Schovka: un corto d’animazione sul nascondino e sulla percezione del tempo durante l’infanzia

Quando sia nato il nascondino è un mistero. Probabilmente esiste fin dalla notte dei tempi, ed è facile immaginare che possa essere stato una sorta di “palestra” per affinare abilità indispensabili alla sopravvivenza quando c’era da scappare da fiere o da persone, oppure per stanare avversari o prede nascoste.
Di certo c’è che esiste in tutto il mondo, in molteplici varianti, e che in alcune culture è stato anche parte dei rituali sociali e religiosi (Frazer, nel suo celebre saggio Il ramo d’oro, racconta di due misteriosi re delle foreste cambogiane, il re del fuoco e il re dell’acqua, che erano costretti a vivere isolati e si pensava avessero potere sugli elementi. Entrambi non dovevano morire di morte naturale e, quando invecchiavano o erano ammalati, venivano uccisi. I parenti, costretti loro malgrado a ereditare la carica, a quel punto scappavano e il resto del popolo doveva ritrovarli. Il primo che veniva scovato doveva essere il nuovo re). Ma anche nelle nostre società secolarizzate il valore simbolico rimane: ci si nasconde, si caccia, si sperimenta l’abbandono, ci si smarrisce, si esplora.

Chiunque di noi, prima o poi, ci ha giocato. E quella dimensione ludica collettiva rimane solitamente confinata nell’età dell’infanzia (anche se a Bergamo, fino a qualche anno fa, c’era un Campionato Mondiale di Nascondino per tutte le età). Chi prova a riaprire quello scrigno delle nostalgie si ritroverà in un territorio “altro”, coi frammenti di ricordi che galleggiano in un’atmosfera rarefatta, dove le corse a perdifiato, l’eccitazione nel cercare un nascondiglio o l’ansia di stanare chi l’ha già trovato si mescolano ai brividi per i primissimi amori, allo spaesamento di sperimentare un tempo che rallenta e si avvolge su sé stesso, alla sottile inquietudine di starsene in assoluto silenzio e solitudine in luoghi familiari che però in quei momenti appaiono sotto una nuova luce, come se la geografia della casa, del parco o del cortile della scuola assumesse forme inedite.

Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019

C’è tutto questo in Schovka, un corto d’animazione che prende il nome dal nomignolo con cui viene chiamato il gioco del nascondino in lingua ceca.
L’autrice è Bára Halířová, giovane artista che ha studiato animazione presso la prestigiosa Filmová a televizní fakulta Akademie múzických umění (FAMU), tra le più antiche scuole di cinema del mondo, dove si è laureata portando appunto questo corto, uscito originariamente nel 2019, presentato poi nei festival di tutto il mondo, accaparrandosi numerosi premi, e infine messo su Vimeo qualche settimana fa.
In Schovka un bambino, desideroso dell’affetto della madre (che però gli viene negato, e qui torniamo al concetto di separazione e abbandono simboleggiato da quest’attività ludica), si mette a giocare a nascondino con quelle che sono probabilmente le sue sorelle. Dopo un girovagare per la casa alla ricerca del posto giusto in cui nascondersi, finalmente lo trova e resta lì, confinato in un’altra dimensione, per una vita intera, fino al ritorno.

Splendidamente disegnato e realizzato, il corto è un viaggio — pieno di affascinante mistero e poetica ambiguità — nell’infanzia e nel ricordo dell’infanzia, sottolineato da una colonna sonora assai efficace, che ricorda le melodie di quando si fa la conta e rende superflue le parole.

Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
Frame dal corto “Schovka” di Bára Halířová, 2019
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