The Avant/Garde Diaries | le Watts Towers

Quella di Sabato Rodia, detto Simon, sembra una storia di emigrazione come tante. Sembra.
Partito appena quindicenne dal suo paesino in provincia di Avellino insieme a suo fratello Riccardo fratello per cercare fortuna in America, Sabato finisce in una miniera della Pennsylvania. È il 1894 e passare le giornate dentro ad un tunnel, allora più di oggi, somiglia più ad una condanna che ad un opportunità per guadagnarsi da vivere. Quella stessa miniera gli porta via Riccardo, rimasto vittima di un incidente. Dopo la morte di suo fratello Sabato, solo in un Paese straniero, decide di mettersi di nuovo in gioco, abbandona i tunnel e parte per un viaggio da costa a costa che lo porta fino alla piovosa Seattle, dove conosce e sposa Lucia Ucci, che gli dà tre figli (due maschi ed una femmina) e con la quale si trasferisce ad Oakland, in California.

L’intera storia di Rodia non è del tutto chiara: i dati ufficiali dell’anagrafe italiana e dell’ufficio immigrazione degli Stati Uniti non collimano e le date (di nascita e di arrivo sul suolo americano) potrebbero essere diverse da quelle dichiarate da Rodia. Come pure i motivi dell’arrivo in America. Alcune fonti sostengono che quella dei suoi genitori non fosse una famiglia di poveracci bensì di piccoli proprietari terrieri e che Sabato e Riccardo se ne andarono dall’altra parte del mondo per scampare al servizio militare. Altre fonti parlano di un rovesciamento improvviso nella situazione economica della famiglia.

Una delle poche certezze è il fatto che Rodia beve come una spugna e – per sua stessa ammissione – in casa è un violento. Nel 1912 sua moglie Lucia chiede ed ottiene il divorzio. Poco tempo la loro unica figlia femmina muore di meningite.
Gli anni successivi diventano di nuovo fumosi: Rodia racconta di esser partito per un lungo viaggio attraverso il continente, viaggio che lo porta dal Canada all’Argentina. Fonti della sua stessa famiglia sostengono invece che Sam in realtà non si mosse dalla California.
Fatto sta che nel 1920 lo ritroviamo muratore a Long Beach, sposato ad una messicana di nome Benita. Il matrimonio anche stavolta dura poco e Sabato Simon Sam Rodia si sposta a Watts, periferia sud di Los Angeles, una delle zone più povere del Paese, sobborgo di immigrati che lavorano perlopiù come operai nella costruzione della ferrovia. Lì sposa e va ad abitare con un’altra messicana, Carmen.

Rodia ha qualche centinaio di dollari da parte e decide di comprare un pezzo di terra di forma triangolare vicino alla ferrovia.
Ogni giorno, quando torna dal lavoro, Sam entra nel suo pezzo di terra e si mette a lavorare di nuovo: prima di morire vuole regalare all’America qualcosa di grosso.
Utilizzando materiali di recupero trovati lungo la ferrovia e fondi di bottiglia (nel frattempo, però, Rodia ha smesso di bere), costruisce le Watts Towers, un complesso di 17 strutture connesse tra loro, tra cui due torri alte ben 30 metri.

Rodia di arte non ne sa niente ma ha dalla sua la sapienza del muratore, un fisico indistruttibile, una volontà di ferro. Ed è proprio quest’ultima che lo fa andare avanti, completamente da solo, senza macchinari, senza un progetto per più di trent’anni, dal 1921 al 1955.

Negli anni ’30 le Torri iniziano ad attirare l’attenzione dei curiosi e della stampa: prima l’L.A. Times e poi il Times dedicano a Sam Rodia un paio di articoli inseriti tra le notizie “curiose”, articoli che lo dipingono come un ingenuo un po’ matto e con l’accento strano. E forse il muratore campano un po’ matto lo è. Parla benissimo lo spagnolo e si fa passare per tale tra i vicini, che con lui e la sua opera hanno un rapporto di amore/odio, alcuni arrivano a commettere atti di vandalismo contro la costruzione e addirittura contro la stessa casa di Rodia, che però offre a tutti il libero ingresso al suo cantiere, dove presto iniziano a celebrarsi matrimoni e battesimi, quasi fosse una cattedrale sacra.

Nel ’57 esce addirittura un piccolo documentario, girato qualche anno prima da un giovane studente d’arte, William Hale, che intervista l’artista-muratore (ma Hale lo chiama Rodilla). Questi gli rivela di aver iniziato Nuestro Pueblo (così ha ribattezzato la sua opera, e la scritta appare più volte tra gli archi e le volte della struttura) soprattutto per tenersi occupato dopo aver smesso di bere, con in mente l’idea di realizzare qualcosa di gigantesco, un tributo alle grandi esplorazioni di figure come Cristoforo Colombo, Galileo e Copernico.

Quando esce il documentario, però, Rodia ha già abbandonato il progetto da un paio di anni. Quasi ottantenne, nel ’55 si trasferisce a Martinez, nei pressi di San Francisco, a sei ore di auto da Watts, e lascia l’intero terreno di sua proprietà ad un vicino, un lattaio messicano, per non tornare mai più.
Il motivo dell’abbandono non è certo: alcuni parlano di stanchezza dovuta ai continui atti vandalici; altri di un leggero ictus, ictus che tornerà a colpire nel ’65, stavolta portandoselo via.

Nel frattempo le Torri passano di nuovo di mano. L’ex-vicino di casa decide di vedere tutto a Nicholas King e William Cartwright, due losangelini che lavorano nell’industria cinematografica (il primo come attore, il secondo come addetto al montaggio) e che dopo essersi innamorati della creazione di Rodia decidono di acquistarla per 3000 e preservarla: le Torri, infatti, iniziano a richiamare artisti e curiosi, prima dei dintorni, poi a livello regionale e infine nazionale. Rodia però, nonostante il grandissimo desiderio di venir considerato artista, avrà l’onore di essere chiamato tale solo sul letto di morte, dopo che un’infermiera, passata per Watts durante un viaggio a Los Angeles, vede l’opera di quel burbero paziente d’ospedale ed una volta tornata inizia a raccontarlo ai colleghi, rendendo Sabato Simon Sam Rodia una piccola celebrità nell’ospedale di Alhambra, dov’è ricoverato e dal quale non uscirà più.

Negli anni Nuestro Pueblo è diventata un’icona di Watts e dopo aver superato indette gli scontri che nello stesso anno della morte del suo creatore devastarono la zona, e dopo aver persino rischiato la demolizione – l’amministrazione comunale la riteneva pericolante ma dopo le proteste degli abitanti del quartiere, ormai affezionati a quella gigantesca, bizzarra struttura, e in seguito ad una serie di test di resistenza, passati col massimo dei voti – è stata dichiarata nel’77 luogo storico da tutelare e l’anno successivo la proprietà è passata allo Stato della California.

Oggi le Torri sono considerate come uno dei migliori esempi di arte popolare americana ed un capolavoro architettonico (l’opera è realizzata interamente con materiale recuperato: travi di ferro, cemento, vetri di bottiglia, ceramiche; all’interno del complesso ci sono vasche, fontane, panchine ed una delle torri ha al suo interno la più lunga e sottile colonna di cemento armato al mondo).

Aaron Rose, scrittore, artista, curatore e regista losangelino – celebre soprattutto per essere tra i fondatori del movimento Beautiful Losers – nella video-intervista realizzata da The Avant/Garde Diaries ne parla addirittura come di vera e propria avanguardia.

Da lassù il vecchio Sabato Rodia probabilmente se la starà ridendo di cotanta attenzione. Ormai ci è persino abituato. Nel 2006 è uscito un documentario interamente dedicato a lui ed intitolato I Build the Tower, mentre già nel ’67, ad appena due anni dalla sua morte, ebbe l’onore di finire sulla copertina di un disco. Anzi, La Copertina. Quella di Sgt. Pepper’s, unico italiano ad avere questo onore.

Sam Rodia è il numero 14, giusto accanto a Bob Dylan

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