Quando le parole non bastano entrano in gioco i linguaggi condivisi. Inconsci, come la criptofasia dei gemelli o il gioco di sguardi di una coppia, oppure creati apposta per chiuderti in un recinto e lasciare fuori gli altri, come i codici che ti ostini ad usare con tua cugina o con il vicino di casa quando sei bambino, tanto semplici da farsi capire lo stesso da chiunque, o complicatissimi, pieni di regole contraddittorie ed impossibili da ricordare («facciamo che quando alzo il mignolo sinistro tre volte significa che sta arrivando la nonna» … «ma non significava che era ora di merenda?»), che poi finiscono per farlo diventare un codice astratto, re-inventato ogni volta e di fatto inutilizzabile.
Se ti va bene ed hai talento nell’illustrazione puoi affidare a una matita il compito di parlare al posto tuo avendo pure il privilegio, concesso a pochi, di suggerire un’atmosfera (che a parole ci metti una vita ad accennare) con due segni o poco più. Per capire un disegno non serve alcun vocabolario – puoi parlare in ogni lingua – e puoi metterci dentro due vite intere, ottomila pagine di un libro o dieci ore di filmati nello spazio di un A4.
Amalia Mora e Daniela Tieni da un paio di mesi hanno iniziato a parlarsi coi disegni: una domanda, l’altra risponde, costruendo una conversazione muta che finirà non si sa quando e non si sa come. Anzi, pare che la fine sia già nell’aria ma top secret. A silent dialogue invece è in rete e a differenza dei pazzi codici dei bambini il discorso illustrato delle due artiste (già 7ammizzate qui e qui) è assolutamente pubblico e tutti lo possono vedere e seguire – che non per forza significa capire – giorno dopo giorno.