«Ancorche dormano gli occhi, o miei scolari, l’anima però sempre veglia, e molto più intorno à quegli oggetti, ove più di frequente esercita le sue potenze. Io perciò, non è gran tempo, tutto rilassato in poter del sonno, fui da quel suo gentile ministro Morfeo circondato con Forme, e Visioni pertinenti alla nobilissima Arte del Disegno nostro unico diletto, e mio singolar esercitio: egli mi rappresentò le lettere dell’Alfabeto formate da incomposti Fantasmi, e da confuse Imagini, e mi comandò, che dovessi disegnare in proporzionate Figure quegli Embrioni, ch appena nati, svaniscono; onde io di subito svegliato, qui gli ho disposti con simetria, et alla vostra diligente applicatione dedicati».
Il testo — che si intuisce subito non essere stato scritto ieri né ieri l’altro — proviene dall’introduzione di Alfabeto In Sogno. Esemplare Per Disegnare, un’opera che il pittore e incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli, vissuto tra il ‘600 e il ‘700, dedicò ai sui allievi.
Intitolata, appunto, A SVOI SCOLARI, la pagina introduttiva rappresenta un originale escamotage attraverso il quale l’artista dichiara la nobile e quasi soprannaturale origine di quel lavoro (Morfeo stesso gli è apparso in sogno) e lo scopo delle tavole che sarebbero seguite: fungere da modello per apprendere l’arte del disegno anatomico.
«Vi priego intanto à far sì, che i miei sogni siano veri, e che i disegni mi riescano, e ne sarò certo allora, quando vedrò dalle mie fatiche, derivarne il vostro profitto, e Dio vi consoli» conclude Mitelli, che, nelle pagine successive, presenta una a una le lettere dell’alfabeto, disegnate come figure antropomorfe, circondate da elementi che raffigurano perlopiù dettagli delle varie parti del corpo — occhi, nasi, orecchie, mani, piedi, espressioni del viso, gesto, arti in movimento — e accompagnate da frasi che potremmo definire “ispirazionali” o “motivazionali”: «Vuol’ l’effe dir Fatica, e senza alcuna difficoltà da lei nasce sovente un second’effe e questa è la Fortuna», scrive sotto la F, o «L’I sopra il tutto ad Imitar ti inviti, e d’arte, e di natura il più perfetto, ch’imitato sarai, se bene imiti», o ancora «E l’O per i Pittori un mal negotio, et è cagion, che mai non han denari, quando si danno à l’O, che vuol dir l’Otio».
Pubblicato nel 1683, l’Alfabeto in sogno — le cui tavole si possono ammirare sulla piattaforma Artvee — è considerato un piccolo capolavoro del barocco italiano e fa parte della corposa produzione di Mitelli, che fu celebre soprattutto per le incisioni.
Figlio d’arte — il padre Agostino fu un apprezzato pittore, a un certo punto chiamato addirittura alla corte di Filippo IV di Spagna — Mitelli nacque a Bologna nel 1634 e fu allievo di alcuni dei più grandi artisti dell’epoca, tra cui Francesco Albani e il Guercino.
Ebbe una lunga e prolifica carriera, durata oltre cinquant’anni, durante i quali produsse un ragguardevole numero di opere, tra dipinti (ne sono però arrivati a noi pochi) e stampe, perlopiù acqueforti.
Tra i suoi soggetti preferiti c’erano le riproduzioni dei dipinti (stampò, tra gli altri, disegni da quadri di Tiziano, del Veronese, del Tintoretto e di Van Dyck), i giochi da tavolo, i cosiddetti Tarocchini Bolognesi e le scene — spesso satiriche e caricaturali — di vita popolare, quest’ultime accompagnate, talvolta, da sagaci commenti.
Morì nel 1718, quando ormai aveva superato gli ottanta, circa trentacinque anni dopo quella notte in cui Morfeo gli apparse in sogno.