La bottiglia di salsa di pomodoro, la scatoletta delle alici, il flacone di shampoo, la bottiglia di vino, la busta del negozio di vestiti: è attraverso gli acquisti che facciamo, e dunque i prodotti dei quali ci circondiamo, che assimiliamo, più o meno consciamente, il linguaggio della grafica e le sue evoluzioni nel corso degli anni e dei decenni.
Come tutti i materiali effimeri, soggetti a rapidi cambiamenti e applicati a merci che gettiamo via una volta consumate, le etichette — per chi studia comunicazione visiva — sono un prezioso oggetto d’indagine. Soprattutto quando si tratta di esemplari del passato applicati a prodotti di uso quotidiano, si rivelano un osservatorio privilegiato sulla cosiddetta “grafica anonima”, quella senza firme di autrici o autori di grido, ma non per questo meno interessante — anzi, forse ancora più rivelatoria di quello che era lo spirito del tempo in fatto di tendenze grafiche.
Il problema, con questa tipologia di documentazione, è che, proprio per via dell’intrinseca caducità (sarebbe stato perlomeno insolito, per chi progettava o disegnava etichette per prodotti di largo consumo, farlo con l’idea di entrare a far parte della storia della comunicazione visiva), raramente ne vengono conservate testimonianze. Per fortuna, però, di tanto in tanto escono fuori, come dal nulla, collezioni e raccolte private, come nel caso di un volume che si può trovare, digitalizzato, sul sito della Biblioteca Digital Hispánica.
Si tratta di un campionario di etichette, appunto, risalenti alla prima metà del ‘900, prodotte da un’azienda spagnola che le stampava per diversi clienti. Ci sono quelle del riso e del caffè, dei biscotti e dei succhi di frutta, della lacca e dei profumi, della candeggina e delle candele, del vino e della birra (tra cui l’arcinota San Miguel, che esiste ancora). E poi quelle di attività di altro tipo: grandi magazzini, alberghi, farmacie, mercerie…
Sono più di mille, disposte diverse pagine del libro, che si può vedere e scaricare qui, come già consigliato dal blog della meravigliosa cartoleria londinese Present & Correct, che ha a sua volta scoperto questo piccolo “tesoro” su segnalazione della designer spagnola Silvia Fernández Palomar.