Chicken & Broccoli Homeworks | Enter the void

ENTER THE VOID
di Gaspar Noé
Francia 2009

Eroini: Molto più vicino ad un esperimento di videoarte digitale che a un film, Enter the void è un trip psichedelico, fluorescente e al neon lungo 160 minuti. Stai lì a vederti per tutto il tempo con un’inquadratura in prima persona (cioè per interdeci tipo il video dei Prodigy Smack My Bitch Up e a un certo punto fai crack. O ti fai di Crack (a (s)proposito,ci siamo scordati che un fattone quest’anno ha vinto l’Oscar. Ora ce lo siamo ricordati, può sempre tornare utile).

I fatti: I protagonisti del film si alternano tra fattanza, sesso saffico, droga, disperazioni, incidenti stradali, montagne russe (sia reali che emozionali… senti che cazzo ho scritto, ottovolante emozionale, Subsonica prendete nota) e ricostruzioni artistiche di una “Tokyo sotto LSD” fatta di quelle stanghette fluorescenti che le spezzi e si illuminano che tanto piacciono ai ravers.

Più di altri seguiamo la storia di Oscar e della sorella. Che proprio bene bene non stanno.

Lo spacciatore: In Enter The Void la droga si spaccia da sola. Poi vi spiego in che senso.

Lo spacciato: Quindi ci mettiamo per tutto il film “dietro le spalle” di Oscar (quando non direttamente dentro la sua testa o poco distante dalla nuca) e seguiamo i suoi viaggi, sia quelli drogati che di casa in casa, di locale in locale, di età in età. Scopriamo cosa l’ha portato tra le braccia del fumo fino alla morte nella turca di un bagno che ricorda quello più lurido di Scozia. La sorella, una delle protagoniste (Paz de la Huerta, che per inciso è quella che in Boardwalk Empire sta sempre nuda, in effetti dappertutto sta sempre nuda) fa la stripper al neon.

Che all’inizio, vista da lontano, fa venire i sudori caldi e freddi. Il problema è che poi ti avvicini e scopri che è una di quelle strafattone che proprio pussa via brutta fattona tipo Courtney Love. Quindi lei fa la stripper, e come lasciarsi scappare l’occasione di metterci seduti con un dolla in mano per denigrare un po’ la fig(ur)a della donna? Non sia mai che C&B perde l’occasione di non passare per maschilista e far arrabbiarre le lettrici

HIGH IN THE SKY: Il dato più interessante di Enter The Void è quello di farci credere di essere il protagonista, con il tipo di inquadratura e con le visioni drogate, ma in realtà lo spettatore diventa la droga stessa. Cioè, per spiegare meglio: quando la droga è in corpo, la cinepresa è dentro gli occhi del protagonista (o appunto dietro la nuca quando seguiamo l’Oscar bambino e scopriamo i perché e i percome della sua dipendenza), mentre quando la droga esce dal corpo l’inquadratura “vola via” dal protagonista, come quei viaggi dell’anima in cui si vede dall’alto, viaggi raccontati da chi ha vissuto esperienze extracorpo durante le operazioni chirurgiche o in incidenti quasi mortali. L’effetto filmico è quasi quello di una possessione demoniaca, di uno “spirito” che abbandona il corpo ormai inutilizzabile, ascende e sorvola la “scena” fino ad “impossessarsi” del prossimo corpo/mente disponibile, e lo fa senza legami temporali o spaziali, in una forma narrativa senza continuità tra ricordi, realtà, fantasie, botte.
La regia è quello che più conta nel film. Ripeto, siamo più vicini alla videoarte. Come quando vedi le opere di Matthew Barney, per capirci. Che non è proprio videoarte “pura” (cioè tipo un tizio nudo fermo immobile che si strizza un capezzolo per nove ore), ma che un po’ di “storia” a cui aggrapparsi ce l’hanno, ma certo non ti puoi aspettare uno svolgimento inizio-svolgimento-fine. Come si dice, quello che conta è il viaggio. E il viaggio visivo di Enter The Void è tra i più interessanti fin ora fatti.
C’è una scena in cui la cinepresa, l’inquadratura, viene infilata dritta dritta in una vagina (luminosa pure lei) che mi ha ricordato questo bell’esperimento qui (sempre una cinepresa tra le labbra…ahem… C&B sragiona davanti alla Paz e si lascia andare a battute di dubbio gusto), Feeder.

«HO DETTO CAZZO CHE BOTTA»: Siamo dalle parti del sogno ad occhi aperti. Cioè tipo Alice nel paese delle meraviglie drogate. La botta iniziale, tutta frattali al computer, sembra una sorta di Siamo fatti così mescalino. Questi sono i primi dieci minuti, che la dicono lunga.

http://www.youtube.com/watch?v=GCNrIStejEU

Uno spazio neurale con galassie di frattali luminosi (tu continua a prendere nota, non te fermà che mi vengono a getto continuo oggi), come quelle foto che pubblicano su Focus con le foto delle foglie viste al microscopio che formano tutti quei disegni geometrici che sembrano un caleidoscopio, che ti stupiscono (e fanno vendere tante copie a Focus) perché sembrano fatte col computer. Insomma la droga ti fa vedere “di più”, non fosse che poi muori. Di scene drogate come quella di poco fa il film ne è pieno (praticamente due ore e mezza così) ma la vera scena di botta sono gli ormai celebri titoli di testa (non c’è sito di motion, blog di grafica, rapper fashion victim, cineblog che non abbia embeddado questa sequenza, perché essere da meno):

Impressionanti lo sono davvero. Con buona pace per gli epilettici. L’autore (dai che alle volte Wiki serve, non quella italiana, che questo film manco c’è) è tale Thorsten Fleisch (capito, si chiama “flesch”) e fa queste cose qui.

In effetti ora che mi ci faccio pensare a volte le scene drogate tutte meduse luminescenti sembrano il salvaschermo della Apple, quello tutto colorato. Infatti anche il mio gatto, che passava di qua, si è fermato la bellezza di tre minuti a fissarlo. Storia vera… C’è molto del Kubrick di 2001, il che non è mai un bel dire, visto che pare che tutto ha sempre un po’ di Kubrick da qualche parte, qui, tra le altre cose, i trip luminosi con sottofondo la musica classica. Un’esperienza cinematografica visiva. Questo è Enter the Void, un’esperienza da fare in onore della sperimentazione, anche da spettatore (o da gatto), un’esperienza, con tutti i significati che il termine può assumere. Magari vi esalterà, magari vi annoierà (due ore e mezzo non sono poche), magari lo odierete, ma in ogni caso lo ricorderete. Nel bene, nel male. Ma lo ricorderete per molto tempo. E secondo me se vi fate un trip prima di vederlo non ve lo scordate proprio mai mai mai più.

CHILL OUT ZONE: la musica dei titoli di testa è di un gruppo made in UK: LFO. Beccatevi il video che sta bello sotto pure lui  – era di Chris Cunnigham il video vero? N’antro matto de niente. Ma l’ha poi fatto il suo film grosso Chris Cunningham? Si diceva che dovesse fare Neuromancer da Gibson. Pensa che ti tirava fuori. Che c’entra? Siamo drogati che v’aspettate che facciamo discorsi sensati?

* Forse Chris Cunningham è con me… con me nel FUTURO! In spiaggia, io lui, Rubber Johnny e Aphex Twin col bikini bianco! O forse Chris Cunnigham è il me steso del futuro che è totalmente impazzito per il concetto stesso di “post programmato”. Qualcuno mi fermi.*

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