smart urban stage | opening + talk

Il verde si fa largo tra le strade e i palazzi di cemento, con la vita che rallenta il ritmo quando il piede va dal grigio dell’asfalto all’erba morbida e gli odori ti massaggiano il cervello, le galline a far da metronomo alle scampagnate (non fuori dalla ma) dentro alla città, magari dopo esser passato in piazza, che è la tua ma pure quella di qualcun altro, connessa a una, due, tre, cento piazze sparse per l’Italia o anche oltre, per un unico, immenso luogo di confronto – e me la immagino già, in caso di protesta collettiva, la forza della gente in diretta con se stessa e in videoproiezione, amplificata dalla rete che non è più soltanto virtuale.

Ché se poi qualcuno mette le transenne puoi cambiare prospettiva e usare quei cancelli per sederti (e ridere, pure: solo una risata seppellisce chi prova ad ingabbiarti) e intanto continuare a dir la tua sulla città che non ti piace, da casa o dallo smartphone – c’è una buca, c’è troppa luce e non vedo le stelle – o condividere quel che butteresti via con chi di sicuro potrà farne un gioco, un abito, uno strumento o un’opera d’arte e prendere in cambio qualcos’altro a cui trovare nuovi usi.
Se proprio devi buttar via qualcosa, andrà comunque a trasformarsi in energia grazie ad alghe intelligenti e all’acqua (quella la trovi pure per le strade, in fontanelle che assomigliano a bottiglie), la stessa che ti riscalda casa senza chieder niente in prestito all’ambiente, né rilasciare (in uno scambio poco equo) emissioni assai dannose.

E te le immagini le fabbriche pulite?
Quelle di una volta ce le siamo dimenticate, perdute ai margini dei quartieri, in rovina come le memorie di chi ci ha lavorato, luoghi da esplorare con l’obiettivo di una macchina fotografia e segnalare al mondo, che vengano recuperate al meglio – un museo, forse, un tunnel che separa/unisce due culture o uno spazio verde per la gente – o almeno romanticamente conservate come monumento all’uomo, sempre meglio che centri commerciali o palazzine-dormitorio tutto-incluso, che poi finisce che se ti ritiri tra quattro mura e uscire dalla porta diventa una fatica, la città muore in mille pezzi, separati e in due versioni, dei poveri e dei ricchi. E per veder le guerre (tra pari) basta una finestra, non più il televisore.

Dai progetti usciti dallo smart urban stage di Milano la testa se ne va in visioni di domani. Prendili tutti, non solo i vincitori, e prova a unirli: quel che vedi tu non è quel che vedo io. Anche in cucina, con gli stessi ingredienti non esce mai un piatto uguale. E figurati se la cucina è immensa e i cuochi un mezzo esercito…
smart ha creato un evento dislocato dove ogni città ha messo la sua anima e in cambio ne ha ricevuto un luogo (trapiantato in un non-luogo, tra parcheggi, piazze…) che ne ha tirato fuori il meglio: una trasversalità di attitudini, stili, concetti che raramente ho visto in opening, festival e presentazioni. Tra l’architetto, lo scienziato, il giornalista, il sognatore, l’artista, il modaiolo, bastava far due passi tra il totem di un progetto, un’auto elettrica o un divanetto per inciampare tra flussi di pensieri che s’intrecciavano senza cadere mai nel vuoto di uno sguardo poco attento.

Dopo Roma, l’anno scorso, e ora Milano, con un talk tra bloggers, luminari e giornalisti – Costantino Della Gherardesca a moderare con sapienza, provocando per tirare fuori idee e connetterle tra loro, nessuna conclusione a cui arrivare (quella la vedremo andando avanti e guardandoci bene attorno) ma un ventaglio di ipotesi da cui partire ciascuno per il proprio viaggio nel futuro: il mio mi porterà a Francoforte, tra poche ore, per la finale mondiale. Un’orgia di visioni che cercherò di raccontare senza avere, come sempre, i piedi troppo per terra.

photos Carlo Beccalli

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