha già fatto la sua prima comparsa ufficiale durante il Fuorisalone dello scorso anno (qui su Frizzifrizzi la nostra Giuliana Maccione ne ha parlato lo scorso novembre). L’idea, però, risale al 2011. Ed è piuttosto ambiziosa.
Durante la mia trasferta milanese, in una mattinata di sole ed in pieno spirito slow, dopo un giro “a braccio” per la zona, registratore e macchina fotografica in mano, spuntini salutisti (mela bio, gelato artigianale, tè fricchettone) a inframezzare il cammino, incontro Sebastiano in zona Ventura-Lambrate, forse l’area a più alta densità di progetti interessanti ed innovativi dell’intera design week milanese, dove i ragazzi di Slowd hanno preso uno spazio per mostrare al pubblico e agli addetti ai lavori la loro innovativa piattaforma online.

I nostri lettori più attenti già lo sanno. Ma vuoi raccontarmi di nuovo in cosa consiste Slowd?

«Stiamo cercando di applicare al design il concetto di Km Zero, che non significa fare mobili con materiali che si trovano a pochi chilometri da casa tua, perché con questa logica se poi qualcuno acquista il tuo prodotto glielo devi spedire e la spedizione comprende sempre tutta una serie di passaggi—con conseguenti spese, consumi, emissioni inquinanti—che invece vogliamo evitare».

Quindi cos’è per voi il design a Km Zero?

Significa attivare dei punti di produzione sparsi sul territorio appoggiandoci ad una rete di artigiani che già esiste e che dunque non necessita la creazione di un’infrastruttura ulteriore. Dopotutto sono stati gli artigiani i maggiori artefici del design italiano. Sono proprio loro a produrre i pezzi di arredamento che i designers che entrano nel network di Slowd propongono.

Una sorta di produzione on demand.

Esattamente. L’utente finale andando sul nostro sito sceglierà, oltre al prodotto da acquistare, anche l’artigiano più vicino a casa sua. La “macchina” è nuova, la piattaforma è sofisticata ma in realtà quel che batte sotto al cofano è un processo lento, slow, che recupera il vecchio rapporto cliente-artigiano che negli ultimi anni aveva quasi del tutto cessato di funzionare. Quello che cerchiamo di fare è riproporre, aggiornandolo ai nostri tempi, proprio quel tipo di rapporto, fondato sul rapporto umano e sulla qualità.

Quant’è grande la rete di artigiani?

Per ora abbiamo una sessantina di artigiani che si sono iscritti, dato non aggiornato perché negli ultimi giorni, soprattutto qui al Fuorisalone, abbiamo ricevuto tantissime nuove richieste di partecipazione. Ora stiamo collaborando anche con la CNA di Milano che ci aiuterà a stendere un disciplinare per capire che tipo di artigiani possano entrare nella nostra rete.

A parte Milano avete dei punti anche nel resto d’Italia?

Sì, i sessanti artigiani sono sparsi in tutto il Paese ma l’Italia è il nostro obiettivo minimo perché il progetto è perfettamente scalabile anche a livello continentale e come tutti i progetti con manie di grandezza il nostro obiettivo è [mima la classica risata malefica da film di serie-z, ndr] conquistare il mondo.
Abbiamo già delle bandierine posizionate in Belgio e in Francia ed attualmente stiamo lavorando sul Canada e sul Brasile. Slowd è un progetto che se dovesse esplodere, e noi ci auguriamo che lo faccia—anzi siamo sicuri che lo farà—potrebbe rivoluzionare davvero le dinamiche del mondo del design. E non solo.

Penso anche al rapporto tra industria, designers e clienti finali.

La nostra è una rivoluzione pacifica. Non vogliamo rompere le scatole a nessuno. Esistono ed esisteranno sempre logiche di produzione e di distribuzione che prevedono reti di negozi e ricarichi enormi sul prodotto. Ma sono logiche che non ci appartengono. Vogliamo vedere se qualcosa, invece, riusciamo a cambiarla.

I designers cosa ci guadagnano a progettare oggetti e mobili per Slowd?

Ai designers riconosciamo una royalty del 10% su ogni pezzo venduto. Di solito la percentuale è del 1,8-2%.

Quindi è un sistema in base al quale ci guadagnano tutti.

Più che altro guadagnano tutti il giusto. Gli artigiani riattivano le loro macchine e si rimettono a fare, come una volta, pezzi in piccole quantità, senza temere la concorrenza delle grosse aziende. E sono proprio loro i più felici di questa collaborazione. La nuova generazione di falegnami, quelli 2.0 ma anche quelli di 50 o 60 anni che hanno familiarità con il web. Bisogna sapere utilizzare la nostra piattaforma, rispondere alle mail, dare feedback in tempi brevi. Questo è essenziale perché tutto funzioni.
La cosa veramente fondamentale però è lo spirito di collaborazione. Non bisogna essere gelosi delle proprie lavorazioni, starsene chiusi tra le proprie quattro mura. L’importante è condividere perché nessun artigiano, all’interno di Slowd, ha l’esclusiva sui prodotti.

Proprio riguardo a questo: immagino che se ad esempio io ordino uno sgabello, se me lo faccio fare da un artigiano piuttosto che da un altro il risultato finale potrebbe pure essere leggermente differente.

È questo il bello. Ogni prodotto realizzato tramite Slowd viene fabbricato ogni volta come se fosse un pezzo unico. Se vado all’Ikea e se compro una Expedit oggi, mi aspetto, anzi pretendo che tra due anni, tornando lì, io trovi la stessa identica Expedit, fatta degli stessi elementi. La nostra produzione invece prevede che il designer lasci un piccolo spazio di interpretazione a chi poi va a produrre materialmente l’oggetto.

L’artigiano può proporre modifiche? Se ha un’idea per migliorare un prodotto può condividerla con il designer e con gli altri artigiani?

Ti faccio un esempio: ci siamo “scontrati” positivamente con un artigiano di Modena perché insisteva nel migliorare, soprattutto a livello di materiali, un prodotto. È questo quello che intendevamo quando abbiamo pensato per la prima volta al concetto di Slowd! Rallenta pure, fallo a mano, fallo bene.
Quando il designer ci propone un progetto magari ha già in testa dalla A alla Z ogni singolo passaggio anche della fase di produzione ma capita pure che in corso d’opera, proprio su feedback dell’artigiano, ci sia bisogno di cambiare qualcosa.
In quel caso riconoscere all’artigiano la co-autorialità del progetto è fondamentale, in modo che possa anche lui “sposare” il prodotto, anche per poter realizzare prototipi [come quelli in mostra nello spazio Ventura-Lambrate, ndr] a costo zero, in cambio di un 2% di royalties su tutti i pezzi, compresi quelli che gli altri suoi colleghi realizzeranno.

Sul sito di Slowd quindi c’è un’area apposita per chi poi il disegno lo realizza fisicamente?

Oltre ad uno shop online per l’utente finale ci sarà una sorta di “workstore” con il progetto da realizzare. Gli artigiani interessati, una volta visualizzato, se in linea con le loro modalità di produzione e se hanno le attrezzature per farlo, possono scaricare il progetto a costi molto bassi. In questo modo il designer può iniziare a guadagnare già prima che la loro idea entri in produzione.

E se un artigiano scarica il progetto e poi si mette a produrlo e a venderlo in proprio, uscendo così dal sistema Slowd ma di fatto usandolo per fini esclusivamente propri?

In quel caso non possiamo farci niente. Ma è esattamente come capita in tutti i settori. Se ora un falegname venisse qui e fotografasse tutti i prodotti mettendosi poi a produrli come propri, potrebbe benissimo farlo. Noi non possiamo sicuramente attivare un branco di segugi che vada in giro a dar la caccia a chi copia. Il funzionamento della nostra iniziativa si basa sull’etica professionale di tutte le parti in causa. In teoria l’artigiano dovrebbe dichiarare attraverso la piattaforma quanti pezzi di ogni modello riesce a fare. Nei fatti poi lui potrebbe dichiararne ad esempio 5 e realizzarne invece, oltre a quelli, altri 5 che venderà attraverso i suoi canali. Una cosa del genere non possiamo evitarla. Quindi abbiamo pensato che invece di “punire” un comportamento del genere avremmo potuto trasformarlo in qualcosa di positivo.

Cioè?

Daremo la possibilità all’artigiano di vendere direttamente presso il suo laboratorio. Perché ovviamente se arriva una signora per un altro lavoro e vede lì un’attaccapanni di un designer Slowd che le piace, di sicuro chiederle di andare a casa, registrarsi sul nostro sito e fare l’ordine presso di lui è piuttosto improbabile.
Oggi grazie a strumenti digitali, software ed hardware è possibile fare in modo di registrare interazioni di questo tipo e segnalarle in tempo reale alla piattaforma, in modo da rendere tutti felici, ogni singolo “attore” della catena produttiva di Slowd, dal designer al cliente. È anche per questo che abbiamo bisogno di “artigiani tecnologici”.

Si va sulla fiducia anche rispetto ai designers.

Certo. Chi ti garantisce che qualcuno non vada a copiare magari un progetto degli anni ’60 e lo proponga come proprio? Però crediamo che viste le percentuali che ciascuna parte in causa porta a casa saranno davvero pochi quelli che faranno i furbi. Qualcuno ne troveremo sempre, questo lo sappiamo, ma crediamo che essendo tutto molto trasparente e fondato su un’etica sana, d’altri tempi, alla fine la percentuale di disonestà rimarrà minima.

Questo post fa parte di Fotosociality, progetto lanciato da Samsung per promuovere la sua fotocamera “social” Galaxy Camera, con la quale sono state scattate tutte le foto dell’articolo.

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