Oggi la maggior parte della promozione dei libri passa attraverso i social: “booktoker”, video-recensioni su YouTube o Twitch, profili Instagram pieni di splendide composizioni che hanno come protagoniste le copertine, discussioni tra lettrici e lettori sulla piattaforma un tempo conosciuta come Twitter — tra post sinceri, sponsorizzazioni più o meno occulte, canali specializzati, campagne ben orchestrate e lunghi tour di presentazione.
A questa molteplicità di formati e di linguaggi si aggiungono i media tradizionali, come le riviste specializzate, quelle generaliste, le pagine culturali dei giornali e le trasmissioni tv, ancora in grado di “costruire” dei best seller.
A livello di immagine, tuttavia, per promuovere un volume si fa ancora ciò che si fa da decenni: mostrare il libro — l’oggetto-libro — o al limite la sola copertina, perché quello è ciò che il potenziale cliente va poi a cercare tra le vetrine e gli scaffali delle librerie oppure sulle loro versioni virtuali, nei negozi online.
Fino a circa un secolo fa, però, non era raro trovare saggi, romanzi, raccolte di poesia e opere per l’infanzia pubblicizzate attraverso poster appositamente commissionati a professioniste e professionisti della grafica e dell’illustrazione, esattamente come avveniva per le riviste.
Sul mercato statunitense fior di artiste e artisti — i cui nomi, purtroppo, raramente sono arrivati fino a noi — firmarono manifesti che in molti casi avevano grafiche realizzate ad hoc, differenti da quelle di copertina (se queste c’erano, cosa nient’affatto scontata).
Sul sito della New York Public Library c’è una bella collezione con oltre 200 di quei poster, tutti quanti digitalizzati e risalenti al periodo che va dal 1894 al 1911.
Una selezione di quelle immagini è anche su Artvee, da scaricare liberamente.