Era il 1996 o giù di lì e (sarà diseducativo dirlo ma così è) stavo facendo a gara con me stesso per vedere quante giornate di scuola riuscivo a saltare senza essere scoperto e senza sentirmi in colpa (e credo di aver stabilito un bel record, nel mio liceo).
Passavo le mattinate per i vicoletti del centro storico di Jesi, leggendo libri su libri, bevendo Verdicchio in vecchi circoli arci e scribacchiando brutti racconti stile-Bukowski e quando ero abbastanza stordito dal vino per trovare il coraggio di passare per la via principale della città, col rischio di incontrare professori, parenti o amici dei miei genitori ed essere beccato in flagrante “fuga da scuola”, andavo in una libreria che ora non c’è più a cercare l’Urlo, che all’epoca era l’unica rivista che ti faceva sentire come se fuori da lì, da una scuola che odiavi, da una vita di provincia, dal bere tanto c’è solo quello da fare, ci fosse qualcosa, un mondo.
L’Urlo, pubblicava – e pubblica ancora, visto che dopo tanti anni è ancora vivo e vegeto ed ora anche su web – recensioni, racconti e poesie di giovani esordienti e di gruppi musicali nati nelle cantine della zona. Ideato e prodotto ad Ancona, la capitale di quella provincia tanto stretta, l’Urlo più che un semplice freepress era una sorta di speranza per me e tanti come me. Non so se è ancora così, visto che ora grazie a internet puoi vedere e fare di tutto, ad ogni modo sono felice che – tanti anni dopo aver mandato via mail i miei stupidi racconti (e per fortuna non averli mai visti pubblicati) – ora l’Urlo parli di noi.