Leftloft: cambiare le cose veramente

Lo studio Leftloft nasce a Milano nel 1997. I soci fondatori sono Andrea Braccaloni, Francesco Cavalli, Bruno Genovese e David Pasquali. Loro peculiarità è progettare cercando la massima espressività possibile. Il loro è un progetto che punta alla forzatura delle regole: le grafiche sono caratterizzate dall’utilizzo di una cartella colori molto ricca, da sperimentazioni sui caratteri tipografici, da una ricerca che va verso il superamento della griglia grafica. Lavorano per caricare gli elementi espressivi partendo dall’idea che fare design non sia semplicemente svolgere un compito corretto, ma emozionare. La grafica è disciplina che si occupa di comunicazione, responsabilità del grafico è comunicare con la massima forza possibile.

Incontro uno dei soci fondatori di Leftloft Francesco Cavalli nella sede dello studio a Milano.

Marchio e identità della catena di ostelli Combo, 2019.

Ma come ha inizio tutto?

Leftloft nasce a metà degli anni Novanta. Ci conosciamo all’università, al Politecnico di Milano nella facoltà di urbanistica. In pratica eravamo un gruppo di amici che facevano gli esami in gruppo, gente che voleva divertirsi e aveva l’aspirazione di cambiare il mondo. All’inizio la parola “grafica” non la nominavamo nemmeno, noi eravamo convinti di fare architettura e urbanistica: col tempo abbiamo capito che ci interessava la comunicazione, un ambito che ci lasciava spazi più ampi e maggiore libertà. Le idee non erano all’epoca ancora molto chiare. L’unica cosa per noi assolutamente importante è che volevamo essere un collettivo, volevamo solo lavorare insieme.

Progetto grafico del dizionario Devoto-Oli per bambini, 2022.

Il design del prodotto italiano si fonda sulla figura dei Maestri: personaggi mitici, a volte mitologici, che hanno messo le fondamenta sulla disciplina. Secondo te la grafica contemporanea ha dei maestri?

Siamo cresciuti negli anni ’90 con personalità come David Carson, Tomato, Tibor Kalman: ci piacevano i rivoluzionari, quelli che sperimentavano nuovi linguaggi visivi e che forse come noi hanno cominciato senza frequentare le facoltà di grafica. Ci piaceva l’idea che per cambiare veramente le cose bisognasse vederle in un altro modo e che quindi non avere il bagaglio della cultura accademica fosse alla fine un vantaggio.

Immagine coordinata del museo di arte contemporanea Madre di Napoli.

Insomma i Maestri che sono contro le regole.

In Svizzera ti insegnano a non sbagliare, e infatti non sbagliano mai. Non sbagliando arrivi al livello buono, ma diventi meno capace a fare innovazione.
Noi non venivamo fuori da una facoltà di grafica, abbiamo sempre provato a sgangherare, a sperimentare. Ci siamo sempre riconosciuti meno nella scuola della grafica italiana. Volevamo che i progetti comunicassero e lo facessero in un modo nuovo. All’università ti insegnavano le griglie, per noi un mito è stato il computer, non solo perché ci semplificava la vita, ma soprattutto perché rompeva quelle griglie.

Animazioni per l’immagine della catena di ostelli Combo.

Avete lavorato in diverse occasioni per la politica: ricordo SEL di Nichi Vendola o l’Altra Europa con Tsipras e diversi altri. Quando viene da voi un politico cosa vi chiede?

Quello che il politico chiede è di fare sintesi, l’obiettivo è fare emergere il messaggio. Ad esempio Vendola è un politico abituato a parlare non meno di un’ora e mezza per volta: la sua esigenza è quella di sintetizzare, attraverso slogan, manifesti, volantini. Lui già sapeva fare i comizi, aveva bisogno di professionisti che trovassero formule che comunicassero. Con Vendola ci siamo trovati molto bene, è stato uno dei primi in Italia a voler ragionare in termini di immagine coordinata, fino ad arrivare al design dello spazio, quindi al progetto delle sedi di Sinistra Ecologia Libertà. Ci sono stati invece politici con cui non siamo riusciti a lavorare, avevano un’idea del grafico e della grafica che non corrispondeva con la nostra.

Potete lavorare per qualsiasi partito? Mettiamo che si presenti un politico di cui non condividete le idee.

Il nostro è un lavoro di servizio. Noi non dobbiamo per forza condividere le idee dei nostri clienti. I grafici sono dei professionisti di supporto, non si domandano troppo se quel cliente è buono o cattivo e lo stesso vale per la politica. Noi lavoriamo per migliorare, per realizzare una comunicazione eticamente corretta e che cerchi di migliorare quello che è migliorabile. A Leftloft pensiamo che il buon design sia per tutti e che ogni occasione è buona per fare un buon progetto, indipendentemente dall’industria di riferimento non abbiamo posizioni giudicanti: mettersi su un piedistallo non è un tipo di progetto che condividiamo.

Immagine del partito SEL (Sinistra Ecologia Libertà), 2012.

E infatti avete lavorato anche per il calcio: cosa vuol dire immergersi in una dimensione così popolare?

Noi grafici siamo spesso cresciuti con le immagini coordinate da manuale, spesso inapplicate, o a progetti di nicchia. Quando invece lavori per l’Inter quell’immagine la vedranno in milioni di persone in tutto il mondo. Ti rendi conto di cosa vuol dire avere a che fare con la massa. È stata una vera scuola. Ogni piccola cosa che realizzavamo contava e contribuiva l’immagine generale, è con questo progetto che abbiamo concettualizzato il “branding continuo”, cioè l’idea che un’ immagine coordinata funziona quando viene costantemente estesa su ogni contesto ed è prolungata nel tempo e dove l’art direction conta più del manuale.

Rebranding della squadra di calcio Inter, 2011.

Oltre alla vostra attività professionale avete organizzato dibattiti e incontri come ad esempio il progetto “Luft”: me ne vuoi parlare?

Non esiste un metodo Leftloft. Non c’è un manuale in cui diciamo di utilizzare il carattere Helvetica o un certo tipo di griglia o stile: il nostro è un modo di fare ricerca. Siamo un collettivo fatto di diversità, trovare spazi per discutere di progetto è il nostro modo di progettare.
Luft vuol dire in Tedesco “aria”, è il nostro designer club. Lavorando in gruppo il rischio è di chiudersi troppo con la cerchia di persone con le quali ti incontri quotidianamente. Il design può essere fatto con l’antropologo, il regista, l’architetto, la ballerina, l’economista e tantissime altre professionalità diverse dalla nostra.
Il designer ha bisogno di collaborare con figure altre. L’idea è quella di confrontarsi con mondi diversi, nuovi: abbiamo bisogno di forzare l’ambito nel quale lavoriamo, abbiamo bisogno di allargare i confini della disciplina.

Avete realizzato anche un film che parla di progetto, “Design is a verb”.

Sì, esatto. Negli incontri di Luft non abbiamo mai invitato designer grafici, abbiamo sempre chiamato professionisti di altri ambiti.
“Design is a verb” è invece un documentario fatto di interviste che ha coinvolto altri colleghi designer europei che stimiamo: l’obiettivo è aiutarci a capire il senso del nostro lavoro in questi anni. Insomma cercare di mettere meglio a fuoco la grafica contemporanea.

Cosa avete scoperto attraverso questa esperienza?

Abbiamo evidenziato una cosa che sentivamo: esiste una grafica europea. Ci siamo trovati con professionisti che hanno gli stessi riferimenti culturali, lo stesso sistema di pensiero, la stessa idea sulla disciplina.

E che caratteristiche ha questa “grafica europea”? Quali differenze ha rispetto ad esempio la grafica americana?

C’è una differenza sostanziale. I designer europei sono molto più liberi e forse meno business oriented, non credono di fare semplicemente un lavoro a supporto del mercato. In America se fai una copertina di un libro il tuo scopo è che venda il più possibile. In Europa, invece i grafici si devono anche divertire, fanno ricerca, sono più propensi al rischio, il primo obiettivo è fare la cosa più interessante possibile.

Ok, quindi esiste una grafica europea, ma secondo te esiste una grafica italiana?

È sempre più difficile parlare di una grafica italiana, il gusto l’approccio e le esperienze dei designer italiani sono allineate ai colleghi internazionali. Esiste invece una specificità del mercato italiano.
Secondo me ci sono due aspetti, che considero entrambi negativi per chi fa questo mestiere. Prima di tutto la presenza di piccole aziende poco capaci economicamente e culturalmente di investire importanti somme sul design. Seconda questione è che siamo un paese vecchio, in cui ti viene chiesto di fare più rebranding che branding.
In Italia devi combattere con il peso della storia, ma anche con dirigenti e responsabili quasi sempre non giovani che chiedono, selezionano e diffondono un’idea di immagine a loro somiglianza che lascia poco spazio espressivo a chi usa un linguaggio contemporaneo. Questo è un peccato perché oggi in Italia la qualità media della grafica è molto più elevata rispetto a qualche anno fa.

Grazie Francesco, mi sa che con questo abbiamo finito.

Grazie a te Tommaso.

Nuova identità della casa editrice Loescher.
Nuova identità della collana Oscar Mondadori.
Immagine e comunicazione del Piccolo Teatro, 2021.
Immagine, catalogo e segnaletica della mostra TDM 5: Grafica Italiana, presso Triennale di
Milano, 2012.
Un messaggio

Frizzifrizzi è sempre stato e sempre rimarrà gratuito. Si tratta di un progetto realizzato ogni giorno con amore e con impegno. La volontà è di continuare a farlo cercando di tenere al minimo la pubblicità. Per questo ti chiediamo una mano — se vorrai — con una piccola donazione. Potrai farla su PayPal.

GRAZIE DI CUORE.