Conosciuto soprattutto per essere stato il maestro di Escher, Samuel Jessurun de Mesquita fu un pittore e grafico neerlandese del quale oggi, purtroppo, rimangono ben poche opere e, se ancora possiamo ammirarle, il merito è proprio del suo allievo
Nato ad Amsterdam nel 1868 da una famiglia ebrea portoghese, Samuel Jessurun de Mesquita dimostra fin da bambino un grande talento per il disegno, tanto da provare a entrare, ad appena 14 anni, alla prestigiosa Rijksakademie. Viene respinto, ma qualche decennio dopo avrà la soddisfazione di entrare in quella stessa accademia nelle vesti di docente.
Dopo una parentesi come apprendista architetto in uno studio in cui ebbe occasione di specializzarsi nel disegno decorativo, si iscrisse alla Rijksnormaalschool voor Teekenonderwijzers (la Scuola Normale Statale per Insegnanti di Disegno) e contemporaneamente studiò anche alla Rijksschool voor Kunstnijverheid Amsterdam (la Scuola Nazionale di Arti Applicate).
Nel 1889 ottiene il diploma di insegnante e tre anni dopo conquista la cattedra alla Kunstnijverheidsschool di Haarlem, dove, tra i suoi studenti, ne avrà uno particolarmente promettente, il giovane Maurits Cornelis Escher, destinato a diventare uno dei più acclamati artisti del ‘900 (proprio Escher gli avrebbe poi donato una versione di Cielo e acqua, che il maestro appese alla porta dello studio. Si racconta che qualcuno, vedendola e credendola di De Mesquita, si fosse complimentato con lui dicendogli che quello era uno dei suoi migliori lavori. Non è difficile credere che ci potesse essere confusione su chi avesse fatto cosa: basta guardare le prime opere di Escher — tipo questa, questa e questa — per ritrovare notevoli somiglianze con quelle del suo insegnante).
Parallelamente alla carriera di docente, De Mesquita porta avanti quella di artista, realizzando disegni, acquerelli e incisioni. Tra i suoi soggetti preferiti ci sono ritratti e autoritratti, ma anche animali e piante, preferibilmente esemplari esotici, passione — quella per le specie più rare — che condivide con la moglie Elisabeth Pinedo, detta Betsie, che si diletta nel giardinaggio.
Nel 1925 la rivista d’arte e architettura Wendingen, pubblicata nei Paesi Bassi tra il 1918 e il 1932, gli dedica un’intero numero.
Nel ’26 lascia la Kunstnijverheidsschool e si dedica completamente all’arte, ma nel ’33 riprende a insegnare, stavolta proprio in quella Rijksakademie che non l’aveva accettato tra i suoi studenti da ragazzino. Per via del lavoro e della salute che va via via peggiorando, smette quasi totalmente di dipingere e fare incisioni, ma continua a disegnare.
Nel ’40, quando la Germania nazista occupa il paese, si ritira a vita privata, finché, nel 1944, l’intera famiglia viene deportata nei campi di concentramento: Samuel ed Elisabeth ad Auschwitz, dove muoiono nelle famigerate camere a gas; il figlio Jacob (che all’epoca ha 38 anni) a Theresienstadt. Neanche lui soppavvivrà.
La loro casa viene saccheggiata ma, appena viene a sapere della deportazione, è proprio l’allievo di un tempo, Escher, a correre immediatamente nello studio del suo maestro per salvare quante più opere è in grado di portare con sé. Grazie a lui oltre 130 stampe scampano all’oblio.
Oggi sono esposte in diversi musei, e alcune sono state digitalizzate: si possono vedere e scaricare qui, anche in alta risoluzione.
Tra l’altro, proprio usando i lavori di De Mesquita, la scrittrice e illustratrice Cristina Petit ha realizzato un bell’albo illustrato, Qualcosa che c’entra con la felicità, pubblicato da Pulce Edizioni.

(fonte: artvee.com)

(fonte: artvee.com)

(fonte: artvee.com)

(fonte: artvee.com)

(fonte: artvee.com)

(fonte: artvee.com)